“L’obiettivo dell’accordo non è politico ma pastorale, permettendo ai fedeli di avere vescovi che sono in comunione con Roma ma allo stesso tempo riconosciuti dalle autorità cinesi”. Basta ascoltare la dichiarazione rilasciata dal direttore della Sala Stampa vaticana Greg Burke sull’accordo provvisorio tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, comunicato ufficialmente in mattinata proprio in corrispondenza dell’arrivo di Papa Francesco nei Paesi Baltici, una visita apostolica centrata sul dialogo e le celebrazioni ecumeniche ma anche e soprattutto sulla memoria dei cristiani martirizzati dal regime sovietico, per capire il punto della questione e lo spirito che ha portato alla sigla dell’importante accordo. “Questa non è la fine di un processo. È l’inizio! Si è trattato di dialogo, di ascolto paziente da entrambe le parti anche quando le persone vengono da punti di vista molto diversi”, ha affermato il portavoce vaticano.
L’accordo, sulla nomina dei Vescovi, “questione di grande rilievo per la vita della Chiesa”, siglato stamane a Pechino dal sotto-segretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati Antoine Camilleri e dal viceministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese Wang Chao, è “frutto di un graduale e reciproco avvicinamento” e “viene stipulato dopo un lungo percorso di ponderata trattativa e prevede valutazioni periodiche circa la sua attuazione”, spiega la Santa Sede. Un percorso cioè lungo, partito anni addietro, ma che si concretizza, oggi, in un passaggio che rappresenta senza ombra di dubbio un evento di portata storica. E che porta, nonostante le avversioni da lungo radicate verso questo processo di “cinesizzazione” della Chiesa cattolica locale da parte di una componente del mondo cattolico, e i dubbi dei critici di una effettiva libertà dei cattolici cinesi, il marchio di Papa Francesco. Un segno cioè indelebile e caratterizzante del suo pontificato, rivolto fin da subito alla decentralizzazione di numerosi aspetti della Santa Sede, all’attenzione per le culture locali e all’accentuazione della responsabilità della diplomazia vaticana, nell’ambito di una globalizzazione che deve essere non sfera ma poliedro. Visto che oggi, Bergoglio, diventa il primo Papa ufficialmente riconosciuto tale dalle autorità cinesi dalla presa del potere di Mao Zedong, con i vescovi in comunione gerarchica.
Nonostante infatti il dialogo tra Vaticano e Cina sia iniziato con Giovanni Paolo II, anche se in maniera confidenziale, dopo i primo tentativi di Paolo VI, e poi proseguito con Benedetto XVI, di cui si ricorda la Lettera alla Chiesa in Cina inviata nel 2007, in cui Ratzinger auspicava “di vedere presto instaurate vie concrete di comunicazione e di collaborazione tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese”, è di fatto Bergoglio, il primo papa gesuita della storia, il vero artefice dell’istituzionalizzazione dell’amicizia tra i due Paesi. In memoria del fatto che anche il primo grande cristiano missionario in Cina è stato un altro gesuita, Matteo Ricci. “Per me, la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza, un grande Paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile”, diceva Francesco nel 2016 al quotidiano cinese Asia Times. L’obiettivo è quello di una “normalizzazione” della vita di fede per i cattolici già presenti nel Paese, oltre che a un “rinnovato slancio nell’evangelizzazione”. Che cioè “le comunità cattoliche in Cina possano avere buoni pastori in comunione con la Santa sede e riconosciuti dalle autorità civili”, spiegano i media vaticani.
“È auspicio condiviso che tale intesa favorisca un fecondo e lungimirante percorso di dialogo istituzionale e contribuisca positivamente alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene del Popolo cinese e alla pace nel mondo”, scrive ancora la Santa Sede. “L’obiettivo è pastorale, cioè aiutare le Chiese locali affinché godano condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione, in modo tale che possano dedicarsi alla missione di annunciare il Vangelo e di contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società. Per la prima volta dopo tanti decenni, oggi tutti i Vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma”, ha così ribadito il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, vera grande longa manus dell’evento diplomatico. “Papa Francesco, come i suoi immediati predecessori, guarda e si rivolge con particolare attenzione e con particolare cura al popolo cinese. C’è bisogno di unità, c’è bisogno di fiducia e di un nuovo slancio; c’è bisogno di avere pastori buoni, che siano riconosciuti dal successore di Pietro e dalle legittime autorità civili del loro paese”. Ed è questo l’orizzonte in cui si pone la storica intesa, ha spiegato il cardinale.
“Francesco ha portato a maturazione un processo che dura dal 1986, cioè da oltre 30 anni, scrivendo così una pagina inedita della storia”, spiega invece la rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica. “I vescovi cinesi ordinati senza mandato pontificio e che successivamente hanno ricevuto il riconoscimento della piena comunione dai precedenti Pontefici sono, del resto, già una quarantina. Alla luce dell’accordo di oggi, la Chiesa in Cina è dunque chiamata a superare le divisioni del passato e a rinnovare con slancio la sua missione di annunciare il Vangelo, per contribuire al bene del popolo cinese, con il suo messaggio religioso e con il suo impegno sociale. È per questo che deve essere pienamente cinese, andando a fondo nel processo di inculturazione, alla luce dell’universalità propria del cattolicesimo. Dunque: pienamente cinese e pienamente cattolica”. Ed è per questa ragione, spiega la rivista, che “l’accordo non va considerato un punto di arrivo, ma una nuova partenza: non ci sono automatismi che garantiscano il miglioramento della qualità della vita religiosa cattolica cinese. Le sfide rimangono, ma certamente il processo di rimodellamento del rapporto tra le due parti è un fatto positivo per i cattolici cinesi”.
Il Papa, in contemporanea con la firma dell’accordo, ha infatti cancellato la scomunica ai sette rimanenti vescovi ufficiali ordinati senza mandato pontificio, riammettendoli così nella piena comunione ecclesiale. L’auspicio di Francesco è che in questo modo “si possa avviare un nuovo percorso, che consenta di superare le ferite del passato realizzando la piena comunione di tutti i cattolici cinesi”, considerato che “la Comunità cattolica in Cina è chiamata a vivere in più fraterna collaborazione, per portare con rinnovato impegno l’annuncio del Vangelo”. La seconda ulteriore notizia è poi che il Vaticano ha costituito nella Cina Continentale la diocesi di Chengde, suffraganea di Beijing e che includerà otto distretti rurali e tre divisioni amministrative, prendendone il territorio da altre diocesi precedenti, quelle di Jehol/Jinzhou e di Chifengper, per dare la possibilità a uno dei vescovi rilegittimati di avere una sede propria.
La questione dei vescovi rappresenta infatti il vero nodo tra i due universi, quello cattolico e quello cinese. Pechino ovviamente da sempre considera un pericolo il fatto che uno Stato, come di fatto è quello Vaticano, nomini delle autorità all’interno dei propri confini, considerandola un’interferenza. Questo ha portato alla creazione di una cosiddetta “chiesa patriottica”, con dei capi nominati con il benestare del partito comunista e senza chiedere nulla a Roma. Un protocollo totalmente inviso a Giovanni Paolo II, che scomunicò tutti i vescovi che avevano accettato questo compromesso. Ma durante il pontificato di Ratzinger questo canale di amicizia fu riaperto, dichiarando che i vescovi erano già di fatto “in comunione piena con la Santa Sede”. Solo a questo punto, però, si è arrivati a mettere nero su bianco della questione. Anche se i confini appaiono in un certo senso ancora sfumati, visto che soltanto in mattinata il Global Times, quotidiano legato al Partito comunista cinese, ha raccontato che il ministro degli esteri cinese non disponeva in realtà di “alcuna informazione su alcuna visita da una delegazione vaticana”, dato che la notizia dell’accordo era già nell’aria da alcuni giorni.
Di fatto però “il testo dell’accordo non viene reso pubblico perché ha la caratteristica di essere un testo, sì vigente e normativo, ma provvisorio e in un certo senso anche sperimentale”, e “future revisioni e futuri perfezionamenti sono possibili e auspicabili”, spiegano i media vaticani. L’accordo viene cioè “definito provvisorio perché contempla un tempo di verifica – presumibilmente, almeno un paio d’anni – per sperimentarne sul campo il funzionamento e gli effetti”, spiega Gianni Valente sul quotidiano La Stampa. “Il testo non viene pubblicato proprio perché l’accordo rappresenta uno strumento di lavoro flessibile, che con il consenso delle due parti potrà essere modificato e migliorato anche nella sua codificazione testuale durante il periodo di applicazione sperimentale. Per questo non vengono forniti dettagli sul metodo che verrà utilizzato nelle future nomine episcopali in Cina”. Anche se “le procedure non dovrebbero discostarsi molto da quelle prefigurate in un articolo apparso su Global Times già nel 2010, dopo che una fase intensa di consultazioni tra Santa Sede e governo cinesi sembrava aver preparato già allora il terreno per un accordo sulle nomine dei vescovi cattolici cinesi”.
Ovvero che la Santa sede terrebbe per sé “la facoltà di scartare il candidato espresso dalla diocesi che ai suoi occhi risultasse inadatto al ruolo di vescovo”, prendendo così “in considerazione altri nomi, con altri round di elezioni diocesane e consultazioni, fino a identificare un candidato considerato degno dell’ordinazione episcopale anche dalla Santa Sede”. Ma rimane ancora aperta la questione dei vescovi “clandestini”, cioè quelli non riconosciuti da Pechino. Quello che si è instaurato, al momento, è perciò solamente un metodo di lavoro, con il quale presumibilmente risolvere in futuro anche le altre questioni aperte. Anche se però, a questo punto, “potranno finire in archivio anche gli stereotipi fuorvianti sulle due Chiese – quella fedele al Papa e quella legata al governo comunista – che ancora dilagano nella rappresentazione mediatica conformista del cattolicesimo in Cina”, spiega ancora il vaticanista. “Potranno col tempo dissiparsi i fantasmi di pulsioni settarie o scismatiche che hanno per lungo tempo tormentato la comunità cattolica in Cina. La Chiesa è se stessa, e compie la sua missione, quando è una, anche se controllata e perseguitata”.