Dalla “Nostalgia di futuro” allo slogan “più lavoro, più crescita e meno deficit”, la retorica di Vincenzo Boccia elimina qualunque dubbio sul ruolo che gli industriali italiani desiderano interpretare all’interno dell’agenda setting governativa. Una posizione netta ripresa anche all’ultimo meeting di Comunione e Liberazione a Rimini che evidenzia un disagio crescente, che si riflette quotidianamente sul patto sociale a giudicare dal rancore e dalla rassegnazione che aleggia nel paese. Insieme a Boccia anche Gianni Letta a Rimini ha evidenziato l’eccesso di incertezza e la mancanza di una vera leadership all’interno del nostro Paese.
L’incidente di Genova ha portato alla luce una crisi sociale che pone la parola fine tra passato e futuro e che evidenzia una necessaria rielaborazione di visione dello Stato che possa dare nuovamente dignità alle persone prima ancora che alla politica. L’odio sociale, la desolazione relazionale e la mancanza di futuro renderà sempre più complicato riformulare un corretto formato di stato.
Chi come Confindustria deve avere una visione di lungo termine ispirata a dati di realtà la porta ad interrogarsi sul suo ruolo nei confronti dell’attuale governo giallo-verde. Confindustria è oggi, in maniera evidente, portavoce non della crisi economica ma della crisi sistemica che ci affligge: viale dell’Astronomia ha bisogno di rappresentare un ruolo politico, caratterizzato non più solo da interessi o da esigenze di categoria ma dalla necessità di risposte chiare alle problematiche nazionali, alla portata di qualunque lavoratore e cittadino italiano.
Vincenzo Boccia nel corso del suo mandato manifesta la necessità di costruire “insieme” invece di distruggere e pone la cooperazione come valore fondante per la stesura di una nuova visione di mercato in cui la lente della globalizzazione sia quanto mai inclusiva e protesa a collegare non solo imprese e territori, ma soprattutto persone.
Boccia inaugura quindi l’Umanesimo 4.0 e la sua strategia è quella di essere uno dei protagonisti della “rete” per aprire una nuova stagione che metta uomo ed istituzioni in combinazione con prospettiva e crescita. Una sfida concreta che ponga in evidenza la difficoltà oggettiva del governo di essere sintesi, non solo dal punto di vista politico ma anche di posizionamento su molti, o forse tutti, i dossier targati “Made in Italy”: Ilva, Autostrade, grandi opere, immigrazione, sviluppo economico, defiscalizzazione.
Boccia ha compreso la sfida giovane dell’Italia, reinserire le nuove leve economiche all’interno della “fabbrica” del lavoro, investendo su formazione e ricerca e riconoscendo che l’ultima fase dell’industria 4.0 – dall’economia reale all’economia digitale, dal crollo dell’idelogismo degli atti di industria alla semplificazione del rapporto tra formazione e negoziazione contrattuale – ha bisogno di visioni sistemiche e gestione della complessità che manca del tutto ai twittatori compulsivi.
La visione espansiva confindustriale si incastona perfettamente all’interno del dibattito pubblico quasi fosse un invito al governo di riconsiderare i suoi posizionamenti di politica economica in vista del nuovo bilancio europeo 2019-2024. Una soluzione “di buon senso” in un momento storico in cui la distruzione creativa dei paradigmi economici pone il lavoro nuovamente al centro della discussione socio politica soprattutto se legato al tema dell’innovazione comunicativa.
Un binomio quello di lavoro e comunicazione ormai sempre più cruciale nella costruzione di strategie di mercato e nella programmazione dell’attimo prima della consapevolezza di una visione a lungo corso che può delineare un successo o una sonora sconfitta.
Saper comunicare significa saper creare: “valori e valore” che oggi pone le sue radici sulle capacità umane di saper comprendere la fenomenologia e la rivoluzione sociale in corso.
Oggi comunicare rappresenta quindi l’unico elemento innovativo e di congiunzione per la costruzione di una nuova rivoluzione industriale in cui il capitale tecnologico e quello umano non siano in conflitto ma anzi alleati per la crescita condivisa come via d’uscita all’impasse economico finanziario ormai dominante nella società e nei suoi progressi. Nell’era in cui conoscenze e competenze sembrano essere gli unici strumenti per la costruzione di una nuova classe dirigente e di lavoratori in grado di competere sui grandi temi del nostro millennio, il concetto di “massa” e “massificazione” dell’immaginario collettivo post industriale perde forma, lasciando spazio ad un acceso dibattito sui “nuovi poveri”che diventano giorno dopo giorno nuovi protagonisti dei drammi sociali tra emarginazioni e chiusura di possibilità di mercato.
Nell’equazione in cui il lavoro rappresenta la variabile chiave per lo sviluppo di una società e il benessere della sua popolazione, tale processo viene alterato da nuove variabili ormai sempre più presenti nel dibattito pubblico quale l’inquinamento, i diritti umani, l’energia, l’immigrazione, la delocalizzazione, i nuovi mercati e le nuove realtà in via di sviluppo. Questioni che non hanno risposta univoca né vogliono averla, ma che riconosciamo cruciali per la costruzione di una piattaforma di confronto che parta anche da basi e punti di vista differenti, ma con obiettivi comuni, in primis il benessere della collettività. Il Meeting di Rimini e Confindustria hanno posto al centro della loro visione il dialogo e la condivisione di esperienze, riconoscendosi un luogo e un ruolo ideale per costruire donne e uomini in grado di comprendere passaggi decisivi del nostro divenire.
La sfida del XXI secolo passa ancora una volta dalla creatività, dalla responsabilità, dalle conoscenze, ma anche dal coraggio e dall’entusiasmo di accettare sfide che seppur grandi devono essere e sono raggiungibili. Una mission che pone al centro non solo aspetti strategici e prospettici, ma l’anima di un mondo che ha bisogno non di risposte certe ma di ispirazioni reali. La visione politica di Boccia e di Confindustria potrebbe comprendere più target e più corpi intermedi: che nasca un partito degli industriali dopo quello dei tecnici? Forse. Magari con Carlo Calenda e il mondo repubblicano che in Italia non ha voce ma ha le mani e testa per immaginare nuovi modi di comunicare.
Una cosa è certa: i sogni dei singoli possono diventare i sogni della collettività ma solo con una pacificazione sociale, in cui “essere” come valore identitario significa riconoscersi ed essere riconosciuti come tali. Non per confliggere o per lottare inutilmente gli uni contro gli altri, ma per creare un nuovo rinascimento italiano.