Nelle settimane passate molti commentatori si sono esercitati nel preconizzare la fine, il superamento, il cambio di nome del Pd. Potrebbe sembrare l’ennesimo dibattito autoreferenziale dei vecchi media italiani a distanza siderale dal comune sentire del Paese reale. In parte lo è davvero, viste pigrizia e indolenza con cui si leggono i fenomeni e si intervistano i leader. Ma la sopravvivenza del Pd è tutt’altro che indifferente al corretto funzionamento della democrazia italiana. Banalmente, può questa maggioranza interpretare tutti i ruoli in commedia, cioè quella del governo e dell’opposizione? Ovviamente no, e non servono richiami storici o costituzionali per spiegarlo.
Arriviamo quindi al primo punto, la necessità che il Pd superi questa fase critica della sua storia è interesse generale di tutti. Ma cosa significa per il Pd sopravvivere? Questa domanda è più complessa. Riguarda due strade: la prima su come si fa opposizione, la seconda su come si costruisce l’alternativa. Entrambe le strade, però, necessitano di pazienza e coraggio. Servono infatti pazienza e coraggio per accettare il principio di realtà che vede il consenso dei gialloverdi crescere nell’opinione pubblica, come anche per smettere di inseguirli sul loro terreno politico e quindi comunicativo nei modi, nei metodi, negli stilemi e negli strumenti.
Bisogna essere pazienti e coraggiosi nel decidere di invertire la rotta e lasciare i sicuri porti (ormai sempre più scarsi) che hanno permesso alla sinistra occidentale di governare negli anni ’90 quasi tutte le democrazie liberali, non perché non sia stato giusto farlo allora, ma perché quelle parole, quei valori, quelle ricette non funzionano più e generano solo rabbia. E infine ci vogliono pazienza e coraggio per prendersi insulti e fischi, senza scomporsi, senza sbracare, senza accampare scuse, anzi considerandoli inevitabili per tornare a mettere mani e piedi nei conflitti e nei disagi della società, che forse troppo a lungo sono stati negati.
Il riconoscimento del rapporto conflittuale tra opinione pubblica e Pd è forse uno dei passi più importanti fatti da Maurizio Martina in questi mesi, e da questo punto di vista condivido l’idea che il Pd (e in genere la sinistra) debba ripartire da lì. Da qualche giorno scrivo che ho l’impressione (non avendo ancora dati da analizzare) che questo Pd di strada che torna ad ascoltare e a incontrare i conflitti del Paese reale stia funzionando. Non solo la presenza a Genova di questi giorni, ma la centralità, anche fisicamente comunicata, delle periferie (valgano ad esempio le foto di Martina nel campetto dell’Arci a Scampia), l’intervento al molo di Catania nel momento più acuto di scontro istituzionale sulla vicenda della nave Diciotti, e infine il passaggio odierno ad Amatrice per commemorare il terremoto di due anni fa.
In questa volontà di stare fianco a fianco alle comunità e alle persone, di essere vicini e prossimi a chi sta più in difficoltà, leggo i prodromi di una ripartenza, di una strada che tiene insieme opposizione dura e senza sconti alla politica deumanizzante del governo e, allo stesso tempo, la costruzione di un’alternativa civica e popolare.
Quest’ultima, infatti, può nascere solo rammendando gli strappi della società a causa dei quali moltissimi si sono sentiti lasciati indietro ed esclusi. C’è da nutrire buone speranze per il futuro dell’Italia intera, e non solo del Pd.