L’Africa è un continente determinante per il nostro futuro. Un continente che è segno di contraddizione, dove le piccole speranze di crescita e di sviluppo non possono, almeno fino ad oggi, riequilibrare le condizioni drammatiche di partenza. Si pensi al dato demografico: nel 1950 in Africa vivevano 250 milioni di persone, oggi sono 1,2 miliardi e nel 2050 saranno fra i 2,3 e i 2,4 miliardi. Un dato che è indissolubilmente legato ai grandi problemi dell’Europa di oggi: la migrazione fa parte della quotidianità del Vecchio continente. Cina e Stati Uniti sono sempre più interessati all’Africa, ma in modo del tutto diverso. Gli Stati Uniti hanno quasi conquistato l’autonomia energetica grazie allo shale oil e allo shale gas, e godono di significativa prosperità agricola e di un’abbondanza di materie prime. Il loro interesse per l’Africa è quindi un interesse prettamente strategico.
Quello cinese è invece un interesse vitale. La Cina, il più grande produttore industriale del mondo, con il 20% della popolazione mondiale e il 7% di terre arate, ha bisogno di cibo, materie prime ed energia, e conta di trovarle proprio in Africa. Pechino ha iniziato una politica africana determinata esportando contemporaneamente, per la prima volta nell’umanità, merci, lavoratori, capitali e tecnologie. Una novità assoluta. La diversità di interessi tra i due Paesi lascia dedurre – almeno secondo un principio di razionalità che in quanto tale non può tenere conto delle variabili sempre possibili – che non ci sarà uno scontro tra Cina e Usa per l’Africa. La Cina ha ora relazioni diplomatiche con 52 Paesi africani su 54, sta stringendo i suoi rapporti con la seppur fragile Unione africana e partecipa attivamente alle missioni di peace keeping, l’unico tra i Paesi del Consiglio di sicurezza ad avere una forte presenza nelle truppe delle Nazioni Unite. Non mancano ovviamente alcuni problemi, che talvolta sfociano in veri e propri scontri, per esempio a causa del numero troppo basso di lavoratori africani impiegati nelle attività economiche cinesi o per la presenza cinese a volte troppo invasiva, oltre al problema del land grabbing, un fenomeno che però non è solo cinese. La caratteristica della presenza cinese in Africa è quella di astenersi con molta cura da qualunque interferenza politica, almeno sulla carta. Ricordo che il presidente del Senegal, ospite del G7 del 2007, ci disse, “ho fatto più affari col presidente cinese mezz’ora fa che in quattro anni con voi”. Un episodio che rende conto della velocità di reazione cinese.
Pechino è stata protagonista dello sviluppo africano negli ultimi anni: se dovessi elencare i due principali elementi di sviluppo in Africa direi Cina e telefoni portatili. La crescita africana è stata buona negli ultimi anni, più alta della media mondiale. Ma a causa delle condizioni drammatiche precedenti, il Pil africano, come percentuale del Pil mondiale, è identico a quello dell’inizio degli anni 80. A ciò si aggiunga che nei Paesi subsahariani la crescita demografica è in molti casi superiore alla crescita dell’economia. L’età mediana italiana si aggira sui 46-47 anni, quella dei Paesi subsahariani è 17 e mezzo. Persistono aspetti di arretratezza che dovrebbero essere oggetto di una profonda riflessione per il futuro del Continente africano: l’Africa possiede un quarto di tutte le terre coltivabili del mondo e un settimo degli abitanti, ma è un importatore di cibo! Il continente soffre anche per la sua frammentazione, politica ed economica. L’Unione africana ha appena abbozzato un’idea di mercato comune africano, la via maestra da percorrere, ma per il quale ci vorrà ancora tempo. Così come necessario e strategico è il passaggio agli investimenti in sistemi di trasporto e comunicazione senza i quali anche gli accordi commerciali sono inutili. Esiste poi un problema non secondario: purtroppo larga parte dell’Africa è ancora devastata dal terrorismo. Anche dove non ci sono attentati e vittime, la presenza delle terrorismo crea un’insicurezza tale da rendere precaria ogni cosa. A questo si unisce il problema della governance.
Abbiamo tutti gioito per il passaggio alla democrazia di molti Paesi africani, tuttavia i vincitori delle elezioni si sono poi arrogati un diritto quasi patrimoniale sui Paesi che avrebbero dovuto governare con un nuovo spirito. Sono infatti proprio i presidenti eletti che, non volendo più obbedire alla costituzione e non volendo lasciare il potere conquistato, causano la maggior parte dei conflitti. Conflitti che sempre meno frequentemente insorgono tra i diversi Paesi e sono invece sempre più interni con dimensioni e conseguenze devastanti. L’Onu, da parte sua, ha un ruolo sempre più limitato, interviene nei “piccoli problemi” – che pure sono gravissimi –, ma in questa fase storica, dove entra in gioco l’interesse del Consiglio di sicurezza, le Nazioni Unite sono paralizzate.
L’Europa invece è molto attenta all’Africa, con aiuti e interventi, ma è ancora priva di una politica organica europea. Quando ero presidente della Commissione europea se sorgeva un problema in un Paese francofono l’incarico dell’istruttoria veniva dato alla Francia, se anglofono alla Gran Bretagna. E questo andamento delle cose si ripete continuamente nella storia dei rapporti europei con l’Africa e si associa a tanti episodi di corruzione con i governi. Il 2 luglio, al vertice dell’Unione africana, c’era Macron, protagonista di una politica estera che negli ultimi tempi è stata “franco-francese”, in Libano come in Siria e in Libia. E in assenza di una politica europea strutturata e unitaria anche l’ultimo vertice europeo non ha prodotto nulla in fatto di politica europea sulla migrazione, ma è giunto alle abituali decisioni di carattere puramente emergenziale e non solidale. So che può sembrare utopico e che in politica estera si incontra difficilmente l’utopia, ma io penso che un piano di interventi – sino-europeo – possa aiutare uno sviluppo ordinato dell’Africa e decolorare questa influenza specifica dei diversi paesi sui governi africani. È complesso, ma Europa e Cina, a differenza di Stati Uniti e Russia, hanno interessi convergenti e il problema africano si risolve solo con un grandissimo programma di interventi infrastrutturali, agricoli e industriali. Questa è l’unica via per affrettare lo sviluppo africano.
Articolo pubblicato sul numero 139 della rivista Formiche.