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Così il Marocco prova a disinnescare la bomba migratoria

“Laddove taluni percepiscono la migrazione solo come un problema, il Marocco vi scorge un’opportunità nella quale ha investito onorando così le sue radici africane. Il risultato delle politiche umanitarie proattive sulla migrazione è stato un sempre crescente numero di migranti arrivati nel Regno dai paesi sub-sahariani. A fronte della retorica allarmante che vorrebbe mostrare l’immigrazione come un fenomeno distruttivo, il Regno del Marocco, un paese esso stesso modellato dall’apporto di numerosi flussi migratori, ha adottato un approccio unico e proattivo. Sia a livello regionale e internazionale che a livello nazionale e locale, il Regno del Marocco si impegna in un approccio umanitario che tiene conto dei contesti globali e locali e rispetta i diritti e la dignità dei migranti”.

Arriva da Fes il messaggio del Re del Marocco Mohammed VI su dialogo interreligioso, immigrazione e anti-radicalismo. Si è infatti appena conclusa la seconda conferenza internazionale sul “Dialogo delle culture e religioni”, che ha avuto luogo dal 10 al 12 settembre nella cittadina del Marocco nordorientale, sovente definita la “capitale culturale” del Paese. Il messaggio del sovrano marocchino è quindi risuonato come un segno di apertura del Paese su una delle sponde del bistrattato e infuocato Mediterraneo, terra di naufraghi e migranti disperati alla ricerca di pace e accoglienza, oltre che di prosperità e benessere. Che spesso non riescono a trovare in Europa, purtroppo né l’uno né l’altro. Un invito, dunque, che in tempi di dialogo ristretto tra Paesi europei e africani, del nord e del sud del mondo, risuona come un braccio teso alla discussione e all’incontro con tutti i paesi implicati nel fenomeno migratorio, e che sicuramente può interessare al Viminale, dove uno degli obiettivi principali dell’attuale titolare, il leader leghista Matteo Salvini, a partire dal passaggio di consegne, è quello di riuscire ad accreditarsi nel migliore dei medi sotto la linea di divisione delle acque che dividono i due continenti, per trarne ausilio sulla complicata questione delle migrazioni, vero oggetto di scontro elettorale in Italia e in tutto l’Occidente.

Anche se il tema, in realtà, implica anche una questione più ampia, che è quella del rapporto dell’Occidente cristiano e secolarizzato con i paesi islamici, e con la relativa visione politica e sociale. “Non potremo superare il letteralismo degli islamisti opponendo il razionalismo dei modernisti”, è quanto ha affermato a proposito durante l’incontro l’imam Yahya Pallavicini, presidente del Coreis Italia, che ha coordinato la tavola rotonda del meeting intitolata “Il ruolo dell’educazione per instaurare una cultura di pace”, con un intervento sul tema “Il coraggio della pace e il ruolo dei musulmani in Europa”. “Dobbiamo riconoscere l’unità fra la lettera e il significato spirituale della nostra tradizione e rivitalizzarla alla luce dei tempi e dei luoghi in cui abbiamo vissuto, trovando le loro corrispondenze armoniose, su piani diversi, con le regole legali e sociali che devono necessariamente garantire l’ordine della civiltà alla quale noi stessi apparteniamo”, ha detto Pallavicini. Il “coraggio della pace implica il coraggio di essere autentici musulmani”, “autentici cittadini europei”, e “testimoni attivi e intelligenti di una comunità di creature e credenti nell’unico Dio, che agisce con responsabilità e rispetto per i diritti di tutti gli esseri umani”, ha aggiunto ancora l’imam.

L’evento, che fa seguito alla prima edizione che ha avuto luogo sempre a Fes nel 2013, è stato promosso dal ministero degli Affari Esteri marocchino dall’Oif, l’organizzazione internazionale della francofonia, in cooperazione con l’Organizzazione Islamica per l’Educazione, la Scienza e la Cultura Isesco. Organizzazione, quest’ultima, fondata nel maggio 1979 dall’organizzazione della Conferenza Islamica, con sede Rabat, in Marocco, che a partire dal 2006 riconosce a diverse città del mondo musulmano il titolo di “capitali della cultura islamica”. Alla cerimonia di apertura dell’incontro, in rappresentanza del Re del Marocco Mohammed VI ha partecipato il ministro degli Affari Religiosi del Marocco, Ahmad Tawfiq, che ha portato il messaggio del Re. Un discorso concernente argomenti come il contrasto al radicalismo, lo stato complessivo delle riforme, che lui stesso ha definito “ad ampio raggio”, portate avanti per “proteggere la società marocchina contro i demoni della manipolazione ideologica e le forze sovversive, utilizzando, a tal fine, un’illuminata formazione religiosa basata sulla moderazione e la tolleranza”. Un intervento insomma che conferma quanto si dice sui media occidentali del sovrano magrebino, il “monarca imprenditore”, il miliardario “Re dei poveri”, descritto come “collerico” con i suoi “cortigiani” ma allo stesso tempo “adulato ed emulato” dai suoi “sudditi”, e soprattutto capace di condurre quello che col tempo si mostra come “un paese dinamico e al tempo stesso conservatore”.

Le politiche del re marocchino hanno il proprio impianto nella Carta degli Ulema del 2008, e comprendono, tra le altre cose, un “piano locale di supervisione religiosa, la riapertura di scuole per l’educazione religiosa e la revisione del curriculum di insegnamento dell’educazione religiosa nelle scuole”, stando a quanto si legge nel comunicato del Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana guidata da Pallavicini. Ed è in questo modo che il Marocco sostiene di formare i propri imam, maschi e femmine, cercando cioè di “decostruire il discorso religioso radicale promuovendo una narrativa alternativa che invoca tolleranza, concordia e pace”. Garantendo, poi, sensibilità e rispetto verso le altre religioni. Restaurazione siti e cimiteri ebraici e celebrazione “insieme” delle festività religiose sono due dei punti che porta a proprio credito il sovrano per affermare la bontà delle sue affermazioni. “In Marocco non c’è differenza tra un cittadino musulmano e uno ebreo”, e “anche per quanto concerne i cristiani, residenti o in visita temporanea, essi hanno sempre praticato liberamente la loro fede nelle chiese”.

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