Il mio non essere un nativo digitale, se da un lato mi ha fatto percepire non come fatto naturale ma come una orgogliosa conquista l’uso del web, dall’altro non mi ha tolto l’abitudine di scrutare l’altrui pensiero dalla carta stampata, di sentirne la materialità fatta di cellulosa e inchiostro e di apprezzarne l’amichevole odore. Il che mi fa, ancora oggi, consumatore compulsivo di libri, riviste, giornali. Tutta roba dove trovi a chiare lettere il nome e cognome dell’autore che si prende la responsabilità di quel che scrive.
Come molti della mia generazione presi l’abitudine alla lettura da ragazzo, insieme all’ascolto della musica inglese e americana, il rock e il blues, come nuova armonia musicale del mondo, al culto per i viaggi come strumento di conoscenza del mondo, alla passione per la politica come strumento di cambiamento del mondo. Da liceale il tempo dedicato alla lettura era importante e così il tempo dedicato al confronto delle idee. Chi si sentiva attratto dalla politica-e non eravamo pochi- si imbatteva spesso nell’enigma coltivato da certa stampa sull’esistenza di un “grande vecchio” che tirasse le fila di tutto. L’idea era che la vita pubblica in Italia, quella “in chiaro” ma anche quella “occulta”, fosse, dunque, governata non da personalità democraticamente elette negli organi di rappresentanza, ma da personaggi misteriosi che,ad uno scoccare di dita, fossero in grado di generare governi e crisi di governo, tenuta della lira e inflazioni, nomine di manager ai vertici dello Stato e loro rimozioni.
Peraltro per un certo tempo è stata in auge la versione del “grande vecchio” criminale, una specie di Spectre nazionale che si faceva centro di imputazione di tutte le più torbide malefatte che hanno attraversato gli anni ’70 e ’80, in modo particolare i molti lutti fatti dal terrorismo. Quest’ultima versione, purtroppo, ha trovato alcuni filoni di validazione spiaggiati nel tempo odierno, intorno a questioni del passato rimaste per sempre in un ambiguo chiaroscuro: si pensi al caso Moro. L’ambito di cui parleremmo in questo caso, tuttavia, è quello non della politica ma di inquinamenti di qualche servizio. Tuttavia, se qualcuno oggi mi chiedesse se io abbia mai creduto ad un grande vecchio, ad un architetto supremo capace di dettare il palinsesto della politica di allora, io direi convintamente di no.
La forza della politica e la democrazia dei partiti erano tali da spezzare ogni tentativo di direzione dall’alto. Possiamo dire la stessa cosa oggi? C’è un grande vecchio che organizza la politica italiana, che aiuta la costruzione del consenso, che orienta segmenti importanti di pubblica opinione pro o contro qualcosa o qualcuno? La domanda ha un senso non solo a fronte delle conclamate manipolazioni on line realizzate a danno del Presidente Mattarella alla vigilia dell’investitura di Conte, ma anche guardando alla fragilità estrema della politica italiana. Da un lato uomini nuovi al governo che procedono sul terreno incognito, appunto, del governare usando il semplicismo degli slogan a misura di tweet, dall’altro un’opposizione che semplicemente non c’è.
La politica è fragile, l’Italia stessa è fragile mentre la comunicazione digitale, che è la declinazione attuale e definitiva della politica, non è stata mai così forte come oggi, e il governo di questa non è in mani italiane. Il punto è tutto qui: non sappiamo che età abbia, ma la fragilità della politica italiana, la mancanza di anticorpi nella pubblica opinione, l’egemonia della comunicazione digitale-le cui piattaforme sono sempre nelle mani di pochi-sono tutti elementi che rendono possibile la penetrazione di un “grande vecchio” nella scena pubblica nazionale.
È buffo: il fantasma vanamente evocato per decenni, magari solo per gettargli addosso le ragioni delle nostre insufficienze, e mai concretamente materializzatosi, oggi è vivo e lotta accanto a noi. Magari non è neanche un grande vecchio, magari è giovane, ma, c’è da giurarci, sta facendo quello che vuole.