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Influenza euro-atlantica o russa? Il referendum della Macedonia

Di Edoardo Corradi

L’accordo che ha risolto la disputa del nome tra Macedonia e Grecia è ancora lungi dall’essere definitivo. Se infatti in Grecia è necessario un delicato voto parlamentare, la Macedonia deve chiamare i suoi cittadini a votare in un referendum, domenica 30 settembre, per renderlo definitivamente valido. Il quesito – “Sei favorevole all’adesione all’Unione europea e alla Nato accettando l’accordo tra Macedonia e Grecia?” – mette in luce le volontà del governo di offrire alla popolazione le prospettive future che si celano dietro la risoluzione di una quasi trentennale disputa con i vicini ellenici, senza menzionare chiaramente che, con l’intesa, il nome costituzionale del Paese dei Balcani diventerà “repubblica della Macedonia del Nord”.

L’INCERTEZZA DEL VOTO

Un sondaggio condotto da Telma Television, Macedonian Center for International Cooperation (Mcic) e Institute for Democracy Societas Civilis – Skopje ha evidenziato come, al momento, sembra più probabile una vittoria degli elettori a sostegno dell’accordo. Secondo il sondaggio, infatti, il 57,8% dei votanti si recherebbe a votare e, di questi, il 70,8% voterebbe a favore dell’integrazione nelle strutture euro-atlantiche. La campagna referendaria è polarizzata su due posizioni ben distinte: da una parte il governo, che punta proprio sulla decisione della Commissione europea e del Consiglio di avviare i negoziati per l’integrazione del Paese nel 2019, sbloccando il lungo iter iniziato nel 2005 quando la Macedonia ottenne lo status di Paese candidato all’integrazione; dall’altra le opposizioni, che vanno dalla contrarietà al referendum fino alla creazione di campagne di boicottaggio.

La Vmro-Dpmne dell’ex primo ministro Nikola Gruevski è divisa attualmente tra i sostenitori del nuovo leader, Hristijan Mickovski, e quelli di Gruesvki stesso. I primi, a favore dell’accettazione del risultato del referendum qualunque esso sia, sono quelli che potrebbero essere convinti nel firmare la modifica costituzionale a seguito della vittoria del sì (Mickovski stesso ha lasciato ai suoi elettori libertà di coscienza in vista della consultazione), mentre i secondi hanno più volte proclamato di non avere intenzione di accettare alcun cambiamento e di boicottare il referendum stesso. Nel caso di vittoria, quindi, i voti della Vmro-Dpmne saranno necessari. Infatti, ogni modifica della Costituzione deve essere votata da due terzi del Parlamento. Attualmente, il governo può contare su 71 parlamentari, e necessita dunque del supporto dell’ala di Mickovski nel caso di vittoria del sì.

L’INFLUENZA RUSSA

Se i sondaggi sono favorevoli al governo, il timore di un’intrusione della Russia è elevato. Il segretario della difesa statunitense Jim Mattis ha infatti messo in guardia l’esecutivo di Skopje su una possibile influenza di Mosca nelle votazioni, in particolare attraverso la dotazione di fondi alle opposizioni che avversano il referendum.

Il sistema di voto macedone aveva già registrato infatti delle carenze per quanto riguarda la sicurezza delle operazioni elettorali, con brogli che avevano portato alla lunga crisi politica culminata con la caduta del decennale governo di Nikola Gruevski. La Russia, per contro, ha l’interesse di evitare che un altro Paese, per quanto di piccole dimensioni, entri definitivamente nella sfera di influenza della Nato. Dopo l’adesione del Montenegro all’Alleanza atlantica, infatti, la Russia ha oggi solo la Serbia come alleato nella regione: Belgrado, tuttavia, seppur reticente rispetto a un eventuale ingresso nell’Alleanza atlantica, è invece maggiormente favorevole all’adesione all’Ue. La caduta dell’esecutivo della Vmro-Dpmne, a parole europeista ma molto vicino alle posizioni di Mosca, aveva già chiarito la svolta in atto in Macedonia, e questo referendum potrebbe essere l’allontanamento definitivo del Paese balcanico dal soft power russo.

UN’OCCASIONE UNICA

Per Skopje, il momento è storico. La disputa sul nome con la Grecia nacque infatti contemporaneamente all’indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia, riuscendo a evitare la guerra ma non le difficoltà. La Grecia si opponeva infatti all’utilizzo del toponimo Macedonia, già da Atene utilizzato per identificare la regione di Salonicco, nel timore che Skopje avesse delle mire irredentiste nei confronti proprio della regione greca. Un primo accordo era giunto nel 1995 grazie alla mediazione delle Nazioni Unite, che portò alla modifica di alcuni articoli della Costituzione macedone, ritenuti irredentisti, e condusse all’adozione di una nuova bandiera al posto di quella – ritenuta patrimonio ellenico – recante il sole di Vergìna. Così, da oltre 25 anni, il Paese è internazionalmente identificato con il toponimo di ex repubblica jugoslava di Macedonia(Fyrom, nell’acronimo inglese). In realtà, si trattava in origine di un “nome provvisorio”, superato solo il 17 giugno scorso, con l’accordo siglato fra Skopje e Atene sulle rive del lago di Prespa, al confine fra i due Paesi.

Per la Macedonia, questa intesa rappresenta il futuro, ovvero l’ingresso nelle istituzioni europee e nella Nato. Il governo guidato dal socialdemocratico Zoran Zaev ha impostato tutto il proprio lavoro sulle questioni internazionali, firmando un accordo di buon vicinato con la Bulgaria, garantendo lo status di seconda lingua all’albanese e lavorando proprio sulla disputa con la Grecia.

Un voto favorevole al quesito referendario garantirebbe al Paese la fiducia delle istituzioni internazionali e l’negoziati per l’adesione all’Ue potrebbero davvero aprirsi nel 2019, insieme all’Albania. L’ingresso nell’Alleanza atlantica sarebbe invece più rapido, in quanto la Macedonia era già stata invitata nel 2008, salvo vedere il suo ingresso bloccato dal veto greco proprio per la questione del nome.

Una sconfitta nel referendum, invece, comporterebbe la caduta del governo (che in vista della consultazione ha ricevuto il sostengo di numerosi leader europei, dalla Merkel a Macron, dalla Mogherini alla May). Zaev ha infatti personalizzato il referendum, promettendo le sue dimissioni in caso di sconfitta, che – nonostante le difficoltà elettorali degli ultimi anni – potrebbe riaprire un ciclo favorevole ai conservatori della Vmro-Dpmne, i quali difficilmente lavorerebbero in futuro per trovare un nuovo accordo.

Domenica prossima, insomma, la Macedonia si gioca la chance di legarsi all’Europa e alla Nato, rischiando – in caso di bocciatura del referendum – di rinchiudersi in un isolamento che non aiuterebbe la già debole economia interna.

(Articolo pubblicato su Affarinternazionali)

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