L’autonomia universitaria esige un impegno costante e responsabile. L’accademia ha infatti il compito di programmare il suo futuro e, attraverso la gestione dei concorsi, dotarsi delle migliori competenze scientifiche.
Il rigore delle scelte rappresenta l’unica garanzia reale nel rapporto tra l’università e la società, l’unica assicurazione per i giovani e le loro famiglie di una solida certezza formativa. È questo il modello che governa il mondo universitario, la cui qualità si misura attraverso risultati scientifici e didattici.
Il buon nome di un ateneo si consolida nel tempo e non può essere affidato a valutazioni estemporanee da parte di persone prive di conoscenze specifiche, proprio perché queste genererebbero l’esito contrario: libererebbero l’autonomia dalle sue responsabilità.
Introdurrebbero criteri separati dalle competenze maturate attraverso ricerca e didattica, agganciandoli alla superficialità di un giudizio che, alla rincorsa di episodiche occasioni di fisiologica incoerenza, risulterebbe del tutto avulso dai principi scientifici della formazione superiore.
Il mondo accademico deve rivendicare queste sue prerogative e spiegare che anche le lentezze che si riscontrano nel modificare gli obiettivi formativi, spesso esasperate dalla burocrazia, appartengono alla necessità di mettere bene a fuoco i traguardi che i futuri laureati dovranno proporsi nel mondo del lavoro.
Tutto ciò richiede una conoscenza che non può essere semplificata e affidata alla caccia aggressiva di una “iena” che, spinta da appetiti famelici, non può aiutare a rafforzare la trasparente costruzione di una comunità accademica e la maturazione di un percorso formativo.