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Ecco perché la difesa è un settore su cui investire. La parola ai protagonisti

L’industria dell’aerospazio e difesa rappresenta un comparto strategico per il sistema-Paese, e per questo servono investimenti e occasioni di dialogo tra politica, istituzioni e aziende. L’idea potrebbe essere quella di una Cabina di Regia in capo a palazzo Chigi (sulla scia di quanto avvenuto per lo Spazio) che permetta di definire i programmi su cui investire e, poi, quali affidare alla logica della collaborazione europea. D’altronde, nel Vecchio continente è già partita la competizione per aggiudicarsi i fondi che Bruxelles sta predisponendo, e la Francia non ha mai nascosto l’intenzione di farla da padrona. Tutto il sistema-Difesa è chiamato dunque a ripensarsi, a iniziare dalla valorizzazione delle tante eccellenze presenti nella Penisola. È quanto emerso dal dibattito “Investimenti per la crescita – L’industria della Difesa”, organizzato a Roma dalle riviste Airpress e Formiche.

L’EVENTO

Dopo i saluti dell’editore e direttore del Centro studi americani Paolo Messa e della presidente della commissione Difesa del Senato Donatella Tesei, di fronte a una platea di esperti e addetti ai lavori, tra rappresentanti istituzionali e ceo delle industrie di settore, sono intervenuti al dibattito Pasquale Lucio Scandizzo, economista e consigliere del ministro dell’Economia Tria; Lorenzo Pecchi, economista e co-autore del libro “Difendere l’Europa”; Michele Nones, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai); Renato Vaghi, ad di Piaggio Aerospace e Alessandro Profumo, ad di Leonardo. Nel mezzo, anche gli interventi del segretario generale della Difesa Carlo Magrassi, del capo di Stato maggiore della Marina Valter Girardelli, del consigliere militare di palazzo Chigi, Carlo Massagli, del presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) Roberto Battiston e del ceo di Telsy (azienda del gruppo Tim) Emanuele Spoto.

UN’INDUSTRIA STRATEGICA

Al centro della discussione, le strategie per rilanciare un comparto che, a detta di tutti gli intervenuti, è strategico per l’Italia, rappresentando un fattore abilitante per la crescita dell’intero sistema-Paese. Quella in difesa “non è una spesa come tutte le altre – ha detto Scandizzo – poiché ha tante caratteristiche virtuose; come il fatto di non seguire il ciclo economico”. Anche perciò, ha aggiunto il consigliere del Mef, “in questo momento di caduta degli investimenti, il governo dovrebbe, e sono sicuro che il ministro Tria la pensi allo stesso modo, rilanciare in maniera decisa l’innovazione”. Proprio l’innovazione, ha rimarcato, è la componente forte del settore aerospazio e difesa, il quale presenta dunque un “moltiplicatore elevatissimo”, capace di generare “un incremento di produttività notevole”.

I NUMERI E L’EXPORT DI LEONARDO

A dimostrarlo sono anche i numeri del campione nazionale, Leonardo. Nel 2017, ha ricordato l’ad Profumo, l’azienda ha registrato 11,5 miliardi di fatturato, “di cui solo il 15% in Italia”. Difatti, dei 7,9 miliardi di produzione nel nostro Paese, 6,1 sono arrivati dall’export, con un peso che, ha notato il manager, “non deve farci cadere nella trappola di pensare di essere indipendenti”. Senza “la ricerca e sviluppo (1,5 miliardi nel 2017, ndr) e senza la certificazione che arriva dal fatto di avere come partner, e non come cliente, il sistema-Difesa italiana, sarebbe impossibile avere l’85% di export”, ha aggiunto.

CABINA DI REGIA PER LA DIFESA?

E proprio sul dialogo tra politica, difesa e industria si sono contrati molti degli interventi. Tra le ipotesi per incrementarlo si discute circa la possibilità di istituire una Cabina di regia per il settore in capo a palazzo Chigi, alla stregua di quanto avvenuto per lo spazio. “Sarebbe una buona idea”, ha detto Profumo. D’altronde, l’obiettivo è quello di “sostenere le tecnologie vincenti”, facendo delle “scelte precise sui programmi per non disperdere risorse”. A quel punto, ha rimarcato il manager, sarà importante “capire quali programmi vogliamo avere a sovranità nazionale e quali vogliamo affidare a un’ottica collaborativa”. Si è detto d’accordo il generale Carlo Magrassi, che quando era consigliere militare del presidente del Consiglio ha ideato la Cabina di Regia per lo Spazio, ora confluita nel Comitato interministeriale frutto della legge di riforma approvata allo scadere della passata legislatura. L’esperienza “spaziale” si può (anzi di “deve”, ha detto Magrassi) estendere ad altri campi, a partire proprio da quello della difesa. “Su questo stiamo dialogando con palazzo Chigi e con l’industria”, ha rimarcato il generale. Si tratta di “un punto di inizio, un momento in cui si mettono insieme le menti delle varie persone e ci si rende conto che non possiamo fare le cose da soli”.

LA NECESSITÀ DI INVESTIRE

Tutto questo passa inevitabilmente per il contesto europeo. Difatti, ha spiegato Nones, “nessun mercato nazionale (escluse le grandi potenze) è sufficiente per sostenere un’industria efficiente e competitiva”. Per i Paesi europei dunque, “la collaborazione nello sviluppo dei grandi sistemi d’arma è diventata una necessità”. Questo pone però un esigenza per qualsiasi Stato membro, ha aggiunto: “Per poter essere accettati come partner bisogna poter mettere in campo riconosciute capacità tecnologiche, industriali e finanziarie”. Il punto di partenza, ha detto Nones, “è l’individuazione delle aree tecnologiche prioritarie e delle capacità industriali strategiche”, come già previsto dal Libro bianco del 2015, che ancora attende la sua attuazione. La speranza, ha aggiunto il consigliere scientifico dello Iai, è che “nonostante le molteplici esigenze del nostro Paese e le altrettanto molteplici promesse elettorali, il Bilancio della Difesa e, in particolare, gli investimenti non vengano saccheggiati, come è spesso avvenuto in passato”.

LE SPESE PER LA DIFESA IN EUROPA

D’altronde, la partita in Europa è già iniziata. “Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, la Francia diventa il candidato naturale a prendere la leadership della difesa comune europea”, ha spiegato Pecchi, ricordando come Parigi abbia già fissato l’obiettivo di raggiungere il 2% del Pil in difesa entro il 2025, e come sia sempre stata intenzionata a un’Europa più autonoma dagli Stati Uniti. Con meno ambizioni di questo tipo, la Germania presenta un budget per la difesa “stimato intorno a 38,5 miliardi di euro per il 2018”, che però “sarà portato con lievi incrementi annuali a 42,7 miliardi nel 2022, equivalenti a 1,2% del Pil”. Solo terza l’Italia, ha notato Pecchi, “con un budget intorno a 20 miliardi di euro che equivalgono a circa 1,15 per cento del suo Pil, ovvero poco più della metà del target Nato”.

LA SFIDA SUI CACCIA

Su questi numeri, è già partita la competizione nel Vecchio continente, palesatasi già lo scorso aprile con lo svelamento del Fcas, il prototipo del caccia franco-tedesco del futuro. “Stiamo assistendo ad una contesa per la leadership del prossimo importante progetto di collaborazione nel settore del dei velivoli da combattimento – ha detto Pecchi – un progetto che verosimilmente per volumi finanziari e ritorni tecnologici segnerà, nel bene e nel male, le sorti delle industrie europee del settore”. Considerando che il Regno Unito ha già annunciato il Tempest, il proprio caccia del futuro, l’Italia “potrebbe farsi portavoce di un approccio collaborativo, consapevole che l’interesse italiano è maggiormente tutelato all’interno di un ampio ed efficace contesto europeo”. Difatti, gli ha fatto eco Profumo, “di caccia di combattimento ce ne sarà solo uno in Europa”. E il rischio per il nostro Paese, ha rimarcato Pecchi, “è restare isolati dai progetti più importanti e giocare un ruolo secondario nella partita della difesa europea”.

LE PROPOSTE

Come evitarlo? Si potrebbe iniziare da quattro mosse, suggerite nell’intervento del professor Nones. Primo, “un accordo a livello europeo affinché i co-finanziamenti nazionali dei programmi dell’Ue siano esclusi dal Patto di Stabilità”. Secondo, “integrare qualcuno dei programmi nazionali di previsto avvio all’interno dei programmi europei proposti”. Terzo, “ridurre la spesa prevista sia per le missioni internazionali, sia per Strade sicure”,vista “la riduzione della minaccia terroristica” e le maggiori “capacità d’intelligence”. Quarto, infine, l’approvazione di due misure in tempo rapido: “la legge sessennale per gli investimenti, che favorirebbe la stabilizzazione dei programmi”, e “lo snellimento e la razionalizzazione delle strutture attraverso una maggiore logica interforze che consentirebbe di ridurre i costi”.

IL PROGRAMMA P.2HH

Per quanto riguarda i programma tra i temi su cui sono a lavoro le commissioni Difesa di Camera e Senato c’è anche il programma di acquisto per venti droni militari P.2HH, realizzati da Piaggio Aerospace (azienda ligure di proprietà del fondo emiratino Mubadala) insieme a Leonardo. Su questo, è intervenuto l’ad Renato Vaghi, ricordando le potenziali ricadute del programma. Per l’Italia, ha detto, permetterebbe “il controllo di una tecnologia che vale circa 1.5 miliardi di euro, con una spesa che è sostenuta per circa la metà dal sistema-Paese italiano (metà li sostiene il governo emiratino), e con un “impatto occupazionale generato quasi interamente nel nostro Paese con l’impiego di oltre 400 persone medie dirette annue per le società direttamente impegnate nel progetto, e oltre 1.300 persone l’anno se si tiene in considerazione anche l’impegno della filiera produttiva”.



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