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L’Onu, l’Italia e il razzismo: facciamo chiarezza

Sono rimbalzate con enorme eco sui giornali e sui media le parole che il neo Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha pronunciato sull’Italia aprendo la 39a sessione del Consiglio dei diritti umani. Secondo Bachelet, infatti, il Governo Italiano ha impedito l’azione delle navi delle ONG nel Mediterraneo, con conseguenze devastanti per molte persone che già si trovavano in stato di vulnerabilità, e ha annunciato che verrà inviato uno staff in Italia per accertare il lamentato brusco innalzamento di atti di violenza e razzismo contro migranti, persone di ascendenza Africana e Rom.

Visto il profluvio di reazioni e dichiarazioni che sono seguite, unite alla manifesta scarsa conoscenza di molti dei meccanismi onusiani, appare utile fare un minimo di chiarezza sull’accaduto, partendo dal fatto che, a dispetto di tanti roboanti titoloni a caratteri cubitali e reazioni indignate sui social network, non è affatto vero che l’ “ONU” abbia detto che gli Italiani sono razzisti. L’Alto Commissario è un organo, istituito dalla risoluzione 48/141 del 7 gennaio 1994 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il cui mandato si svolge nell’ambito del controllo dell’Assemblea stessa e del Segretario Generale del palazzo di vetro, ed ha il compito, nel rispetto della sovranità e della giurisdizione degli Stati membri, di promuovere il rispetto universale di tutti i diritti umani. Un organo delle Nazioni Unite, dunque, i cui fondi sono soggetti al placet dell’Assemblea Generale, che ha evidenziato un “brusco innalzamento di atti di violenza e razzismo” (“the reported sharp increase in acts of violence and racism against migrants, persons of African descent and Roma”, per citare le parole esatte) in Italia, come è peraltro per chiunque facile desumere dalla lettura dei quotidiani: cosa assai diversa, quindi, dall’affermare che l’ONU abbia dato dei razzisti agli Italiani o che l’Italia sia un paese razzista.

Sgombrato il campo da equivoci, dunque, la domanda che occorre porsi è se le parole della Bachelet siano state opportune e pronunciate all’interno delle proprie competenze. Va premesso, per dare una risposta, che l’Alto Commissario può ben disporre visite in un Paese per verificare il (mancato) rispetto dei diritti umani, ma tali interventi sono codificati, prevedendosi su espressa indicazione dell’Assemblea di NY oppure, se periodiche, riferite a situazioni determinate e precedentemente individuate. Possono, inoltre, verificarsi anche visite o missioni “spot”, di breve durata, in presenza di catastrofi umanitarie repentine. Ebbene, non pare – vista anche la vaghezza di quanto dichiarato – che la visita per l’Italia ricada in una di queste fattispecie e non appare chiaro se vi siano stati contatti precedenti a livello diplomatico, come è usuale fare in casi del genere (questo vale anche per l’Austria e la Germania, nominate dalla Bachelet). Va ricordato, inoltre, che per l’Italia esiste un regime di standing invitation, ovvero la massima apertura a visite di questo tipo che, tuttavia, seguono precise procedure formali dettate dalle prassi diplomatiche. A meno di successivi chiarimenti, pare di potersi quindi dire che la neo Commissaria, pena forse la mancanza di esperienza, abbia fatto il passo più lungo della gamba per quanto riguarda il rispetto delle ferree logiche che regolano i rapporti fra ONU e i propri Stati membri.

Detto questo, è necessario, a questo punto, essere molto chiari. Se è lecito affermare che possa essere stato compiuto dall’Alto Commissario un faux pas, questo non esonera l’Italia da due precisi doveri. Il primo: non nascondere la testa sotto la sabbia e negare, contro ogni evidenza empirica, che siano stati registrati atti di razzismo avverso migranti, che appare davvero difficile declassare a goliardate, come pure qualcuno si ostina a fare. Il secondo: quello di difendere fermamente – come ben ha fatto il Ministro degli Affari Esteri Moavero – le posizioni Italiane nelle sedi adeguate e nelle modalità proprie di un corretto interloquire internazionale, senza remore nell’avanzare eventuali contestazioni ma senza chiusure a scrutini di qualsiasi natura e, perché no, chiedendo che eguale  e opportuno zelo sia mostrato nei confronti di quei Paesi in cui le violazioni dei diritti umani sono manifeste e quotidiane. In poche parole: l’Italia deve svolgere, sempre e comunque, con dignità e a testa alta il proprio ruolo sullo scenario internazionale, mettendo i puntini sulle “i” ove necessario, ma senza nascondersi dietro un dito. E, soprattutto, ricordando sempre che si è parte di un complesso sistema di rapporti, come quello delle Nazioni Unite, pur perfettibile sotto tanti punti di vista, che non va delegittimato ma, semmai, rafforzato nella propria missione di dialogo fra i popoli e di promozione e protezione dei diritti umani, vera cartina di tornasole del progresso dell’umanità. insomma, calma e gesso, ragazzi.

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