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Flat tax e reddito di cittadinanza. Cosa si dice da Nord a Sud

Il vicepremier, Luigi Di Maio, questa mattina ha prevedibilmente gettato acqua sul fuoco, dichiarando che non ci sono tensioni con il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. “Lavoriamo di comune accordo”, ha detto, per portare a casa il programma: flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della Legge Fornero, etc. etc.

Tutto giusto, dal punto di vista della maggioranza e soprattutto del Movimento, considerato che il messaggio era stato comunque inviato e recapitato a chi di dovere: il Reddito è la linea del Piave pentastellata, il confine non valicabile. Non si portasse a casa, saluti a tutti e arrivederci. Questa, però, è la logica politica, la fisiologica trattativa interna a un’eterogenea maggioranza di governo. Abbiamo visto di ben peggio in un passato anche recente.

Il vero tema, provo a suggerire, è ciò che sta accadendo fuori dai palazzi della politica, a causa del ventilato varo del reddito di cittadinanza. Proprio nel momento in cui la Lega ‘fu’ Nord ha sotterrato l’ascia di guerra contro il Meridione e Matteo Salvini viene invocato come il salvatore della patria, a latitudini in cui non molto tempo fa avrebbe fatto fatica a raccogliere 100 persone a un comizio, ha ripreso ad allargarsi la spaccatura fra Nord e Sud. E il motore di questa faglia psicologica fra le aree del Paese è proprio il reddito di cittadinanza, la proposta identitaria del Movimento 5 Stelle.

Parlando quasi quotidianamente del tema a Rtl 102.5, che è una finestra straordinaria di osservazione, con i suoi milioni di ascoltatori e la trasversalità dell’ascolto, sta emergendo con prepotenza il fastidio del Nord per questa misura, vissuta epidermicamente come assistenzialismo 2.0, qualcosa di già visto e detestato. Più Luigi Di Maio si sgola a spiegare che “nessuno verrà pagato per stare sul divano”, più la gente delle regioni del Centro-Nord sembra nutrire seri dubbi. Anche perché si vive una diretta contrapposizione, con l’altra promessa-bandiera, la flat tax, carissima ai ceti produttivi e imprenditoriali del settentrione. Non va sottovalutato questo fenomeno, anche perché la voce del Sud resta molto flebile, quando si alza a difendere il Reddito, come misura di inserimento al lavoro. Purtroppo, fanno molto più rumore le folkloristiche ‘indagini’, in cui l’immancabile venditore abusivo di calzini dichiara l’intenzione di prendersi il reddito di cittadinanza, continuando serenamente la sua attività in nero.

Colpa dei giornalisti, allora, come denuncia il Movimento 5 Stelle? Una corresponsabilità, nel dipingere questo provvedimento come il paradiso degli imboscati, potrà anche esserci, ma un osservatore onesto e consapevole della realtà del Sud non potrà che constatare come in larghe fasce del disagio più disperato del Meridione il reddito di cittadinanza sia atteso come la soluzione per l’oggi, non il mezzo per costruirsi un domani.

Il Nord osserva con crescente diffidenza e non è un bel segnale, perché sta venendo meno la fiducia di un pezzo di Paese nell’altro, innescando generalizzazioni pericolose. Il Movimento 5 Stelle dovrebbe spendersi, per smontare con i fatti questi sospetti, spiegando per esempio chi controllerà il venditore abusivo di calzini, qualora ricevesse il Reddito. Chi avrà il compito e come di avviare i disoccupati, sulla strada delle riqualificazione professionale e non della semplice attesa di un ‘posto’.

Non sono domande oziose di commentatori prevenuti, ma timori di chi vede una parte d’Italia sempre meno interessata ai destini di quella meno competitiva. Non ci sono più ampolle e parole d’ordine anti-Sud, ma potrebbe esserci di ben peggio: la secessione morale.

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