Leader forti, istituzioni deboli: è questa l’associazione più immediata che emerge nel contemplare l’attuale ribalta politica internazionale. Mai come in questi mesi le istituzioni (quelle internazionali ma anche le organizzazioni sovranazionali) sono apparse fragili, il loro tessuto liso, la loro stessa appropriatezza in discussione. Non passa settimana senza che l’America di Trump dia prova di quale ruolo istituzioni e trattati ricoprono nella visione del mondo del presidente: la denuncia dell’Accordo di Parigi sul clima e quella della Trans pacific partnership (Tpp) hanno rappresentato l’esordio, al quale ha fatto seguito l’introduzione unilaterale di dazi su acciaio e alluminio (con tanti saluti al Wto), il ritiro dall’accordo nucleare con l’Iran (Jcpoa) nonostante l’Agenzia internazionale per l’energia avesse ribadito il pieno adempimento dei suoi obblighi da parte della Repubblica Islamica, e infine il trasferimento dell’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme, in spregio alle risoluzioni passate (e tuttora valide) del Consiglio di sicurezza dell’Onu, peraltro svillaneggiato prima e dopo dalla Rappresentante permanente di Washington al Palazzo di vetro.
Ma Trump è in buona compagnia. Basti pensare a Vladimir Putin (sulle questioni della Crimea e dell’utilizzo di un agente nervino nelle strade di Salisbury), al premier ungherese Orban o ai leader dei Paesi di Visegrad, che irridono tranquillamente raccomandazioni e decisioni della Commissione europea in materia di accoglienza e ricollocamento dei profughi o di salvaguardia dei princìpi democratici, della separazione dei poteri, della libertà di stampa. Ma anche laddove la sfida alle istituzioni non è portata apertamente e non è neppure minimamente contemplata, è difficile non constatare che quello delle forti leadership sembra essere il tratto distintivo del nostro tempo, il suo Zeitgeist. Da Macron a Merkel, da Xi a Erdogan, da al-Sisi a Maduro: che rappresentino Paesi in crisi o invece in salute, democrazie o autoritarismi, l’importanza della leadership sta rimpiazzando la più quieta, eppure trasformativa, fiducia nelle istituzioni che aveva rappresentato la cifra più caratteristica dell’ascesa dell’ordine liberale, dopo il 1945 e, almeno così sembrava, ancor più dopo il 1989.
È possibile che sia proprio la trasformazione impetuosa e accelerata della fase storica che stiamo vivendo, il tramonto se non il vero e proprio naufragio dell’ordine liberale, a portare con sé tanto la necessità di leadership autorevoli o carismatiche (e i due concetti non sempre coincidono) quanto la sfiducia verso istituzioni che non riescono più a “dare ordine al mondo”. Forse siamo in presenza, anche a livello globale, di qualcosa di analogo alla spinta populista che sta scuotendo le fondamenta delle istituzioni politiche nazionali, peraltro dopo che la deriva tecnocratica ne aveva già profondamente eroso la solidità.
È difficile, però, non osservare che un simile passaggio coinciderà giocoforza con un ritorno alla gerarchia della potenza (non solo intesa come esclusivamente politico-militare, ma anche economico-finanziaria), ovvero un arretramento significativo di quel processo di incivilimento della politica internazionale che mirava alla trasformazione di un sistema internazionale interdipendente in una vera e propria società internazionale. Questa auspicata trasformazione comportava la possibilità che il superamento dell’anarchia internazionale non comportasse appunto la sua mera sostituzione con la gerarchia della potenza (militare, economica, finanziaria), ma schiudesse viceversa la possibilità di una realtà internazionale sempre più fittamente popolata di princìpi, responsabilità e istituzioni condivisi e quindi, proprio in virtù di tale condivisione, efficaci nell’assicurarne un governo. Che si tratti di una stagione irrimediabilmente trascorsa, oppure che sia ancora possibile invertire la rotta del mondo, dipende ancora e non poco da quello in cui siamo disposti a credere, dalla saldezza dei nostri valori e dalla forza delle nostre idee. Senza illusioni, certo, ma sfuggendo anche a un determinismo rassegnato che non ha mai costituito una valida guida per nessuno, in alcun luogo e in alcuna epoca storica. Leadership forti per istituzioni forti: questa è l’associazione che dobbiamo provare a ricostruire per avere la minima chance che il passato non divori il futuro.
(Articolo pubblicato sul numero 138 della rivista Formiche)