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La Sindrome di Gollum e il futuro del Paese: attaccati al potere fino alla fine

“Quand’ero figlio io, comandavano i padri. Ora, che sono padre, comandano i figli. La mia è una generazione che non ha mai contato un cazzo”

Pino Caruso

C’è una malattia profonda che, in questo momento, attanaglia il sistema Italia: con una metafora impressiva, la potremmo definire la “Sindrome di Gollum”. Come Gollum, il personaggio del “Il Signore degli Anelli”, c’è chi (in particolare i nati tra il 1935 e il 1950) ha trovato il “tesssorro”.

Nel mio ultimo libro, “Rilanciare l’Italia facendo cose semplici” (Giacovelli Editore), emerge chiaramente il trend legato a questa sindrome che caratterizza del nostro Paese. E’ la classe di coloro che sono usciti vivi e vincenti dalla seconda guerra mondiale, hanno cavalcato la ripresa degli anni ’60 e il debito pubblico degli anni ’70 e ‘80, e sono stati e sono ancora uomini di potere economico e politico. E non vogliono andare in pensione (operativamente) perché non vogliono “mollare il tesssoro”.

E’ tutto loro, e non ci sono passaggi generazionali che tengano. E non stiamo parlando solo della politica. I dati dei principali istituti finanziari e di ricerca ci dicono che è dal 2003 che parliamo del passaggio generazionale prossimo venturo, anche a livello imprenditoriale. Peccato che, Caprotti docet, non sia mai accaduto o accada sempre troppo tardi.

Continuano a dire “è tutto mio” e a detenere molti dei gangli di potere e delle imprese che ancora governano questo Paese. Anche perché sono tanti e, fra di loro, ci sono poche donne (il vero fattore rivoluzionario del futuro) a fargli concorrenza. Il problema è che sono bravi ma guardano il futuro con gli occhiali del passato e, per questo, fanno fatica a capire il cambiamento.

Un cambiamento che, come dimostrano una molteplicità di eventi a livello globale (le spinte sovraniste, Trump, la Brexit, i dazi, la Cina, le due Coree, eccetera), esercitano una pressione che va considerata come un vero e proprio cambiamento di ottica strategica dove strumenti prima non esistenti (la Rete e i social network) contribuiscono a compensare quelle asimmetrie informative che assicuravano in passato la stabilità del potere delle élite.

Di colpo invece quella che potremmo chiamare la “Power generation” si è trovata in un mondo nuovo che, pur essendo potente e competente, non riesce più a comprendere e intercettare. Anche perché, mediamente, non sta abbastanza sui social ed è ancorata a modelli (per quanto efficaci) di pensiero lento in un sistema che vive come troppo veloce.

A fortificare la sensazione di potenza e di intramontabilità ci hanno pensato la chimica e gli sviluppi sul benessere. Non a caso studi inglesi e americani la chiamano anche, non senza malizia, “Viagra Generation”.

Ma, se vogliamo andare avanti per rilanciare l’Italia, la strada è obbligata è una sola: qualcuno dovrebbe fare uno sforzo di generosità e fiducia anche in termini di passaggio generazionale. Qualcuno, con il massimo rispetto possibile, dovrebbe fare un passo indietro e magari proporsi come mentore o consigliere “diversamente giovane” per aiutare tutti gli altri a rilanciare il Paese.


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