Uno spettro si aggira per l’Europa, diceva una volta qualcuno nel 1848. Questa volta, però, non è lo spettro del comunismo, evocato dal “Manifesto” di Marx ed Engels, ma quello del sovranismo, un concetto ricorrente nelle autopromozioni di una parte politica, nell’antagonismo delle opposizioni, nel richiamo dei commentatori.
Uno spettro che non si accontenta di aggirarsi solo per l’Europa, ma fa volentieri trasferte transoceaniche e mette la sua bandiera sulla Casa Bianca a Washington. Ma, a differenza delle innumerevoli pagine di dottrina che trovereste alla voce “comunismo” nei libri di storia delle dottrine politiche e nelle enciclopedie del pensiero politico, una ricerca del lemma “sovranismo” sarebbe una mezza delusione: trovereste poco e niente e quel poco sarebbe solo frutto di aggiornamenti recentissimi. La parola, infatti, deriva dal francese “souvranisme” e descrive un atteggiamento che persegue la tutela della sovranità nazionale in antitesi al processo di globalizzazione in atto nel mondo moderno e in aperta contestazione delle dinamiche di concertazione adottate dagli organismi internazionali come l’Unione Europea.
Dunque sarebbe una tendenza “moderna”. Non a caso le prime tracce lasciate dalla paroletta risalgono all’avvento della Comunità Europea negli anni Cinquanta: una sorta di antagonismo ante litteram contro l’idea dell’Europa unita. Se vogliamo, però, dare a questa posizione politica un vestito nobile forse dobbiamo risalire al 1648, al Trattato di Westfalia che convenzionalmente segna la nascita dello Stato moderno e il tramonto dei “due soli” (l’espressione è di Dante Alighieri in “De Monarchia”): l’Impero e il Papato. Da quel momento, infatti, lo Stato si configura come un’istituzione sovrana che sta al di sopra di ogni altro centro di potere presente nel suo territorio ed è in grado di esercitare la sua supremazia sui sudditi.
La sovranità, insieme al popolo e al territorio, diventa così uno degli elementi costitutivi dello Stato moderno, in una dimensione di complementarietà: nessun elemento può esistere senza gli altri due. Fin qui la storia del diritto. Oggi, però, sovranismo, nell’uso corrente che se ne fa in politica, vuol dire altro: per Trump significa “Only America first”, e vale a dire politiche protezionistiche e anti-immigrazione. Per i sovranisti europei significa tutela dei confini dall’ingresso degli immigrati e dall’Unione Europea. Cioè la stessa politica di Trump in chiave Vecchio continente.
Catalogare il sovranismo all’interno di categorie antiche, tipo destra/sinistra, non è impresa che valga la pena di compiere. Certamente è una posizione che all’evidenza si sposa più con una visione reazionaria e di destra, tuttavia un certo sentiment che antagonizza l’azione della finanza globale chiamerebbe in causa motivi cari ad una certa sinistra radicale.
La cosa curiosa è che il sovranismo nulla dice della supremazia della Rete e del controllo tendenziale delle nostre vite che la floridissima ed egemone finanza che gravita attorno al mondo digitale esercita senza regole. Il corollario più pericoloso di questo pensiero sta, poi, nell’idea alterata del potere della maggioranza, ritenendo che un governo legittimamente insediato possa decidere di stracciare i vincoli giuridici che sul piano internazionale l’ordinamento statale ha assunto nel corso del tempo. Il sovranismo guarda, infatti, all’oggi, all’immediato, alla conquista e al consolidamento del consenso elettorale. non ha visione e non si pone il problema delle conseguenze delle fratture con la comunità internazionale.
Chi voglia trovare qualche esempio calzante di questa politica guardi al Def. Nella imponente cattedrale del pensiero dominante, dunque, il sovranismo e il populismo sono le colonne portanti. In alto, sulle guglie più svettanti delle cattedrali italiane, ci stanno i due profeti: Matteo e Gigino. E noi restiamo illuminati d’immenso.