Skip to main content

Merkel in difficoltà. Fine di un’era?

La situazione politica in Germania si fa sempre più tesa. Per noi abituati a sceneggiate tra i banchi del Parlamento, forse, non apparirà così. Ma per la posata e seriosa politica tedesca, gli ultimi giorni sono stati un tonfo politico per Angela Merkel che, secondo quanto riportano i media tedeschi e quando emerge dalle parole di esponenti politici di vari partiti, ha perso la maggioranza all’interno del gruppo CDU/CSU in Bundestag, per il Tagesschau.de e per Der Spiegel sarebbe addirittura un voto di sfiducia.

Dal punto di vista formale, non significa nulla. La maggioranza di governo è la stessa e quindi, il governo, di per sé, non ha nulla da temere per la sua tenuta. Ma la bocciatura di Kauder, fedelissimo di Angela Merkel ormai da oltre un decennio, a Capogruppo CDU/CSU indica che ha vinto una linea interna di malcontento verso la cancelliera. In molti si chiedono se l’era Merkel sia arrivata definitivamente al capolinea.

Le vicende degli ultimi mesi hanno minato la credibilità di questo Governo, specie per le prese di posizioni del Ministro degli Interni, il bavarese Horst Seehofer. Le sue esternazioni contro la linea politica della Cancelliera sul tema dei migranti e della sicurezza hanno rafforzato la frangia più estremista del suo partito, e danneggiato, ovviamente il Governo. Dopo i fatti di Chemnitz, ha affermaro: “Migration is die Mutter aller Probleme“. Ossia, la migrazione è la madre di tutti i problemi.

Un’affermazione incosciente, banale e pericolosa. Specie all’indomani di vere e proprie azioni di caccia all’uomo (straniero) da parte di gruppi neo-nazisti. Nell’importenza della polizia locale, finita sotto accusa per la timidezza con cui ha affrontato il corteo neo-nazista.

Il capo del Verfassungsschutz, Jans-Georg Maasen, non solo ha cercato di minimizzare i fatti di Chmenitz, ma ha anche messo in discussione che quegli atti di violenza, testimoniati da riprese video e da persone che erano presenti, fossero avvenuti, salvo poi ritrattare e tentennare sulle sue stesse posizioni, tradendo così, una certa simpatia per gli ambienti della destra estrema. Inizia così una battaglia con il Partner di minoranza del Governo, la SPD, per la sostituzione di Maasen. Ma Seehofer lo promuove e lo nomina sottosegretario.

Questa è una parabola triste per la Germania e per Angela Merkel. Che ha dismostrato tutta la sua debolezza politica nei confronti della CSU e di Horst Seehofer, che avrebbe invece potuto dimissionare. La SPD stessa non si è dimostrata su questo tema abbastanza determinata. Solo dopo forti proteste della base e di numerose deputate e deputati, la Presidente, Andrea Nahles, ha deciso di mettere Seehofer sotto pressione e la Merkel per far togliere Maasen dalla sua nuova posizione. Ma forse è stato troppo tardi.

Oggi, la posizione di Angela Merkel è dunque in bilico. Così come il futuro di questa Grande Coalizione, tale solo nel nome, non molto nei numeri. CDU/CSU e SPD, i due grandi partiti che hanno da sempre dominato la scena politica sono ridotti all’osso. La SPD ha perso consenso, la CDU anche. I margini di ripresa ci sarebbero, ma le strategie politiche sembrano mancare. Nel frattempo, sale un po’ AfD, tiene bene la Linke e sale nei consensi il partito dei Verdi.

Un’ultima osservazione è d’obbligo. Tutti i momenti politici passano: le ere finiscono. Ma che resta di queste nel ricordo e nella storia? Il punto drammatico è qua. Le leadership politiche al tempo della post-Democrazia sono essenzialmente personalistiche. Certo, in Germania la solidità dei partiti è indubbia, come il fatto che una legge federale che li regola, garantisce standard minimi e comuni di democrazia interna, trasparenza e affidabilità. Cosa che non esiste in Italia.

Ma queste leadership, da Angela Merkel a Silvio Berlusoni, da Matteo Renzi a Emmanuel Macron (giustificato dal fatto che non sopravviverà politicamente, a una mezza stagione, come avevo già affermato) passando per i vari Holland, Blair e via dicendo, sono caratterizzate dalla formula: dopo di me il diluvio.

Non hanno preparato un terreno che potesse far emergere personalità di spicco per proseguire un percorso, un’esperienza politica. Sono leadership che distruggono e non creano. Ed è questo il grande danno arrecato alla Democrazia delle nostre società occidentali. Preoccupati più del proprio percorso politico personale, che del futuro e della sostenibilità di un’idea politica e men che meno interessati al destino di una comunità che, in teoria, avrebbero dovuto rappresentare e difendere.

Mala tempora currunt.

 


×

Iscriviti alla newsletter