Scoprii ventotto anni fa in Cina, entrando nella scala delle quantità incommensurabili, come i numeri possono dare e togliere valore alle teorie, ai principi e dunque alla politica. Uno Stato sovrano di cinque milioni di abitanti è, infatti, cosa diversa, almeno dal punto di vista del controllo del territorio, da un ordinamento che conta un miliardo e mezzo di persone. I numeri c’entrano, eccome, e rimodellano valori e agenda delle priorità. Qualcosa di simile accade oggi con l’egemonia della comunicazione digitale. La platea dei partecipanti alla narrazione pubblica ( uso non casualmente il termine narrazione) è sconfinata. La comunicazione digitale adopera una grammatica diversa da quella usata tradizionalmente- cartastampata, orale e perfino televisiva- accettando canoni semplificativi per condividere concetti. I 140 caratteri originari del tweet ( e i 140 byte degli sms) cominciano ad essere già una misura “lunga” e ciò che si addice di più è lo schema binario: si o no, buoni/cattivi, amici/nemici. La complessità viene bandita e così l’approfondimento. Ma il messaggio raggiunge così moltitudini con aggressività virale.
La psicologia sociale spiegherebbe che la selezione delle “notizie” nel mare dell’overdose informativa ( che, peraltro, significa nessuna informazione), avviene capovolgendo la logica dell’attingimento a fonti plurali: mi sento attratto solo dalla notizia urlata che da’ giustificazione alle mie paure, ai miei rancori, a quel malmostoso sentimento di ostilità che, soprattutto nei periodi di crisi, serpeggia nella pubblica opinione.
Il dissenso diventa energia politica ma ha la necessità, nella Rete, di restare una forza dal connotato dichiaratamente antagonistico e orientato verso un nemico. Da segnalare in una sessione scientifica la strategia comunicazionale delle forze di governo nella tragica vicenda di Genova, strategia che è riuscita ad orientare il sentiment negativo della pubblica opinione verso le opposizioni. Che le ( molto debilitate) opposizioni lo meritassero o no non è questo il punto: ciò che rileva è la capacità di tenuta nella Rete di un consenso nei confronti del governo che si afferma come risultante del rifiuto radicale e antagonista degli “altri”. E la comunicazione digitale resta il moltiplicatore del rumore di fondo su cui poggia l’intero sistema dei media. Può durare?
Certo c’è una tragica volatilità del consenso coagulato in questo modo: non è una stabile conquista ma un effimero ripiegamento sostenuto da un’odio più grande verso altri. Ma non c’è dubbio sul fatto che il “discorso pubblico” fuori dalla grammatica dei nuovi media rischia di diventare faticoso e forse incomprensibile. Le opposizioni a questo governo esibiscono un lessico obsoleto: che la loro proposta abbia o meno un contenuto, di certo usa forme espressive non più comprensibili. Quando sarà finita la luna di miele del governo gialloverde con gli elettori, e non c’è dubbio che finirà, si rischierà seriamente di non trovare oppositori in grado di garantire un’alternanza. Che è il vero nutrimento della democrazia dei moderni.