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Opere pubbliche, se il codice appalti affossa l’Italia

Di Gabriele Buia
codice appalti

Negli ultimi due anni il comparto delle opere pubbliche è stato interessato da un corposo processo di riforma che nelle intenzioni del legislatore ne doveva ridefinire ambiti e regole in un’ottica di efficienza e di trasparenza di un settore troppo spesso esposto a malaffare e a inefficienze.

Di qui la decisione di adottare un nuovo codice dei contratti pubblici con l’obiettivo di definire un quadro normativo in linea con l’Europa, capace di garantire a tutti gli attori del mercato – stazioni appaltanti, progettisti e imprese – regole chiare ed efficaci, in chiave di crescita del Paese e di rilancio degli investimenti.

Nei fatti, però, questo obiettivo non è stato raggiunto. Tutt’altro. Eppure il pesante ritardo infrastrutturale dell’Italia rende urgente l’adozione di misure per accelerare la realizzazione di opere pubbliche necessarie per la qualità della vita e per la crescita.

Manutenzione del territorio, sicurezza delle scuole e degli edifici pubblici, infrastrutture per la competitività delle città e dei territori sono tra le priorità d’azione per lo sviluppo sociale oltre che economico del Paese. Ma nessuno sembra farsene carico, visto che proprio negli anni della crisi gli stanziamenti statali in conto capitale (gli investimenti) sono crollati (-43% dal 2008 al 2015), mentre le spese correnti hanno continuato a crescere (+11,7%).

Se si guarda poi alla spesa degli enti locali degli ultimi anni, questo trend è ancora più evidente: aumento della spesa corrente dello 0,8% dal 2016 al 2017 e una riduzione di quella in conto capitale del 7,4% dal 2016 al 2017.

Le conseguenze di queste politiche sono sotto gli occhi di tutti. Per citarne una per tutte, la mancata manutenzione del territorio e del patrimonio infrastrutturale ha amplificato le conseguenze provocate dai disastri naturali: un miliardo di euro all’anno il costo dei danni generati da frane e alluvioni. Nonostante le emergenze e la necessità di aprire cantieri di messa in sicurezza e manutenzione su tutto il territorio nazionale, le procedure per la spesa delle risorse sono ancora troppo lente e farraginose con il risultato che i cantieri o non si aprono o si aprono troppo tardi.

Se poi a questo si aggiunge il problema storico dei ritardati pagamenti della Pa che ha causato all’Italia l’apertura di ben due procedure d’infrazione da parte dell’Unione europea abbiamo il quadro completo di un settore che invece di essere rilanciato e svolgere una funzione di traino per la ripresa del mercato interno e quindi dell’intera economia è stato di fatto bloccato e penalizzato.

Il nuovo codice ha grandi responsabilità in questo senso. Dei circa 60 provvedimenti attuativi previsti, ne sono stati adottati meno della metà. In questo quadro, peraltro, risultano ancora inattuati il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e l’albo dei commissari esterni, che avrebbero dovuto costituire i pilastri della riforma in materia di trasparenza. Inoltre, la volontà di snellire e semplificare le procedure non ha centrato l’obiettivo. Ne sono riprova le numerose normative in deroga al codice introdotte da quando è entrato in vigore.

Anche la scelta di demandare la disciplina attuativa del codice alla soft law dell’Anac non ha dato i risultati sperati. Infatti, l’atipicità di tale strumento regolatorio – la cui qualificazione giuridica risulta molto difficile da inquadrare – unito a una forma non prescrittiva, hanno determinato un elevato livello di incertezza e confusione negli operatori che devono applicare quelle norme.

L’assenza di chiarezza ha, inoltre, costituito un freno all’attività, anche ordinaria, dei pubblici amministratori, preoccupati di assumere scelte sbagliate, fonte di possibile responsabilità erariale. Troppe volte, infatti, si è assistito a un blocco delle decisioni della Pa (autosospensione) che ha preferito fuggire dalle proprie responsabilità. Occorre dunque un profondo ripensamento del codice attuale, attraverso la predisposizione di un articolato più semplice, accompagnato da un regolamento attuativo dedicato ai lavori pubblici (e da uno per i servizi e le forniture), dotato di forza cogente, in cui far confluire la normativa di dettaglio e le linee-guida Anac, superando in tal modo il sistema della soft law. Ma bisogna fare in fretta.

Considerando, infatti, che tale iter normativo comporterà un lavoro di medio periodo, occorre individuare sin d’ora un pacchetto di misure anticrisi, da inserire in un decreto legge “ponte”, da applicare subito e utilizzare fino a quando il nuovo quadro normativo a regime non si sarà completato.

Tra le misure urgenti dovranno esserci senza dubbio nuove norme sul subappalto per superare gli attuali limiti; una più corretta applicazione dei criteri di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e dell’esclusione automatica con il metodo antiturbativa; il divieto della pratica del sorteggio delle imprese da invitare alle procedure negoziate; una migliore qualificazione Soa e un miglioramento del contenzioso.

(Articolo pubblicato sul numero 137 di Formiche)

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