I giovani cattolici italiani hanno battuto un colpo forte e chiaro. La loro risposta alla chiamata della Chiesa italiana che li vuole protagonisti al Sinodo di autunno (3-28 ottobre 2018), non è mancata. Sorprende, piuttosto, la sorpresa della stampa laica che forse si aspettava un esito meno significativo e si è ritrovata a fare i conti con una seduta collettiva di autocoscienza nella quale il Papa ha fatto il Papa. Certo, alla sua maniera, attingendo a piene mani al suo immaginario spirituale che, ad esempio, riserva uno spazio particolare alla dimensione del sogno. Ne ha scritto con efficacia, su queste colonne, il vaticanista Riccardo Cristiano.
Ma l’appuntamento romano è stato solo il punto d’arrivo di un pellegrinaggio dell’anima che ha visto i giovani muoversi a piedi da luoghi lontani, dalle grandi e piccole diocesi italiane, per esserci e per testimoniare una presenza affatto banale. Dunque, un pellegrinaggio spesso contrassegnato dai luoghi della carità, della sofferenza, del bisogno e della fede della propria gente. Così come si addice a chi vuole vivere il presente, ma non perdere le proprie radici popolari. Una esplosione di creatività spirituale che dice molto della capacità di questi giovani di trovare ancora un senso dell’esistere che va al di là delle logiche relazionali e pervasive dei social, anche se immaginiamo che proprio i social siano stati protagonisti a modo loro, amplificando i racconti personali, le emozioni e le immagini di quei giorni.
Le cifre della partecipazione sono certo importanti (a seconda delle fonti, da 50 a 70mila presenze), ma se paragonate ai grandi concerti (basti pensare a quello del Primo Maggio) vanno lette con sobrietà e senza enfasi particolare. Anche perché non può esserci un metro di paragone sostenibile. Piuttosto, vale la pena sottolineare l’impegno della pastorale giovanile che in pieno agosto ha saputo mobilitare tanti giovani, offrendo loro un’occasione per costruire insieme un evento di fede. Alla maniera del “piccolo gregge”, come emerge dal racconto che ne ha fatto l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro. In 120, infatti, sono partiti dalla diocesi jonica, dalla tormentata città dell’acciaio. Sì un “piccolo gregge” che ha raggiunto Roma, come tanti altri piccoli gruppi sono partiti da Nord, da Sud e dalle nostre isole.
Ora, dinanzi a certe oceaniche manifestazioni religiose del passato, questi numeri possono sembrare poco rilevanti. A noi, invece, suggeriscono qualcosa di molto diverso. È al “piccolo gregge” che Gesù affida il “suo regno“ e la missione di far conoscere il nome e il volto di Dio. E nella nostra Italia confusa, contraddittoria, spaventata, a volte cinica, quella folla di giovani dice molto. Innanzitutto che una parte di questa generazione ha saputo resistere alla secolarizzazione e ha accolto la sfida della fede cristiana nel tempo del relativismo. E forse deve solo maturare la consapevolezza, prim’ancora che le statistiche glielo sbattano in faccia, che il suo è il destino delle minoranze creative. Prima avverrà questo processo di coscientizzazione, prima sorgeranno nuove vocazioni e presenze significative là dove è sempre più carente la proposta cristiana: nella politica e nella gestione del bene comune.
Sino a pochi anni fa, noi italiani ci dicevamo “naturaliter” cristiani. Oggi non è più così: stando alle statistiche, i credenti e praticanti sono in calo vertiginoso. E anche il senso comune prevalente non è più quello cristiano. I segni di questa profonda trasformazione antropologica sono sotto gli occhi di tutti e fa male chi brandisce con superficialità i simboli religiosi o evoca il rosario e giura sulla Bibbia. In fondo contribuisce, abusandone, a privarli di senso e a depotenziarli. Ecco perché i giovani cattolici italiani, come anche i giovani di tutto il mondo, possono e devono guardare con fiducia al Sinodo di ottobre. Il Papa lo ha voluto tutto per loro. Un segno di attenzione che dovrebbe far riflettere governi e potenti del mondo, spesso indifferenti sul futuro delle nuove generazioni.
Da parte loro, i giovani cattolici, come minoranza creativa, ci stupiscano. Non è solo la Chiesa ad aver bisogno di essere stupita, e se possibile, anche travolta.