Alcuni commentatori hanno sottolineato l’eterodossia di un comportamento “entrista” da parte di Obama, ex presidente che, appunto, “entra” in partita contro Trump per dare la sveglia ai dem un po’ intorpiditi in vista delle elezioni di mid term, il voto con cui viene rinnovato il Congresso e un terzo del Senato Usa, oltre ad un numero di Governatori, nel prossimo novembre. Voto che cade a metà mandato (mid term, appunto) presidenziale: una sorta di verifica generale dello stato di salute – politica – del Presidente in carica, soprattutto del rapporto con la sua maggioranza parlamentare, dopo la chiusura della luna di miele del primo tempo presidenziale.
I cultori dell’ortodossia istituzionale hanno visto in questo gesto di Obama una rottura del galateo che regge la dialettica tra presidenti ed ex, ancorché di opposte visioni: si conviene che l’ex si dedichi ad altro che alla politica, per esempio a conferenze lautamente remunerate, charity, presidenza di fondazioni, botanica, bricolage, pesca, turismo internazionale, quel che gli pare ma non politica. Mai politica. Il punto è che solitamente l’uscita dalla carica si realizzi in età, per così dire, coerente con l’idea del pensionamento. E non è proprio il caso di Barack, entrato alla Casa Bianca che aveva 48 anni ed uscito dopo due mandati a 56 anni, un anno fa.
E come si fa a guardare alla dissoluzione della tua parte politica, ad assistere alla quotidiana umiliazione dello spirito pubblico del tuo paese, all’avvelenamento delle fonti della convivenza democratica con le tossine del populismo trumpiano sparse a mani larghe, a vedere stravolto persino il linguaggio del dibattito pubblico, girando la testa dall’altra parte, quando ti senti addosso l’energia che ti spinge a fare la tua parte e dire quello che pensi davvero sul verso sbagliato che hanno preso le cose? Dato che Barack non è ricandidabile alla presidenza il suo “entrismo” (che, per non scivolare in equivoci, era una pratica politica dei trozkisti usata per dire la loro nei grandi partiti di massa) è un puro atto di generosità, perché non ha obiettivi personali. Le ragioni le ha declinate lui stesso nell’intervento al funerale di Mc Cain : “La politica di oggi è eccesso, arroganza, insulto, rabbia manipolata. Finge di essere forte invece nasce dalla paura”. Contro questa barbarie ha issato le bandiere della ragione e della passione. Obama può piacere o no, ma credo gli si debba rispetto in questo sforzo volto a contrastare ciò che nega in radice anche il patto su cui basa il galateo istituzionale invocato dai critici che oggi obiettano sull’impegno diretto dell’ex presidente, inedito e irrituale.
Piuttosto, dove sono andati a finire i nostri, i leader democratici italiani, quelli che sicuramente sono contro la politica dell’eccesso, dell’arroganza, dell’insulto e della rabbia manipolata, e però sono spariti dai radar? È possibile che l’esempio dell’ex presidente americano non smuova nessun cuore ardito?
La politica non è aspettare che i cicli si consumino da soli e poi tenersi pronti in prima fila a riscuotere il premio: non è così che funziona. Perché se non si costruisce un’alternativa non si chiude nessun ciclo. È la regola base della democrazia.