“Gli idoli esigono un culto, dei rituali, ad essi ci si prostra e si sacrifica tutto. In antichità si facevano sacrifici umani agli idoli, ma anche oggi. Parlate con un arrampicatore: per la carriera si sacrificano i figli, trascurandoli o semplicemente non generandoli. La bellezza, poi, chiede sacrifici umani. Quante ore, davanti a uno specchio, una donna spende per truccarsi: anche questa è una idolatria, perché di per sé non è cattivo farlo, ma non per diventare una dea. La fama infine chiede l’immolazione di sé stessi, della propria innocenza e autenticità. Gli idoli chiedono sangue”. Queste le parole dure, evocative e nette di Papa Francesco, che dopo la pausa estiva di luglio ha ricevuto per l’udienza generale del mercoledì gruppi di pellegrini e di fedeli all’interno dell’Aula Paolo VI, piuttosto che in piazza san Pietro, per via del troppo caldo.
Nel bel mezzo delle polemiche politiche, delle accese discussioni riguardo alle azioni di leader nazionali europei e non solo, dei problemi legati ai rapporti con le conferenze episcopali nazionali caratterizzati dalla volontà di dare un taglio netto agli scandali che investono uomini di fede, come nel caso dell’accettazione della rinuncia da membro del Collegio Cardinalizio dell’influente cardinale americano Theodore McCarrick, l’arcivescovo emerito di Washington accusato di abusi su minorenni, il discorso del pontefice si centrato sul tema dell’idolatria, commentando il primo comandamento del decalogo “non avrai altri dei al di fuori di me”. E smarcandosi perciò con nettezza da chiacchiericci interni e da questioni di attualità. In questo modo, Papa Francesco si è ritagliato lo spazio adatto per affrontare uno degli argomenti di cui è maggiormente intessuta la letteratura moderna, sociologica, filosofica o politica, volta a indagare la condizione dell’uomo nella società del ventunesimo secolo, globalizzata e materialista, aperta e edonista. Uno stato dell’esistenza che porta l’essere umano a ritrovarsi troppo spesso schiavo, come ricorda il pontefice, di un radicato culto idolatrico, praticato a favore di strumenti inizialmente creati dall’uomo stesso per il proprio accrescimento e per la propria realizzazione personale, ma in seguito pervertiti ad altre funzioni. Uno su tutti, il denaro, argomento sul quale di certo Bergoglio non risparmia gli uomini di fede e di Chiesa.
“Il denaro ruba la vita e il piacere porta alla solitudine, le strutture economiche sacrificano vite umane per utili maggiori”, ha spiegato Francesco ai fedeli. “Pensiamo a tanta gente senza lavoro perché gli imprenditori di quella ditta hanno risolto nel congedare gente per guadagnare più soldi. Si vive nell’ipocrisia, facendo e dicendo quel che gli altri si aspettano, perché il dio della propria affermazione lo impone. E si rovinano vite, si distruggono famiglie e si abbandonano giovani in mano a modelli distruttivi, pur di aumentare il profitto”. Tutto può essere usato come idolo, “ogni tipo di realtà”, e l’idolatria “non risparmia né credenti né atei”, ha sottolineato il Papa. All’inizio del novecento ad esempio lo scrittore George Bernard Shaw, nella sua commedia “Uomo e superuomo” liberamente ispirata all’Übermensch di Friedrich Nietzsche, scriveva che “la burocrazia è costituita da funzionari, l’aristocrazia da idoli, la democrazia, da idolatri”, e che in tutto ciò l’arte del governo non è altro che “l’organizzazione dell’idolatria”. Papa Francesco, di tutto questo, ne apprende la lezione, e la applica all’interno di una riflessione che mette al centro la realtà della sfera sociale, dominata dalle leggi talvolta ciniche dell’economia, come lui stesso ripete con perseveranza nelle sue omelie e nei suoi discorsi. E lo fa rivolgendosi direttamente al suo popolo, quello dei cristiani, sorridendogli e guardandolo negli occhi.
“La parola idolo in greco deriva dal verbo vedere, e un idolo è una visione che tende a diventare una fissazione, un’ossessione”, spiega il Papa. “L’idolo è in realtà una proiezione di sé stessi negli oggetti o nei progetti. Di questa dinamica si serve, ad esempio, la pubblicità: non vedo l’oggetto in sé ma percepisco quell’automobile, quello smartphone, quel ruolo, o altre cose, come un mezzo per realizzarmi e rispondere ai miei bisogni essenziali”. “E lo cerco, parlo di quello, penso a quello”, prosegue. “L’idea di possedere quell’oggetto o realizzare quel progetto, raggiungere quella posizione, sembra una via meravigliosa per la felicità, una torre per raggiungere il cielo, e tutto diventa funzionale a quella meta”. Vale a dire, ha affondato il Papa, che “gli idoli schiavizzano. Promettono felicità ma non la danno, e ci si ritrova a vivere per quella cosa o per quella visione, presi in un vortice auto-distruttivo, in attesa di un risultato che non arriva mai. Gli idoli promettono vita, ma in realtà la tolgono”. Togliendo così anche la possibilità di vivere in relazione alla Grazia di Dio.
In tutto ciò, chiosa però Bergoglio, “noi cristiani possiamo chiederci: quale è veramente il mio Dio? È l’Amore Uno e Trino oppure è la mia immagine, il mio successo personale, magari all’interno della Chiesa?”. Il punto, e la risposta del Papa, è che “l’idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio”. Il tema dell’idolatria ricorda poi senza dubbio molti dei celebri discorsi pronunciati, negli anni scorsi, da Benedetto XVI. Il papa emerito infatti non solo descriveva “l’idolatria come una falsa religione”, ma ne parlava anche come di una “continua tentazione del credente” che “chiude la persona nel cerchio esclusivo e disperante della ricerca di sé”, un “inganno che distoglie dalla realtà chi lo serve per confinarlo nel regno dell’apparenza”, imputando ad essa persino il vero errore situato al fondo del crollo delle grandi banche americane nel 2008, quello cioè “dell’avarizia e dell’idolatria che oscurano il vero Dio, ed è sempre la falsificazione di Dio in Mammona che ritorna”. “Dove scompare Dio l’uomo cade nella schiavitù dell’idolatria, come nel nostro tempo hanno mostrato i regimi totalitari con la loro schiavitù, e come mostrano le diverse forme di nichilismo, che rendono l’uomo dipendente dagli idoli, lo schiavizzano”, diceva Ratzinger nel 2011 a commento del I Libro dei Re, in particolare della sfida lanciata dal profeta Elia sul monte Carmelo ai 400 profeti di Baal.
“Il Dio vero non chiede la vita ma la dona. Il Dio vero non offre una proiezione del nostro successo, ma insegna ad amare. Il Dio vero non chiede figli, ma dona suo Figlio per noi”, ha invece affermato stamane Francesco nella sua udienza, dopo avere incontrato ieri in piazza San Pietro ben 60mila chierichetti festanti provenienti da 19 Paesi diversi, molti dalla Germania, in coincidenza della festa di Sant’Ignazio di Loyola, e ai quali si è rivolto dicendo che “la strada per la santità non è per i pigri”. “Gli idoli proiettano ipotesi future e fanno disprezzare il presente”, mentre “il Dio vero insegna a vivere nella realtà di ogni giorno”, ha affermato ancora il Papa nell’udienza di oggi, contrapponendo “la concretezza del Dio vero contro la liquidità degli idoli”, un termine che ricorda da vicino le analisi sulla società liquida del compianto sociologo polacco di origini ebraiche Zygmunt Bauman. “Riconoscere le proprie idolatrie è un inizio di grazia, e mette sulla strada dell’amore. Infatti, l’amore è incompatibile con l’idolatria: se un qualcosa diventa assoluto e intoccabile, allora è più importante di un coniuge, di un figlio, o di un’amicizia. L’attaccamento a un oggetto o a un’idea rende ciechi all’amore. Per amare davvero bisogna esseri liberi dagli idoli”.