In azienda le verifiche degli obiettivi annunciati si fanno sui risultati e più i primi sono sfidanti e appaiono di difficile raggiungimento, più l’ottenerli dà lustro al management e soddisfazione agli azionisti: se il paragone con il governo e il varo della Nota di aggiornamento al Def può reggere, bisogna ammettere che dare oggi i voti per promuovere o bocciare la manovra è quantomeno prematuro, se non azzardato. Come afferma giustamente il presidente di Confindustria, “l’economia, come la politica, si misura dai risultati e i risultati si declinano in più occupazione, più crescita e meno debito pubblico”. Ecco perché ci sembra poco costruttiva la polemica sull’entità del rapporto deficit/pil: una percentuale che può oscillare fra gli appelli all’austerità (e i rischi della stagnazione) e la tentazione di poter ‘spendere’ di più (accettando il giudizio dei mercati).
Quello che ci sentiamo di dire è che l’Italia non cresce da 20 anni e che la manovra varata dal governo avrà più o meno successo, se gli input di crescita indubbiamente presenti, saranno superiori agli aspetti redistributivi sui quali finora si è dilungata la campagna di comunicazione. Lasciamo da parte, per il momento, il famoso reddito di cittadinanza e attendiamo maggiori informazioni sulle novità previdenziali di ‘quota 100’.
Preferiamo, insomma, concentrarci sui quei contenuti della manovra che riteniamo abbiano le potenzialità dirette per imprimere un’accelerazione alla crescita economica del Paese. In sintesi queste misure sono così riassumibili: taglio dell’imposta sugli utili d’impresa (Ires) per le aziende che reinvestono i profitti e assumono lavoratori aggiuntivi; rilancio degli investimenti pubblici attraverso l’incremento delle risorse finanziarie; rafforzamento delle capacità tecniche delle amministrazioni centrali e locali nella fase di progettazione e valutazione dei progetti, nonché una maggiore efficienza dei processi decisionali a tutti i livelli della pubblica amministrazione; modifiche al Codice degli appalti e standardizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato; programma di manutenzione straordinaria della rete viaria e di collegamenti italiana a seguito del crollo del ponte Morandi a Genova.
Per quest’ultimo programma, in particolare, in considerazione delle caratteristiche di eccezionalità e urgenza degli interventi programmati, il governo intende chiedere alla Commissione europea il riconoscimento della flessibilità di bilancio. Un complesso di interventi che il vicepremier Luigi Di Maio ha stimato in circa 15 miliardi di euro e, al momento, non abbiamo motivo di dubitare di tale indicazione.
A corollario di questo ventaglio di interventi c’è anche un innovativo ‘pacchetto’ fiscale che potrebbe far compiere un salto di qualità all’intera manovra economica del governo. Oltre alla flat tax per le partite Iva al 15% con ricavi fino a 65mila, il piano nazionale delle riforme (Pnr) allegato alla Nota di aggiornamento del Def mette al primo posto la riforma dell’Irpef con una ‘dual tax’ in vigore dal 2021 e comunque come obiettivo di legislatura. Il taglio progressivo delle attuali cinque aliquote prima a tre e poi a due con un prelievo del 23% fino a 75mila euro e del 33% oltre questo limite, sarà finanziata da una riduzione delle spese fiscali e da una rimodulazione (più complicata) delle aliquote Iva. A spanne si sta parlando della riduzione del carico fiscale per oltre 41 milioni di contribuenti, con un potente effetto di liberazione di risorse e un’augurabile ripresa dei consumi e della domanda interna.
Nei prossimi giorni si capirà meglio l’impianto della manovra e se ne conosceranno in dettaglio le cifre e le indicazioni di spesa. Nel medio periodo, inoltre, avremo la reazione (ufficiale) della Commissione Ue e il giudizio delle agenzie di rating. Entrambi ostacoli da superare e che riteniamo più rischiosi di uno spread altalenante e, magari, spinto in alto o in basso da folate speculative. In definitiva cerchiamo di mantenere i nervi saldi e la mente libera da pregiudizi e partigianerie.