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Troll e fake news, perché Renzi vuole andare in Procura

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La proliferazione di fake news e l’attività di troll volte a influenzare la politica italiana non vanno sottovalutate, perché su episodi come questi “si gioca parte del futuro” del Paese. È fermo Matteo Renzi nell’aspettarsi chiarezza circa i due principali casi informatici sui quali le autorità indagano in queste ore, ovvero l’attacco web al presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo il ‘no’ a Paolo Savona ministro dell’Economia e la pubblicazione, da parte del sito americano FiveThirtyEight, di milioni di tweet associati che dimostrerebbero un intervento sistematico russo sui social media per condizionare l’opinione pubblica, anche italiana.

L’ex presidente del Consiglio ha chiesto oggi ai pm di essere ascoltato come testimone, e non soltanto sui fatti più recenti. “Questa vicenda è tutt’altro che una bolla di sapone. Ce la ritroveremo, a settembre”, ha detto Renzi in diretta Facebook, aggiungendo che “le fake news sono oggetto di indagini internazionali e molti sospettano che ci siano potenze intervenute su eventi politici, anche sul referendum costituzionale del 2016”. È alto il rischio che queste parole, che rievocano uno degli inciampi politici più grandi per l’ex premier, possano essere lette solo con la lente della partigianeria, tanto più dopo la richiesta dei dem di aprire una commissione parlamentare d’inchiesta sul tema delle bufale. Ed è anche piuttosto scontato che le informazioni a disposizione di Renzi non siano risolutive: quello che sa, evidentemente, non è sufficiente a dare corso a una denuncia formale che avrebbe altrimenti già dovuto e potuto fare.

Tuttavia, pur con tutti i limiti del caso, quanto ha da dire potrebbe risultare utile alla magistratura, anche solo per avere un ulteriore punto di vista su alcuni degli episodi più importanti dell’ultimo biennio legati al tema della disinformazione online. Non solo. Da inquilino di Palazzo Chigi, infatti, l’esponente del Pd è stato anche a capo dell’intelligence nazionale, che sul tema delle interferenze estere non ha mai abbassato l’attenzione, come dimostrano i passaggi (in chiaro) presenti nell’ultima relazione dei servizi segreti al Parlamento.

C’è poi un lato internazionale di cui tener conto. Ambienti politici e diplomatici d’oltreoceano non hanno mai nascosto i loro timori per le azioni e gli effetti che la propaganda dell’Internet Research Agency e della galassia di media filo-russi potessero avere sull’Europa. Le previsioni si sono poi effettivamente confermate con campagne online che hanno spaziato dalla Francia (con gli attacchi a Macron) al Regno Unito (dove è stata fomentata la retorica pro Brexit).

La paura per queste interferenze, avvertì Washington, riguardava anche l’Italia, chiamata di lì a poco a esprimersi nelle urne sul referendum del 2016 prima (noto l’allarme lanciato dall’ex vicepresidente Usa Joe Biden) e sulle elezioni politiche del 2018 poi. E si è scritto che del tema Renzi parlò poi negli Stati Uniti anche con Barack Obama.

Oggi iniziano finalmente ad emergere con chiarezza alcune di queste attività di interferenza, che potrebbero tuttavia essere solo la punta dell’iceberg. Per stabilire la vera portata della disinformazione, anche nel nostro Paese, servirà andare a fondo e raccogliere il maggior numero di elementi possibili.

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