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La corruzione allontana gli investimenti dall’Italia. Il rapporto

corruzione

Se la corruzione diminuisse del 10%, aumenterebbe del 28% il flusso degli investimenti stranieri in entrata. E ancora, se la qualità delle istituzioni migliorasse del 10%, si otterrebbe un incremento della presenza delle multinazionali sul totale delle imprese pari all’’11,6%. I dati emergono dallo studio dal titolo “Italia interrotta: il peso della corruzione sulla crescita economica”, curato dall’associazione indipendente Riparte il futuro e dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e presentato oggi a Montecitorio. All’appuntamento – introdotto dalle considerazioni del presidente della Camera Roberto Fico – hanno partecipato il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, il direttore del fattoquotidiano.it Peter Gomez, il direttore di Agi Riccardo Luna e il professore di Economia politica dell’Università di Roma Tor Vergata Gustavo Piga, oltre a Federico Anghelé di Riparte il futuro e al presidente I-Com Stefano da Empoli.

IL CONTESTO

A pochi giorni dall’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge cosiddetto spazza-corrotti voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il report giunge a dimostrare una tesi cruciale: non solo la lotta alla corruzione “farà risparmiare miliardi di euro allo Stato”, come ha affermato il vicepremier Luigi Di Maio, ma potrebbe aumentare l’afflusso di investimenti, le opportunità di lavoro specialmente per i giovani e contribuire a rendere il nostro Paese più competitivo e prospero.

Come evidenziato dal premier Conte, lo sviluppo economico dell’Italia passa anche da misure che contrastino la corruzione. “Senza questa consapevolezza – ha affermato Federico Anghelé di Riparte il futuro – è difficile porre le basi per un reale contrasto e un’efficace prevenzione della corruzione. Per questo la nostra associazione, da cinque anni al fianco della società civile impegnata nella lotta al fenomeno, ha deciso di affrontare il tema con uno studio inedito per metodologia e fonti adottate. Il nostro obiettivo è offrire un accurato riferimento scientifico e agire da pungolo per motivare le Istituzioni a fare la loro parte”.

LO STUDIO

Lo studio, condotto sulla base di analisi statistiche ed econometriche, risponde all’urgenza di valutare l’entità dell’impatto di tangenti e malaffare sullo sviluppo del nostro Paese, inserito nel contesto globale ed europeo. Oltre a fornire una panoramica dei fenomeni corruttivi in Italia, approfondisce tre aspetti chiave: la relazione tra corruzione e Investimenti diretti esteri (Ide) in entrata; la relazione tra corruzione e occupazione, in particolare giovanile, e, infine, l’esistenza di una relazione tra corruzione e sviluppo digitale.

Un Paese prospero, infatti, è capace di attrarre capitali, di creare lavoro per i giovani e di stare al passo con l’innovazione mentre la corruzione indebolisce questo processo virtuoso compromettendo in primis la fiducia degli investitori. “Nello studio lo abbiamo ribadito con forza: la corruzione è deleteria perché tarpa le ali alla competitività del Paese – ha osservato il presidente di I-Com, Stefano da Empoli – Investimenti esteri e digitalizzazione sono due driver fondamentali per la crescita economica e dunque anche per l’occupazione, a cominciare da quella dei più giovani. La corruzione scoraggia sia gli investitori che le startup ma la digitalizzazione può essere un importante antidoto al malaffare, perché rende le relazioni più trasparenti e tracciabili, riducendo quella discrezionalità che nel nostro Paese si trasforma spesso in arbitrio”.

INVESTIMENTI ESTERI E CORRUZIONE

Negli ultimi anni l’Italia ha messo in campo diverse politiche per incentivare l’attrazione di investimenti esteri; tuttavia, soprattutto in alcune regioni, la corruzione e la scarsa qualità delle Istituzioni impattano negativamente sull’afflusso di capitali. Si pensi che mentre per l’anno 2016 il Regno Unito è risultato 4° al mondo per flusso di investimenti stranieri (1.196 miliardi di dollari), l’Italia si è piazzata solo 18esima con 346 miliardi. Ma in che misura questa scarsa performance è dovuta agli alti livelli di corruzione del nostro Paese e alla bassa qualità delle nostre Istituzioni? Per rispondere a questa domanda il report mette in relazione l’afflusso di investimenti esteri con l’European Quality of government Index (Eqi) per i 28 Paesi dell’Unione europea arrivando a dimostrare che un aumento del 10% di questo indice si otterrebbe una crescita degli investimenti del 18,3%.

A livello globale ed europeo i risultati sono ribaditi dalla comparazione del Corruption perception Index (Cpi) di Transparency International con l’afflusso di investimenti: per 172 Stati considerati, a un ipotetico aumento del Cpi del 10% si otterrebbe una crescita degli investimenti esteri del 21,4%. Allo stesso modo, per l’Ue, a un miglioramento del 10% del Cpi corrisponderebbe una crescita degli investimenti esteri del 28,1%. Per valutare la dimensione italiana, il report compara l’Eqi con il numero di multinazionali presenti nelle varie regioni e con la quota di multinazionali sul totale delle imprese attive in ogni regione. Si ricava che se la qualità delle Istituzioni migliorasse del 10% si otterrebbe un incremento della presenza delle multinazionali sul totale delle imprese dell’11,6%.

OCCUPAZIONE E CORRUZIONE

Il report analizza inoltre la relazione tra corruzione e occupazione, in particolare quella giovanile. Gli alti livelli di disoccupazione giovanile nel nostro Paese, infatti, sono un grave sintomo dello stallo economico. Si pensi solo che un quarto dei giovani italiani fanno parte della categoria dei cosiddetti Neet, coloro che non sono occupati, che non studiano e che non sono coinvolti in percorsi di formazione. Dallo studio emerge come la corruzione abbia un potente effetto sull’occupazione di un Paese: se associato a un aumento della qualità delle istituzioni, un minore livello di corruzione porterebbe a una crescita dell’occupazione e a far diminuire anche il numero dei Neet.

Puntando il faro sull’Italia, nelle regioni dove è più alta la qualità dell’amministrazione e minore il livello di corruzione, troviamo tassi di occupazione giovanile più elevati. Inoltre, nelle regioni con un più alta qualità delle Istituzioni è inferiore il numero di Neet nella fascia d’età 15-34 anni. Infine il report dimostra come l’occupazione giovanile sia più elevata nelle regioni con un maggior numero di multinazionali.

DIGITALIZZAZIONE E CORRUZIONE

Come è noto i Paesi con un alto livello di digitalizzazione subiscono meno il peso deleterio della corruzione. A primeggiare sono gli Stati del Nord Europa, sia da un punto di vista infrastrutturale sia per la penetrazione dei servizi digitali. In Italia invece lo sviluppo digitale è ancora scarso, sebbene negli ultimi anni il gap si stia riducendo, soprattutto grazie ai miglioramenti dell’offerta digitale fissa. Nell’I-Com Broadband Index (Ibi), che fotografa il livello di sviluppo della banda ultra larga in Europa e fornisce informazioni sull’offerta e la domanda di digitale, siamo ancora ventiduesimi ma con segnali di miglioramento.

Ciò che continua a preoccupare però è il lato della domanda che posiziona l’Italia al venticinquesimo posto, seguita solo da Grecia, Bulgaria e Romania. Ciò significa che le competenze digitali sono ancora limitate come lo è è l’utilizzo che cittadini e imprese fanno degli strumenti digitali. Ma cosa accadrebbe in termini di diffusione della corruzione se aumentasse il livello di digitalizzazione italiano e viceversa? Secondo lo studio, un incremento del 10% nello sviluppo digitale ridurrebbe la corruzione di circa il 14%. Tuttavia, nel complesso l’Italia presenta un grado di sviluppo dei servizi pubblici digitali piuttosto basso, simile a quello dei Paesi dell’Est Europa.

Anche in questo caso il report rileva che se migliorasse del 10% la digitalizzazione dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione, otterremmo una riduzione della corruzione di circa il 9,2%. Non è esclusa, peraltro, la possibilità di un legame inverso: la stessa corruzione cioè, limiterebbe la capacità di un Paese di svilupparsi nel digitale. A questo proposito lo studio dimostra che un incremento del 10% nella qualità delle istituzioni di un Paese potrebbe far aumentare dell’8,5% la domanda di servizi pubblici digitali.

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