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Difesa, industria, Europa e interesse nazionale secondo Magrassi e Massagli

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Il Fondo europeo per la difesa rappresenta una svolta epocale per il Vecchio continente, ma il rischio che l’Italia abbia un ruolo marginale è dietro l’angolo. Servono investimenti e comunione d’intenti tra tutti gli attori coinvolti, dalla politica all’industria. È quanto è emerso dalle parole del generale Carlo Magrassi, segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti, e dell’ammiraglio Carlo Massagli, consigliere militare del presidente del Consiglio, che sono intervenuti di fronte alle commissioni riunite Difesa e Attività produttive di Camera e Senato, nell’ambito dell’esame della proposta di regolamento che istituisce il Fondo europeo per la difesa (Edf). Il meccanismo si doterà di ben 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, ma questo non dovrà essere un alibi per ridurre ulteriormente la spesa dedicata al settore. Nel primo pomeriggio, i parlamentari avevano audito anche l’ad di Leonardo, Alessandro Profumo (qui un resoconto).

IL VALORE DEL FONDO

“Al di là dei tecnicismi che saranno oggetto di revisioni nel corso dei negoziati – ha detto Massagli ai parlamentari – l’Edf segna svolta epocale: per la prima volta nella sua storia l’Unione europea decide di finanziare il comparto della sicurezza e della difesa”. Questo cambio di politica “marca un momento storico e pone sul tavolo tutti i tasselli per accelerare e finalizzare il percorso identitario della difesa europea”, ha rimarcato Massagli. Perciò, “occorre avere la perseveranza e la determinazione per mettere ciascun tassello a suo posto per comporre l’immagine finale del puzzle, in modo che sia organica, coerente ed equilibrata”.

TRA RISCHI E OPPORTUNITÀ

D’altra parte, al Fondo europeo per la difesa “non c’è alternativa”, ha notato il generale Magrassi. Eppure, “dobbiamo stare attenti a come entriamo perché rischiamo di essere solo contributori senza recuperare le nostre risorse”. Per il segretario generale della difesa “bisogna fare sistema, lavorare in maniera trasversale e sinergica. Quindi se investiamo bisogna valutare se questi investimenti hanno usi duali”, e dunque maggiori ricadute anche sul lato civile. Il primo lavoro è all’interno dei confini nazionali, ma poi sarà importante “trovare alleati a livello europeo per competere con una dimensione ragionevole”, ha rimarcato il generale.

LA STRATEGIA DEL GOVERNO ITALIANO

L’Italia è decisa ad avere un ruolo da protagonista nel processo, e per questo il governo si sta organizzazione. “L’allargamento della Difesa agli altri dicasteri è essenziale per dare trasparenza ed energia a questa realtà”, ha detto Magrassi. E così, nei prossimi giorni, gli ha fatto eco il consigliere militare di palazzo Chigi, ci sarà un tavolo interministeriale dedicato proprio al Fondo europeo. Si riunirà “quando saranno concluse le attività preliminari a Bruxelles”, che attualmente vedono coinvolte soprattutto la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) dell’Europarlamento, chiamata ad elaborare una propria bozza sulla base della proposta della Commissione. Intanto, ha detto l’ammiraglio Massagli, “posso ipotizzare e anticipare alcune proposte da portare in sede europea, previo consenso a livello interministeriale”. Sono tre: “esclusione delle spese nazionale dal patto di Stabilità; l’esenzione dall’Iva, come avviene in sede Nato, riconoscendo ai programmi la finalità di beneficio collettivo per esigenze di sicurezza e difesa europea; la facilitazione di accesso al credito per le pmi attraverso strumenti dedicati”.

IL RUOLO DELLE PMI

L’attenzione alle piccole e medie imprese, che costituiscono il sostrato dell’industria italiana, risulta da tempo una richiesta italiana in merito alla Difesa comune. Ad ogni modo, occorre anche “mitigare l’orientamento a coinvolgere all’interno di consorzi multinazionali le pmi di Stati membri privi di grandi aziende, prescindendo dalla loro qualità ma tendendo a privilegiare un’inclusività ad ogni costo”. Ad ora, la proposta di regolamento incentiva la loro partecipazione, prevedendo per la parte dedicata alla capacità bonus percentuali di finanziamento al progetto in caso di coinvolgimento di pmi e mid-cap (rispetto a una base del 20%).

LA NECESSITÀ DI INVESTIMENTI NAZIONALI

In ogni caso, hanno evidenziato tanto Magrassi quanto Massagli, i Fondi di Bruxelles non sostituiranno gli sforzi nazionali. Il tentativo è di razionalizzare le spese, ma non di liberare gli Stati membri da investimenti comunque necessari. Difatti, il regolamento proposto prevede, per la parte capacitiva, che il Fondo possa coprire fino a un massimo del 30% dei costi dell’azione, lasciando ai Paesi partecipanti il resto degli oneri. Ciò rappresenta una sfida (politica e di budget), per ogni Stato. “Il peso che si vuole esercitare in questo processo – ha spiegato Massagli – come ovvio, direttamente proporzionale allo sforzo finanziario che ciascun Paese indirizza al settore sicurezza e difesa”. Per l’Italia i segnali in questo senso non sono positivi. Lo stesso consigliere militare ha ricordato i numeri: negli ultimi dieci anni, la Francia ha registrato un incremento del 5,1% degli investimenti nel settore e la Germania un +8,8%, a fronte di un -17% del nostro Paese. Questa è la vera sfida del governo.

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