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L’ombra di Ankara sulle nuove rotte del gas

Di Nicolò Sartori
gas

Il Mediterraneo orientale è ritornato al centro dell’attenzione internazionale, non tanto per l’importante scoperta effettuata da Eni nel pozzo Calypso, al largo delle coste di Cipro, ma piuttosto per l’escalation delle tensioni geopolitiche nella regione, con la Turchia che per settimane ha tenuto in ostaggio la nave Saipem 12000 nelle acque territoriali cipriote, impedendole di effettuare le attività di prospezione previste per conto del gigante energetico italiano. I due eventi appaiono chiaramente collegati tra loro. Non è un caso, infatti, che la violenta reazione di Erdogan sia avvenuta a un paio di giorni dall’annuncio della scoperta, attraverso il pozzo Calypso-1, tra i 170 e i 230 Bcm di gas nel blocco 6 della zona economica esclusiva cipriota e affidato alle attività di esplorazione di Eni in partnership con la francese Total.

L’annuncio del successo di Calypso arriva a poco più di sei anni dalle ultime rilevanti scoperte in acque cipriote, quando, nel dicembre 2011 nel giacimento Aphrodite, l’americana Noble scopriva riserve di gas pari a 130 Bcm, dando il via un’inedita corsa al Mediterraneo orientale come nuova frontiera energetica, europea e globale. Un lasso temporale durante il quale le attività e i successi esplorativi attorno all’isola sono andati a rilento, limitando di fatto le occasioni di tensione nell’area. Ma che, invece, non hanno tardato a riemergere in seguito all’inaspettata scoperta di Calypso, a causa della quasi immediata reazione di Ankara, preoccupata di rimanere esclusa dai giochi energetici nell’isola e nella regione.

La Turchia infatti rivendica da tempo il diritto (e quello della Repubblica turca di Cipro Nord, suo protettorato sull’isola) a sfruttare – in modo diretto o congiunto – le riserve energetiche localizzate nelle acque territoriali di Cipro. E alla luce dell’importante scoperta di Eni, Ankara ha deciso di rivendicare con la forza – attraverso il blocco della nave Saipem 12000 da parte della sua Marina militare – la propria sovranità sull’area, mostrando la capacità (o quantomeno la strenua volontà) di rallentare lo sviluppo energetico regionale in un contesto che non la veda coinvolta come attore rilevante. Ma la scoperta di Calypso avviene soprattutto in un momento di grave difficoltà politica e di forte isolamento strategico della Turchia sul piano regionale e internazionale. Il Paese, infatti, si trova di fronte a un progressivo logoramento delle relazioni con i suoi storici alleati, e all’acuirsi delle tensioni con player-chiave della regione.

Da un lato la situazione in Siria, con l’irrigidimento della posizione turca nei confronti dei curdi, contribuisce ad allontanare un tradizionale partner come gli Stati Uniti, con cui le relazioni sono probabilmente ai minimi storici anche a causa della mancata estradizione di Fethullah Gulen. Dall’altro, nonostante un parziale allineamento tattico sulla questione curda, il sostegno incondizionato della Russia al regime di Assad rappresenta un fattore insuperabile di divergenza strategica con uno degli attori-chiave nella regione. A ciò si aggiunge l’ormai stato di stallo nei rapporti con l’Unione europea (acuiti dal riemergere di vecchie tensioni con la Grecia), lo scontro frontale con l’Egitto per via del supporto turco alla Fratellanza musulmana, e il congelamento di un processo di riunificazione a Cipro che – dopo le speranze degli scorsi mesi – sembra quanto mai lontano da un risultato positivo.

Per far fronte a questa situazione di debolezza strategica, Erdogan ha deciso di giocare la carta energetica. Il successo di Ankara nel bloccare (o quantomeno rallentare) lo sviluppo delle risorse di gas a Cipro non solo punta a impedire la completa marginalizzazione della Turchia dalla partita energetica regionale – le riserve scoperte attraverso il pozzo Calypso potrebbero finalmente giustificare una opzione per l’export autonoma e non dipendente dal transito per il territorio turco – ma potrebbe rafforzare il potere negoziale di Ankara nello scacchiere strategico regionale, soprattutto in Siria. Sempre che la situazione non precipiti completamente.


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