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Salvini e lo scontro mediatico-giudiziario. È solo l’inizio

Che effetti avrà la vicenda giudiziaria di Matteo Salvini sul futuro del governo? Quali effetti ha prodotto e a quali rischi va incontro il ministro dell’Interno per il suo pugno dure nei confronti della vicenda della nave Diciotti? Sono interrogativi che abbiamo rivolto ad Andrea Camaiora, giornalista, esperto in comunicazione di vicende mediatico giudiziarie e di crisi. Camaiora, ceo dello studio di comunicazione The Skill, insegna Comunicazione trasparente e Litigation pr & crisis all’Università degli studi di Roma Tor Vergata e alla Business School del Sole 24 Ore.

Professor Camaiora, come vede la vicenda giudiziaria in cui è coinvolto il ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini?

È una cosa di poco conto sul piano giudiziario e rilevante sul piano mediatico.

Il ministro dell’Interno nella gestione del fenomeno migratorio sta ricorrendo a mezzi, indubbiamente, “rozzi ma efficaci” per utilizzare un’espressione cara a Berlusconi. Sta peraltro agendo nell’ambito delle sue prerogative sul piano del mantenimento della sicurezza nazionale. È evidente che ciò ha indubbie ripercussioni nazionali e internazionali. A livello interno, Salvini vede crescere il proprio consenso ai danni di altri settori del centrodestra e più in generale del panorama politico. A livello internazionale e più in particolare europeo, la “linea dura” italiana è una novità con cui tutti stanno facendo i conti. E le prime ripartizioni dei migranti, ma soprattutto lo spostamento del flusso migratorio verso la Spagna, sembrerebbero dare ragione al ministro dell’Interno. Vedremo cosa accadrà in futuro.

Intanto però la procura ha aperto un fascicolo su Salvini e alcuni suoi collaboratori.

Mi occupo di vicende mediatico giudiziarie ma non sono né avvocato, né magistrato. Tuttavia, varrebbe la pena di evocare la filmografia di Alberto Sordi quando in “Tutti dentro” il magistrato Salvemini, interpretato proprio da Sordi, riceve l’ultimo suggerimento dal suo anziano collega e predecessore che, citando Talleyrand, gli raccomanda: “Sourtout, pas trop de zèle” ovvero “Soprattutto non troppo zelo”.

Il pm di Agrigento ha ipotizzato un’indagine per arresto illegale e addirittura per sequestro di persona. Tesi ardita, come ha avuto modo di sottolineare ben più autorevolmente anche Carlo Nordio, per entrambi i reati: il primo, infatti, scatta quando c’è un arresto, e qui non risulta sia stato arrestato nessuno; il secondo si verifica quando la privazione della libertà personale è illegittima. Evidentemente, è assai difficile definire illegittima una decisione squisitamente politica, di competenza discrezionale del ministro.

E dal punto di vista comunicativo?

L’iniziativa giudiziaria contro Salvini ha l’immediato effetto di rafforzarlo. L’iniziativa giudiziaria, quando giunge su determinati fenomeni percepiti in un certo modo dall’opinione pubblica, come appunto è il caso dell’immigrazione, o quando il consenso intorno a un leader politico è molto alto, hanno l’effetto di renderlo più forte. Per giunta, questa iniziativa giudiziaria finirà al 90% con una archiviazione entro fine settembre. Aspetti, questi, che avrebbero dovuto raccomandare a chi l’ha avviata, appunto, di essere meno “zelante” e più cauto. C’è però un altro elemento che non è stato sottolineato nelle ultime ore più di tanto dai più acuti e attenti osservatori.

Quale?

Matteo Salvini ha scelto un linguaggio e modalità in linea con il suo stile, il suo posizionamento politico, la moda del momento in termini di comunicazione politica. Ha più volte ribadito slogan sia in tv sia sui social network del tipo #indagatemi, #arrestatemi. Ha detto: non aprite inchieste contro ignoti, vi fornisco le mie generalità, fino a scrivere su Facebook: “Ogni inchiesta, bugia, insulto, o minaccia perché difendo la sicurezza, i confini e il futuro degli Italiani, sono per me una medaglia” (26 agosto). Oppure lo stesso giorno: “Sempre più determinato a difendere gli italiani, un brindisi a chi indaga, insulta o vi vuole male!”. Ecco, questa equiparazione tra indagine e insulti, inchiesta e bugie, esercizio dell’azione penale, non è solo inelegante, ma non dovrebbe appartenere alla grammatica del ministro dell’Interno. Anche perché, nonostante tutto, la magistratura italiana non merita di essere trattata in modo sprezzante. È un pezzo di Stato che ha fatto e fa molto per tenere insieme il Paese, nonostante tutto. Ciò non significa che la magistratura non sia criticabile, né in quanto ordine, né per i suoi singoli appartenenti o per le iniziative o sentenze che emette. In passato, i politici toccati da iniziative giudiziarie anche sui generis che hanno ritenuto di contestarla, lo hanno fatto però in modo non irridente e provocatorio. Persino Berlusconi, tra i più aspri nel confronto con l’ordine giudiziario, spiegava determinate azioni di cui era destinatario con l’oggettiva appartenenza di una parte dei magistrati alle “toghe rosse”, un fenomeno indiscutibilmente esistente e caratterizzante da circa cinquant’anni comportamenti e anche determinazioni di requirenti e giudicanti. Salvini affronta invece l’ordine giudiziario scegliendo una modalità urticante, spesso eccessiva, ed esponendo il petto, come a dire, l’obiettivo sono io: colpitemi pure.

È un comportamento che secondo lei può avere conseguenze?

Non tutte le iniziative giudiziarie hanno la debolezza intrinseca di quella mossa dalla procura di Agrigento e non tutti i casi mediatico-giudiziari hanno per effetto un rafforzamento di chi vi si trova coinvolto. Salvini, comportandosi in questo modo, trasmette l’idea che non ha nulla da nascondere, che non ha personalmente alcuno scheletro nell’armadio. Tuttavia, anche considerando certo questo assunto, ci permettiamo sommessamente di rilevare che l’antico adagio dei nostri genitori, “male non fare, paura non avere”, si rivela fallace in ambito giudiziario e mediatico giudiziario da tanto, troppo tempo. Senza contare che il leader della Lega può sentirsi sicuro del proprio operato, presente e passato, ma può onestamente mettere la mano sul fuoco per tutti i suoi collaboratori e dirigenti, da nord a sud? L’Italia negli ultimi cinque anni è cambiata molto, moltissimo, e tutto è diventato difficilmente prevedibile. Ma una certa esperienza in questo campo ci fa pensare che – al netto dell’inchiesta sui fondi della Lega – della storia del confronto tra Salvini, il suo partito e la giustizia è stato scritto solo il primo e più breve capitolo.

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