Il suo libro è uscito a marzo 2017 e negli Stati Uniti è diventato in poco tempo un best-seller, entrando a piedi pari nel dibattito pubblico e facendo però molto discutere, la cui eco è arrivata anche nel Vecchio continente. E così è arrivata la ristampa in diversi paesi europei, fino allo sbarco a Roma, nella culla della cristianità, per le edizioni San Paolo. E la presentazione al Teatro Piccolo Eliseo, assieme a Giuliano Ferrara e al direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, in un evento organizzato dal Foglio e dalla Fondazione De Gasperi. Si tratta del libro “L’Opzione Benedetto” del giornalista americano Rod Dreher, firma del New York Post e di The American Conservative.
“Io sono conservatore sul piano teologico ma Trump non mi rappresenta, come nemmeno i democratici, con le loro politiche anti vita e antifamiglia. Tuttavia ci si trova a dover scegliere, ed è molto dura”, ci tiene lo stesso Dreher a diradare le critiche che gli vengono poste dai suoi interlocutori, talvolta serrate e in modo particolare dal direttore del quotidiano della Santa sede Vian. Lo scrittore nato in Louisiana descrive le tesi del suo libro come teologicamente conservatrici, ma che non hanno nulla a che fare con il piano politico. “Conservatorismo solo sul terreno teologico, non ho scritto questo libro per fare megafono a tesi politiche”, precisa più volte, convenendo sulla critica di Vian che da parte sua timbra il libro come “fortemente americano”. “Ho cercato di rivolgermi e indirizzarmi a quello che provano e sentono moltissimi cristiani conservatori negli Usa, ma dicendo loro che non basta votare per i repubblicani per mettere tutto a posto, e che se questa è la strada che volete imboccare è sbagliata”, spiega Dreher. Aggiungendo poi che il punto dolente, questo difficilmente opinabile, è che “i cristiani liberali e conservatori non trovano più tra di loro un piano di discussione e questo è sicuramente molto triste”.
Un testo perciò rivolto agli americani, che negli States ha fatto molto discutere, ha affascinato, ha coinvolto quei cattolici che si riconoscono in un’orientamento conservatore e che intendono fronteggiare le difficoltà del cristianesimo nel mondo post-moderno, post-contemporaneo, post-secolare, post-cristiano, insomma, nell’attuale società dove di Dio e di leggi della natura si fa tanta fatica a parlare. E dove d’altronde si osserva anche una civiltà, secolare, sgretolarsi pian piano sotto i colpi della denatalità, dello sgretolamento dell’etica comune, del valore della famiglia e del sacrificio, di un’idea di libertà distorta e pervertita da leggi che poco hanno a che fare con la stessa libertà. Lo fa citando alcuni celebri passaggi del magistero di Joseph Ratzinger, del cardinale teologo e del papa Benedetto XVI, prendendo spunto a piene mani da quell’idea di “minoranze creative” attraverso la quale per il teologo bavarese i cristiani dovrebbero trarre linfa vitale per poter vivere in maniera piena, oggi, la loro fede. Fino a operarne una rinascita, segno di speranza per tutta l’umanità.
“Al di là di quanto dicono i giornali”, riferendosi cioè alle dispute in Vaticano e alle accuse delle frange cattoliche conservatrici a Papa Francesco, “il punto è che la fede è in grave declino da generazioni. In Italia come negli Stati Uniti, noi cristiani non riusciamo più nel compito di trasmettere la fede ai nostri figli”, ha spiegato Dreher. Crisi che “non riguarda solo l’interno della Chiesa, ma che è ovunque. In Occidente il tasso di natalità è in declino fortissimo, la famiglia naturale è fortemente minacciata da gender e rivoluzione sessuale. L’Istat dice che il tasso di matrimonio è crollato vertiginosamente, in Italia i coniugati sono passati dal 51 per cento del ‘91 al 19 di oggi. Se scompare il matrimonio, scompare la famiglia naturale”. Poi migrazioni di massa, tecnologia avanzata, distruzione dell’ambiente, crisi del liberalismo, instabilità di massa. “La gente ha paura e il mondo stabile non esiste più”, è lo scenario, alquanto cupo, che prospetta il giornalista. Tutti aspetti che creano l’ambiente perfetto per fare salire in cattedra la soluzione del libro, la cosiddetta Opzione Benedetto, “strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano”.
“Periferia orientale Roma, anno 500: un giovane volge le spalle alla città e corre verso la foresta, si chiama Benedetto, è nato a Norcia ed è sceso a Roma per completare la sua istruzione”, spiega il giornalista attingendo da un foglio il discorso preparato per la presentazione del suo libro. “Lì vede che gli standard morale dei romani avevano visto un crollo impressionante, i barbari arrivavamo e i suoi amici sprofondavano in una corruzione profonda. Il giovanotto temeva di perdere Dio e la sua anima immortale. Così lascia tutto alle spalle senza sapere cosa resta del suo futuro, ma consapevole che se resta a Roma perderà la fede. Allora andrà a Subiaco, digiunerà, leggera le scritture e capirà cosa fare: fonderà monasteri e scuole di servizio al Signore”. Dreher sottolinea in questo modo, sobriamente, come la regola benedettina sia “breve e semplice”, ma che nonostante ciò si tratta di “uno dei documenti più incisivi della comunità occidentale”: “i benedettini hanno salvato la nostra società e si sono sparsi in tutta Europa come stelle del firmamento. Fra le rovine dell’Impero hanno posto le fondamenta per la rinascita della vita civile”. Considerato poi che “san Benedetto non voleva salvare la città ma restare fedele a Dio e mostrare agli altri come vivere da cristiani”.
La tesi è perciò che, oggi, i cristiani si trovano nella stessa situazione dell’epoca. E i dati giocano sicuramente a favore del giornalista americano. Passando poi alla pratica, i punti messi persino in linea dallo scrittore per dare vita e attuazione a questa cosiddetta opzione benedettina sono: riconoscersi come “esuli di un mondo ostile alla fede” e vivere questo con gioia, come minoranze creative; rendere più “monastica” la nostra fede, recuperando quella dimensione sacra della vita andata persa con la modernità, assieme a “un senso profondo dell’ordine” e al rapporto con Dio; dare infine luogo a forme di vita cristiana comune, respingendo la dittatura del relativismo indicata da Benedetto XVI e “non lasciandosi assimilare da questo mondo”. Di tutto ciò è però innegabile che ne esistano già molteplici esempi, in Italia e nel mondo. Non solo di monachesimo, ma di comunità composte da laici. Durante la presentazione se ne citano diverse, alcune piccole realtà non troppo note, o altre più mediatiche e conosciute, molte di queste con un’impronta fortemente ecumenica, da Taizé a Bose. Ma si potrebbe continuare a lungo, su vari fronti, a dimostrazione che questo spirito esiste già, è già all’opera, e che forse è solo necessario coltivarlo maggiormente.
È proprio questa una delle critiche, indirette, approntate allo scrittore dalla guida del quotidiano della Santa sede Vian, che parla di un libro “fortemente radicato nella realtà statunitense benché guardi a Oriente, Italia, Norcia e san Benedetto”, e dove come sottotitolo “si dovrebbe scrivere ai cristiani conservatori occidentali”. D’altronde, l’accusa era da aspettarsela, vista la polarità che suscita il tema, e considerato che anche i gesuiti della Civiltà Cattolica, organo ufficioso della segreteria di Stato vaticana, aveva apertamente criticato la tesi del giornalista americano paragonandola all’eresia donatista, con un articolo a firma Andreas Gonçalves Lind. “Lo slogan è efficace”, aggiunge Vian, descrivendo il libro come “molto ideologico e schierato, ma un po’ debole nella visione complessiva della storia occidentale. Se non altro per il fatto che è molto parziale e pone i riflettori solo su una piccola parte del mondo”. Perciò un “libro suggestivo ma non convincente”, con una tesi che “più che nel mondo ma non nel mondo è fuori del mondo”.
Accusa per una metà avallate anche da Giuliano Ferrara, stavolta nella veste insolita di trait d’union tra i relatori, l’autore americano e il giornalista che porta la posizione vaticana. “È interessante e suggestivo il fatto di mettersi da parte per custodire il seme, partendo da un autentico spavento in un panorama di rovine. È bella l’idea”, e “penso che non si possa fare una obiezione teologica, culturale, di pensiero o addirittura magisteriale contro una pretesa che implica il vissuto, l’esperienza diretta, il sacrificio di un’esistenza più semplice”, cogliendo peraltro il punto che le “radici della crisi sono lontane e profonde”, spiega il fondatore del Foglio. “L’impressione è di una rovina che accumula detriti e porta alla rovina un cristianesimo letto, interpretato e esperito dai monaci e alla fine distrutto da un’ondata demoniaca”, affonda Ferrara, opponendovi però in primo luogo l’idea che “il progetto di Ratinzger era un illuminismo cristiano e partiva dal fatto che l’uomo moderno è stato costruito dal cristianesimo e non contro il cristianesimo”, e che “la modernità nasce dal cristianesimo e lo rinnega nel momento in cui relativizza la verità”.
Fino alla seconda critica di Ferrara, ancora più incalzante. “Cosa chiede la modernità rovesciata al cristiano? Di essere privato, di non esistere, di aderire a un culto privato. Di stabilire le sue regole, anche comunitarie ma che non pretendano di esondare nello spazio pubblico”. Ritrovando poi in questo passaggio persino quanto “ha mostrato Ratzinger ritirandosi dal soglio”. “Ha ragione Dreher quando dice che le guerre culturali sono state perse. Il tema è quello del senso che i cristiani hanno della loro presenza nello spazio pubblico”, spiega Ferrara. Perciò la tesi è “interessante, comprensibile, del tutto lecita, fervida e feconda”, ma “rispetto allo stato disagiato della fede contemporanea mi sembra laterale, non coglie lo scandalo, lo lascia emergere in una soluzione che chiude strade e non coglie soluzioni, trovando un ripiegamento”. Il dibattito resta perciò aperto, e divide, palesemente. Ma Dreher prova a fare valere le sue idee. E la chiosa finale del giornalista americano è tuttavia semplice: “Se l’accusa è che voglio dire ai cristiani di uscire dal mondo, è falsa. Io dico di vivere nel mondo con una fede forte. E che per vivere in questo momento da fedeli cristiani dobbiamo essere molto più seri nel formare le nostre coscienza, e non sul terreno dei mass media”.