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Italia: un paese Peter Pan che non vola più perchè ha perso il suo pensiero felice

“Cominciate col fare ciò che è necessario e poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”

San Francesco d’Assisi

L’Italia è un grande Paese, il Paese della bellezza, culturale, paesaggistica e intellettuale. Forse, ma siamo di parte, il più bello del mondo.

Un Paese meraviglioso e fortissimo anche imprenditorialmente, ma anche un Paese “Peter Pan” che vola ma non vorrebbe mai crescere per non perdere la spensieratezza di quella creativa incoscienza che è insieme la sua forza e la sua debolezza. Un Paese dalle mille contraddizioni, con la sua civiltà personale straordinaria, forgiata da millenni di culture diverse e di educazione al bello. Ma anche con le sue colpe, le sue mafie, con la sua civiltà collettiva relativamente incivile.

Un Paese che, però, ha subito un trauma psicologico oltre che reale. Va detto senza mezzi termini: i quasi 10 anni di crisi gli hanno tarpato le ali, hanno fatto svanire il suo “pensiero felice”, quello da Peter Pan, quello che, qualunque cosa succedesse, gli permetteva di volare nonostante fosse uno strano incrocio tra una lucciola luminescente (cultura e paesaggio), una libellula leggera (impresa e professioni) e un improbabile calabrone (burocrazia e debito pubblico).

Si tratta di un punto centrale. Non abbiamo più un “pensiero felice”, un arcobaleno a cui tendere che ci renda leggere anche le cose difficili. Tutto svanito in nome di una fase di chiusura a riccio intellettuale, imprenditoriale e politica che non fa più del rilancio e dello sviluppo la chiave di volta della propria azione. Una specie di decrescita psicologica infelice.

Per rilanciare l’Italia serve allora un colpo di reni evocativo, un new deal, un nuovo orizzonte di cose semplici da fare per ritrovare quello che abbiamo perso durante la crisi: il nostro pensiero felice. In quasi tutti i settori, infatti, abbiamo abdicato. Siamo andati a rimorchio ovunque e dovunque. Meglio la Silicon Valley, meglio l’ENA francese, meglio la capacità produttiva delle tigri asiatiche. Meglio, meglio, meglio. E’ ora di dire basta al “meglialtrismo” vecchia maschera del provincialismo italiano che si è trasformata nella nuova maschera 4.0 del benaltrismo.

E’ per questo che, come scrivo nel mio ultimo libro “Rilanciare l’Italia facendo cose semplici” (Giacovelli Editore) che sta avendo un successo straordinario quantitativo e qualitativo, dobbiamo recuperare una prima capacità semplice: cercare di raggiungere una leadership culturale in tutti i settori possibili. Ed ecco la sfida principale di questo umile lavoro: offrire una visione pragmatica, manageriale e sintetica di alcuni fra i più semplici interventi che servono per rilanciare il Paese. Partendo dal primo, quello più importante perché solo psicologico: la volontà assoluta di recuperare, in tutti i settori, la fiducia in noi stessi e nel Paese. Di leadership culturali, ne avevamo molte, quasi tutte perse ormai. Dobbiamo provare a riconquistarle. Tutte quelle che avevamo. E, perché no, anche qualche altra.

Leadership culturali per trovare un senso durevole in un futuro in cui dovremmo essere quello che non siamo mai stati: azionisti e non obbligazionisti del Paese. Una vera e propria sfida di cambiamento. Un sfida complessa ma sincera. Investire e non chiedere. Donare e non ricattare. Essere e non avere.

In ogni caso, una cosa va sottolineata. E’ un qualcosa di molto più semplice: è una serie concreta di cose da fare piccole, semplici, forse non tutte risolutive, ma utili per iniziare a ricreare quel clima di fiducia nel nostro Paese che possa diventare il nostro, nuovo pensiero felice. Non Everest da scalare, non guerre da vincere, non contrapposizioni politiche o ideologiche, ma un insieme di piccoli/grandi traguardi da raggiungere per vincere una sfida psicologica e culturale che dovrebbe essere di tutti e non solo di qualcuno.


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