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Vi spiego le fake ops in Germania per favorire la destra. Via YouTube

Di Federica De Vincentis

Disinformazione online e fake news non risparmiano la Germania e in particolare Chemnitz, la città della Sassonia divenuta il simbolo nazionale della contesa politica sul tema dell’immigrazione. Il luogo, teatro di alcuni recenti scontri tra estremisti di estrema destra e contro-manifestanti, sarebbe infatti lo sfondo di una campagna condotta con alcuni video – contenenti informazioni palesemente false a detta delle autorità – che starebbero spopolando su YouTube.

TRA FATTI E FAKE NEWS

“Nella notte tra sabato 25 e domenica 26 agosto”, ha ricostruito Valigia Blu, “Daniel Hillig, un falegname 35enne tedesco di origini cubane, è stato accoltellato durante una rissa a Chemnitz ed è morto poco dopo in ospedale. Per l’omicidio sono state fermate due persone: un 23enne siriano e un 22enne iracheno. Una terza persona, un rifugiato iracheno, è ricercata dal 4 settembre. Nella mattinata di domenica sono comparse sui social media alcune ricostruzioni secondo cui Daniel Hillig sarebbe stato ucciso per aver difeso una ragazza che era stata molestata dagli aggressori. Una fake news, smentita rapidamente dalla polizia, ma che ha continuato a diffondersi, alimentando la rabbia”.

CHE COSA ACCADE

Dal giorno seguente i disordini, infatti, racconta il New York Times, la polizia ha iniziato a ricevere telefonate da parte di giornalisti che chiedevano commenti sul fatto che l’uomo il cui omicidio aveva scatenato le rivolte fosse morto mentre cercava di impedire a richiedenti asilo di molestare una donna del posto, e anche sull’ipotesi che non fosse il solo uomo del posto che era stato ucciso, bensì due. Niente di ciò era vero. Ma come si erano diffuse queste notizie false, che avevano fatto breccia addirittura tra professionisti dell’informazione?

LA FORZA DEI SOCIAL MEDIA

Non ci è voluto molto, evidenzia la testata della Grande Mela, a risalire al veicolo delle video-bufale, caricate e rilanciate, fino a diffondersi a macchia d’olio, sui social media e sembrerebbe soprattutto su YouTube.
Uno di questi filmati, ancora online, attribuisce la crescita di criminalità nella città di Chemnitz alla presenza di popolazione di origine araba. E sebbene sia stato realizzato da una fonte non autorevole, sia basato su tesi da provare e sia peraltro di modesta qualità, è stato visionato al momento da oltre mezzo milione di utenti, molto di più di qualsiasi video di notizie sui disordini. Com’è possibile?

LE SCELTE DELL’ALGORITMO

Un esperto di tecnologie digitali ascoltato dal Nyt, Ray Serrato, di base a Berlino, ha analizzato i dati disponibili su ogni filmato relativo a Chemnitz pubblicato sulla piattaforma di video sharing di proprietà di Google e ha scoperto che il sistema di raccomandazione dei contenuti agli utenti tende a indirizzarli verso il materiale di estrema destra, sia su questo sia su altri argomenti.

LA VERSIONE DI YOUTUBE

Un portavoce di YouTube non ha commentato le accuse, ma ha detto che l’algoritmo cerca di “dare suggerimenti su video che lasciano soddisfatti” gli internauti e che i risultati sarebbero il frutto di una collaborazione con gli editori per aiutare a “costruire una migliore esperienza di notizie su YouTube”.
Il problema della disinformazione online, però, è sempre più sentito, nonostante il recente cambio di passo dei big del Web con lo smantellamento di alcune reti di influenza di derivazione russa e iraniana. E, per quanto riguarda il colosso di Mountain View, le critiche per l’episodio tedesco si coniugano a quelle ricevute in patria per non aver inviato questa settimana il proprio Ceo alle audizioni al Congresso (partecipate invece da dirigenti di Facebook e Twitter) proprio sul contrasto delle fake news alle prossime midterm.

IL LAVORO DEL DFR LAB

Sull’uso della piattaforma video per diffondere fake news si è concentrato uno degli studi condotti dal Digital Forensic Research Lab diretto da Graham Brookie. Sul sito di video sharing, la presenza di RT – un network tv finanziato dal Cremlino noto in precedenza con il nome di Russia Today – è capillare e riesce a sfruttare gli algoritmi della piattaforma per diffondere contenuti che sponsorizzano un’informazione Made in Mosca che domina nei risultati di ricerca e che viene talvolta rilanciata sul Web – in particolare su Twitter, usato molto da giornalisti e politici, e Facebook, il social network diffuso al mondo – da reti di bot che simulano una condivisione spontanea. Questi contenuti vengono poi ripresi da un vasto numero di influencer che li rendono definitivamente popolari e parte del dibattito. È importante notare, sottolineava il gruppo di ricerca costituito nell’ambito del think tank Atlantic Council, che non tutti i contenuti diffusi dai canali RT possono essere considerati disinformazione, anzi. Secondo gli esperti del team di ricerca, uno dei punti di forza del network sarebbe proprio quello di produrre video di buona fattura giornalistica che ne rafforzano la credibilità agli occhi degli utenti e dello stesso YouTube che li pone in alto nei risultati di ricerca, ai quali però vengono di volta in volta alternati specifici servizi – questi sì bollati dall’analisi come falsi – su temi di interesse per la politica del Cremlino: la guerra in Siria, l’uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad, la crisi ucraina, o il caso Skripal nel Regno Unito.
Un meccanismo simile regolerebbe la disseminazione di fake news vere e proprie, la cui genesi è più complicata da attribuire ma altrettanto pervasiva, poiché basata su una miriade di account e di siti apparentemente non collegati tra loro ma contraddistinti da una linea comune.

NON SOLO YOUTUBE

Ma l’ondata di fake news sui social media in Germania non coinvolge solo YouTube. Secondo quanto emerso da un’indagine condotta nei mesi scorsi da Buzzfeed sui contenuti più popolari su Facebook, nella top 10, ben 7 notizie sulla cancelliera Angela Merkel – molte delle quali sul tema dell’immigrazione – si erano rivelate del tutto fuorvianti.
Non solo. Oggetto di queste campagne che alimentano il sentimento anti-immigrazione sarebbe stata anche l’Italia. Uno studio della compagnia Alto Analytics basato sull’analisi di big data rimarcò – alla vigilia delle elezioni del 4 marzo – la centralità che la diffusione di notizie allarmistiche o false su temi caldi come l’immigrazione aveva avuto nel dibattito sociale e politico italiano.
Difficile stimarne gli effetti reali, ovvero la sua incidenza sul voto, precisò la compagnia. Ma secondo la ricerca, condotta da febbraio a luglio 2017 su oltre un milione di post e commenti generati da circa 100mila utenti, ci sarebbe stato un pericolo concreto che la propaganda xenofoba e populista divulgata attraverso i social media e da un network che ruoterebbe intorno al sito russo multilingue Sputnik (secondo uno schema già visto nel Regno Unito con il dibattito sulla Brexit e in Spagna sulla questione catalana) possa aver polarizzato le opinioni degli elettori, anche di quelli italiani. Ora sembrerebbe toccare, di nuovo, a Berlino.


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