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La tempesta finanziaria sull’Italia? Si può evitare e il prof. Fortis spiega come

Sebbene sul rating dell’Italia si può attendere – almeno fino alla presentazione del Documento di Economia e Finanza – sulla crescita i numeri parlano chiaro. Molto chiaro. Per questo l’agenzia americana Moody’s ha annunciato oggi il declassamento sulle stime di crescita del Prodotto Interno Lordo Italiano dall’1,5% al 1,2% per il 2018 e dall’1,2% all’1,1% per il 2019. La motivazione: durante il secondo trimestre di quest’anno c’è stata una forza inferiore alle attese.

Diverse decisioni ma collegate? Sull’Italia sembrano esserci tutti gli indicatori: una tempesta perfetta sta per arrivare.

In una conversazione con Formiche.net, Marco Fortis, vicepresidente di Fondazione Edison e docente alla Cattolica di Milano, ha spiegato che il declassamento della crescita da parte di Moody’s non è una sorpresa: rispetto all’anno scorso c’è un rallentamento forte. Ed è un trend condiviso dal resto dell’Europa. In quasi tutti i Paesi della zona euro l’adeguamento generale delle previsioni è ritoccato verso il basso.

Invece la scelta di rimandare la pubblicazione del rating è una decisione prudenziale. Non tutto è perso. L’agenzia vuole prima vedere quale sarà la linea del nuovo esecutivo italiano. Se con i fatti in materia di politica economica sarà onorato il contratto di governo siglato tra il Movimento 5 Stelle e la Lega (con la sfida alle regole dell’Unione europea e la revisione degli impegni europei) o se pervaderà la linea prudente del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per evitare la crisi. “Rinviare il rating è una scelta tattica – spiega Fortis -. Loro vogliono capire quale sarà l’orientamento delle politiche economiche. Fino ad ora ci sono stati molti annunci e proclami ma nulla di concreto. […] Il ritorno alla normalità dipenderà da cosa sarà annunciato”.

I mercati finanziari sono molto sensibili a queste dinamiche. E la complessità del panorama dipende dalla concatenazione delle reazioni. Con l’abbassamento delle prospettive di crescita viene meno la fiducia nella stabilità economica del Paese e, di conseguenza, si attiva la fuga degli investitori stranieri dai titoli di Stato. A maggio del 2018, quando è stato annunciato il programma di governo sono partiti 34 miliardi di euro e a giugno altri 38 miliardi di euro. E chi ricompra i bond italiani? Banche e istituzioni finanziarie interne. “Che il mercato diventi sempre più domestico è un disastro, una dimensione di autarchia – spiega Fortis -. Anche se il debito italiano in rapporto con il Pil non è altissimo in termini percentuali (rispetto a Paesi come il Portogallo, ad esempio), lo è in termini di valori. Il debito italiano è già in poche mani straniere, poco più del 30%. Non abbiamo debito esposto all’estero”.

La calma di questi ultimi anni è stata, in parte, artificiosa. Fortis ricorda che “la Banca Centrale Europea ha acquistato titoli di Stato di tutti i Paesi europei, e queste operazioni hanno tenuto sotto controllo gli indici di spread. Ora che gli acquisti tramite l’euro-sistema finiscono si ritornerà a giocare con le vecchie regole”.

Sul tavolo le carte sono allo scoperto: gli acquirenti di titoli di Stato italiani sono stranieri e italiani. I cittadini italiani non comprano altri titoli, hanno 50 miliardi di euro. Le banche, assicurazioni ed enti finanziari sono al loro massimo. Gli unici potenziali compratori sono sul mercato estero.

Fortis teme più la natura di certi derivati tedeschi e francesi che i Btp. Ricorda però le dinamiche che reggono i mercati finanziari e i ragionamenti degli investitori: “Si può annunciare e proclamare quello che si vuole, ma poi bisogna vedere quali sono le misure concrete che si mettono in atto. Come investitore, se prevedo un bagno di sangue mi libero dei titoli di Stato di quel Paese. Non ci sono complotti. La dinamica è molto semplice”.

L’economista avverte che “se la finanziaria dichiarerà la guerra all’Ue, la fuga di stranieri sarà di decine di miliardi di euro e lo spread italiano andrà alle stelle”. Una circostanza che conviene agli altri Paesi europei, anche loro con titoli di Stato piazzati sul mercato, pronti alla vendita dei suoi. E conclude: “Il quadro è tirato. Non critico, ma se si insiste su una certa linea questa criticità si potrà facilmente materializzare”.

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