Lo abbiamo detto qualche post fa. Anche se i trend ci raccontano che ci stiamo avviando verso il mondo delle Donne 4.0 e, dunque, verso una mutazione straordinaria del mondo economico e sociale, le statistiche del mondo del lavoro femminile, pur in continua crescita, mettono in luce una realtà comunque inammissibile.
Le ingiustizie e le discriminazioni continuano a essere la norma. Le percentuali dei passi in avanti sono elevate perché si confrontano con numeri iniziali molto bassi. Insomma, nonostante i progressi, è tuttora enorme la sperequazione con gli uomini in termini di salari, opportunità, accesso all’istruzione, alla salute e, nei Paesi più poveri, al cibo.
La parità tra uomini e donne sembra ancora lontana. Lo dicono i numeri: l’occupazione femminile nel nostro Paese è a quota 48,8% (un dato bassissimo ispetto al 65% di quella maschile e all’80% delle donne occupate in Svezia), il 24% delle neomamme viene licenziata dopo il primo figlio, e tra gli amministratori delegati di grandi aziende solo il 3% è rappresentato da esponenti del mondo femminile.
Ecco perché la crescente femminilizzazione del lavoro rappresenta uno dei maggiori cambiamenti attesi per il futuro. Un numero sempre maggiore di donne vanta un’istruzione di grado superiore e carriere sempre più importanti a livello globale. Molti rapporti sulle carriere delle donne indicano che, pur esistendo ancora un forte “gender gap”, le donne sono più preparate, si laureano prima, sono più innovative e, soprattutto, sono portatrici di un mix di competenze non solo tecniche, ma anche relazionali, che offrono vantaggi competitivi importanti nell’economia delle reti.
Ma c’è di più. In futuro, questa dinamica trasformerà uno degli ambiti in cui l’approccio di uomini e donne risulta più diverso: quello dell’assunzione dei rischi. In sistemi incerti come l’attuale, ci sarà una massiccia compressione dei rischi in ambiti strategici come la medicina, la finanza, il traffico e le grandi reti infrastrutturali (tutti settori dove i processi di risk management sono fondamentali) a seguito della sempre più frequente scalata delle gerarchie societarie da parte delle donne. Perché le donne, come dimostrano i dati, gestiscono i rischi molto meglio degli uomini.
Lo dimostrano le ricerche annuali di Catalyst, una delle più importanti società internazionali di consulenza, sulle aziende presenti nell’indice di Fortune (le prime 500 a livello globale). Tali studi indicano come la maggior presenza delle donne nei CdA determini una maggiore capacità di produrre ROE (return on equity = redditività) a parità o con diminuzione dei rischi assunti.
Ecco perché le capacità e le sensibilità femminili saranno sempre più attrattive in un mondo in cui preziose sono le connessioni, l’interdisciplinarietà, la trasmissione di conoscenze. Insomma in un mondo in cui è vitale una logica inclusiva, aperta al contesto, lla questione “parità di genere”, vista con gli occhi di oggi, è una delle condizioni essenziali per uno sviluppo sostenibile delle nostre economie, come ho cercato di evidenziare nel mio ultimo libro “Rilanciare l’Italia facendo cose semplici” (Giacovelli Editore). Fare leva sulle donne è una cura contro il declino del nostro Paese.
E’ per questo che dobbiamo incentivare lo smart working che “concilia” e libera tempo per tutti, ma soprattutto in favore delle donne. Perché, in questo caso, la tecnologia non prende il posto dei lavoratori, ma cambia il modo di lavorare. È per questo che lo smart working è il nuovo mattoncino elementare del capitalismo e delle donne 4.0.
Non è affatto la stessa cosa lavorare in fabbrica, in azienda o a casa propria davanti al computer. Smart working significa lavoro intelligente, lavoro agile: ognuno di noi può lavorare ovunque, in qualsiasi momento e da tutti i dispositivi. Un modo diverso di concepire il lavoro, che non è più legato ad uno spazio fisico e ad orari prestabiliti. Una sola conseguenza: l’ufficio è dove siamo noi.
Ma lo smart working rappresenta anche una sfida evolutiva per i modelli organizzativi. La persona che lavora in remoto è motivata perché risparmia del tempo e riesce a svolgere le altre, eventuali funzioni domestiche. Le donne, prima di tutti gli altri, perché così possono lavorare in un ambiente che le rende più produttive. E maggior produttività, minor costo del lavoro, time management più efficiente, minori costi di trasferimento e inquinamento, vogliono dire più conto economico ma anche più felicità.
È per questo che l’implementazione dello smart working può avere un notevole impatto sulle politiche di conciliazione, sull’operatività e la produttività delle “quote rosa” in azienda; i tempi di rientro dalla maternità, ad esempio, possono essere abbreviati grazie alla modalità di “lavoro agile” e anche il tasso di assenteismo legato ai primi mesi di vita dei figli è ridotto dalla possibilità di lavorare “intellettualmente” da casa. Dobbiamo trovare le risorse e le modalità per incentivarlo.
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