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La priorità del Mediterraneo unisca maggioranza e opposizione. Parla Volpi

Il nostro Paese può essere il punto di equilibrio in un Mediterraneo sempre più complesso, sia nella stabilizzazione della Libia, schivando le manovre francesi, sia nella crisi siriana, richiamando l’Europa a un’assunzione di responsabilità. Tra Tripoli e Idlib si stanno giocando due partite importanti per il futuro della regione, anche se “la madre di tutte le scelte da fare” resta quella energetica, monitorando a dovere le mire di Paesi “alleati e amici” con interessi diversi dai nostri. Parola del sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi, che abbiamo incontrato a Palazzo della Marina per parlare di Mediterraneo, le cui acque si sono rapidamente surriscaldate nelle ultime settimane tra gli scontri in Libia e l’annunciato epilogo della guerra in Siria, senza dimenticare il ritorno in forza della Russia e le ambizioni di una Turchia “al bivio”.

La Libia sta vivendo giorni particolarmente turbolenti. In molti, all’interno del governo, hanno intravisto le responsabilità della Francia. Anche lei ha la stessa sensazione?

Sì. Ho la sensazione che sulla Libia ci sia una responsabilità storica della Francia. È un dato innegabile. Forse, vedendo anche gli ultimi segnali che arrivano da Parigi, in questo momento particolare si stanno accorgendo di aver creato situazioni che non sempre sono controllabili. D’altronde, la Francia ha sempre influenzato molto il teatro nordafricano, guardando a interessi nazionali che noi, come altri Paesi europei, non condividiamo.

A proposito dell’Europa, tra i grandi assenti della questione libica c’è proprio l’Unione. Perché?

L’aspetto più rilevante è che l’Europa ha bisogno di trovare un punto di sintesi realistico. In questo momento, nell’Unione europea, stanno governando insieme due famiglie politiche con sensibilità differenti. La componente socialista è diversa da quella popolare, e anche tra i popolari ci sono delle divisioni. Questo è il punto di partenza che bisogna tenere in considerazione quando si osserva l’indeterminatezza delle politica comune. Inoltre, vi è uno sbilanciamento riguardo al Mediterraneo. Da alcuni è visto in un’ottica neocolonialista, e da altri come un argomento residuale rispetto alle politiche sociali ed economiche. Ciò determina un’Europa poco proficua nelle scelte strategiche, e dunque la nostra convinzione che ci sia bisogno di condivisione e comune consapevolezza.

Cosa dovrà fare l’Italia per preservare la stabilità in Libia?

Ieri c’è stata l’audizione dei ministri Trenta e Moavero Milanesi. Il richiamo è all’unità di intenti dell’Europa in una situazione non facile. L’idea del nostro governo è stata quella di lanciare una conferenza che coinvolga la molteplicità degli attori presenti. In queste ore, noto che su questo anche i francesi sono attivi, con la telefonata di Macron a Serraj. Di certo, non mi sembra che ci siano le condizioni per andare alle elezioni entro la fine dell’anno, ma forse non interessa neanche agli attori libici. In tutto questo, l’Italia è un elemento di stabilizzazione, anche perché è l’unico Paese a non essere avvertito come neocolonialista e a presentarsi come attore per la cooperazione. D’altra parte, sulla Libia si sfogano vari interessi, a iniziare da quelli del vicino Egitto, con cui è stato opportuno riaprire un rapporto molto serio anche per il controllo del Cairo sul generale Haftar. Una cosa che sono curioso di capire è se gli Stati Uniti avranno un ruolo proattivo. Da quello che leggo, rispetto al continente africano resta da parte di Washington l’annuncio di un disimpegno. Eppure, su vicende puntali vi è la partecipazione formale. A ciò, in ogni caso, si risponde solo con un progetto politico europeo.

Nel vertice di fine luglio tra Giuseppe Conte e Donald Trump, gli Usa hanno riconosciuto all’Italia la leadership nel Mediterraneo. È un ruolo che resta credibile in questo contesto di instabilità?

Assolutamente sì. Adesso è giusto che il governo, ma direi tutto il Paese e tutto il Parlamento, maggioranza e opposizione insieme, si domandino come poter esercitare la possibilità di essere protagonisti. La nostra presenza non è marginale, e abbiamo capacità che possono essere messe in campo per fare da vero e proprio punto di equilibrio.

Anche per questo, il governo ha cercato di recuperare i rapporti con l’Egitto, con i viaggi di Salvini e Moavero. Per riuscire a pacificare la Libia si deve passare dal Cairo?

Sicuramente bisogna condividere la capacità di influenza positiva nella stabilizzazione del Paese. L’Egitto è un vicino importante per la Libia e ha una rilevanza storica nell’equilibrio dell’intera regione.

Intanto, la Russia si è riaffacciata nel Mediterraneo con un’esercitazione che coinvolge 25 navi e 30 velivoli. È una minaccia per l’Italia in qualità di membro dell’Ue e della Nato?

La Russia sta svolgendo due esercitazioni rilevanti (in Siberia orientale si terrà a breve Vostok-18, la più grande di sempre, ndr). Quella nel Mediterraneo vale quasi il doppio della presenza che normalmente ha in questo mare, e si lega naturalmente alla crisi siriana, fenomeno di importanza strategica straordinaria. Prima di tutto, si deve pensare al dramma umano che la guerra ha comportato da diversi anni. Poi, occorre considerare che sulla Siria si sfoga una condizione di confronto interno alla religione islamica, tra sunniti e sciiti. C’è inoltre la Turchia, che vive un processo di neoislamizzazione e si trova di fronte a un bivio storico: se pensare al sogno del neo-ottomaneismo solo sulla penisola balcanica, o se estenderlo anche all’area asiatica.

Ankara sembra anche al bivio tra Occidente e Oriente.

È il secondo Paese a livello di Forze armate all’interno della Nato, eppure ha recentemente comprato dalla Russia dei sistemi militari (gli S-400 per la difesa aerea, ndr). Sta in realtà adottando una politica finalizzata ad avere sempre maggiore autonomia all’interno dei due storici blocchi, dotandosi di proiezioni che dovremmo valutare tutti insieme nei prossimi anni. Non possiamo permetterci di non guardare con attenzione un Paese a cavallo tra Europa e Asia, determinante sulle questioni energetiche e sul Mediterraneo.

Intanto, i rappresentanti di Ankara, Mosca e Teheran si ritrovano in Iran per il futuro della Siria, mentre Assad prepara l’ultima offensiva su Idlib…

C’è già stato un tentativo ad Astana per una conferenza dello stesso tipo, che poi non ha avuto un seguito particolare. Su Idlib c’è innanzitutto una valutazione importante da fare circa gli avversari di Assad. In queste situazioni non esistono o solo buoni o solo cattivi. Nell’enclave in questione, così come è accaduto nelle altre, si parla solo di “ribelli”, ma in realtà una buona parte non sono nient’altro che elementi residuali dell’Isis.

Trump ha però tracciato una linea rossa all’attacco su Idlib. C’è il rischio di un escalation come quella dello scorso aprile, terminata con l’attacco di Usa, Francia e Regno Unito?

Gli Stati Uniti hanno sicuramente la capacità militare di dare una risposta. Ma in questo momento è opportuno guardare con attenzione agli aspetti umanitari, e poi a quelli che riguardano le regioni vicine. Sulla Libia il problema è il traffico dei migranti; sulla Siria la preoccupazione riguarda soprattutto la gestione del rientro dei foreign fighters. In tal senso, sarà l’Europa a dover avere la capacità di essere mediatrice nel teatro, decidendo e partecipando in maniera costruttiva.

Sulla modifica dell’Operazione Eunavformed “Sophia”, la proposta italiana ha però incassato il no degli alleati europei. Cosa fare?

È stato comunque confermato che questo tipo di operazione va rivista. È nata per un certo tipo di interdizione e, chiaramente, di fronte alla situazione contingente va trasformata in qualcos’altro. Ciò si lega però anche alla razionalizzazione di altre forme di missione nel Mediterraneo.

Ma nel Mediterraneo si gioca un’altra partita importante, quella energetica, con la Turchia pronta a perforare nella zona di Cipro, gli interessi dell’Eni tra Libia ed Egitto, e il dibattito sulla Tap.

Quella energetica è la madre di tutte le scelte da fare. È legata anche ai nuovi tipi di risorse (si pensi all’impronta della Cina in Africa) e rientra nelle battaglie economiche centrali per il Paese. Credo che pure qui abbiamo la capacità per avere un elemento di protagonismo, anche per la convinzione, ormai radicata, che Paesi alleati e amici abbiano avuto interesse a mettere il loro marchio lì dove è presente l’Eni.

Il riferimento pare anche alla Francia, e lei ha utilizzato il termine “amici” come ha già fatto il ministro Trenta. “Proprio perché amici, dobbiamo dirci le cose come stanno”, ha detto ieri alle commissioni. L’impressione è che il governo italiano lo stia ormai facendo. Ma la Francia?

La Francia le sta facendo, e non ha bisogno di dircele. Anche per questo credo che sia opportuno consolidare il rapporto con la Gran Bretagna. L’uscita dall’Ue non la sottrarrà dai rapporti con l’Europa, ma da un certo tipo di sistema centralizzato. Se è vero che si sta configurando un asse Germania-Francia-Spagna, noi possiamo intraprendere con gli inglesi delle interessanti operazioni in Africa e nel Mediterraneo.

Qualcosa da aggiungere?

Mi lasci dire una cosa a cui tengo. Anche per questi scenari di cui abbiamo parlato, ho trovato all’interno delle Forze armate italiane una capacità di programmazione e pronto impiego veramente straordinaria. Credo che il Paese non abbia assolutamente la percezione della qualificazione dei nostri militari, una vera e propria classe dirigente contemporanea, sia nell’analisi e nella ricerca, sia nell’attuazione dei programmi, e sono onorato di avere a contatto un ambiente di questo tipo. Li vediamo nei servizi di tre minuti nei telegiornali, che non rendono giustizia al servizio che svolgono in teatri critici, operando nella stessa Libia con una professionalità e una tranquillità straordinarie, che vanno a onore loro e del Paese.


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