Siamo di fronte a un cambio d’epoca? I prossimi anni ci confermeranno o smentiranno questa ipotesi. Oggi possiamo constatare, tuttavia, che la lunga transizione politica italiana, iniziata negli anni Novanta è, probabilmente, a una svolta. Allo stesso tempo possiamo osservare che la società postmoderna sta lentamente sfiorendo e una nuova dimensione inizia a muovere i primi passi. Anche se in forma breve e succinta, l’articolo prova a ripercorrere i mutamenti che ci conducono all’oggi e alla domanda iniziale.
Il ‘68: la porta d’ingresso all’era postmoderna
Partiamo dall’origine. Il passaggio d’epoca tra modernità e postmodernità, che normalmente datiamo agli inizi degli anni Ottanta, trova, in realtà, nel ‘68 la sua porta d’ingresso. L’anno della contestazione ha scardinato i paradigmi della società moderna e ha avviato un sommovimento culturale, etico e sociale che è all’origine delle istanze postmoderne: la critica della famiglia tradizionale, dello Stato e della morale borghese; l’affermarsi di una controcultura di massa; la spinta all’edonismo e alla creatività; l’emancipazione femminile, senza tralasciare la rivoluzione nei costumi e i movimenti culturali di apertura (da quello psicanalitico allo sperimentalismo nelle arti).
I mutamenti generati dal consumismo: dalla società civile alla multitudo
Se il ‘68 è la porta del postmoderno, i decenni successivi realizzano un’altra rivoluzione: quella dei consumi. Essa ha determinato: la trasformazione del consumo in linguaggio e l’irrompere di una comunicazione incentrata sulle emozioni; l’affermarsi dell’agire cherry picking (la tendenza a catturare il meglio dai diversi contesti); la democratizzazione del lusso e l’accesso a quantità di beni a basso costo per tutti; il superamento degli stili di vita e l’affermarsi della ricerca di affinità; la trasfigurazione dei brand da fini a mezzi relazionali, che consentono alle persone di mettere in scena i propri personaggi; lo sviluppo di community of sentiment: sciami in cui le persone si raggruppano per identità, pulsioni, gusto e flusso narrativo. La società dei consumatori-cittadini (sotto l’alto patronato dei media e della spettacolarizzazione televisiva) ha imposto una logica politica semplificatoria e a-riflessiva, ha sospinto la radicalizzazione delle posizioni e l’affermarsi delle tifoserie, ha agevolato la ricerca di risposte a forte carica emozionale e narratologica. Un processo che, nel tempo, ha condotto allo sfarinamento della società civile e delle sue istanze di rappresentanza (la fiducia nei sindacati, ad esempio, è passata dal 66% del 2003 al 17% di oggi) a favore della multitudo, di una realtà non più strutturata con i propri canali di rappresentanza e mediazione, ma da un insieme di individui “socializzati attraverso legami deboli, il cui fine è la messa in atto di un processo di individualizzazione”.
I sette fallimenti che preparano il cambio d’epoca
La crisi del postmoderno è il risultato degli ultimi trent’anni e dell’agire convergente di più fallimenti. Il primo è quello del trickle-down. Il famigerato “sgocciolamento” – che, secondo i teorici liberisti, fa ricadere a cascata i benefici elargiti ai ceti abbienti su quelli poveri –, non c’è stato e l’aumento delle diseguaglianze economiche è lì a dimostrarlo. La crisi economica e le bolle speculative, inoltre, hanno evidenziato il fallimento complessivo del liberismo, del laissez faire e dell’idea che il mercato si autoregola. Il terzo rovescio è quello della globalizzazione, che ha alimentato una local-sintropia, un modello esistenziale locale, caldo e protettivo, serrante e protezionistico. Le classi dirigenti sono il quarto segno di delusione, con la loro trasmutazione in élite rapaci. Il quinto rovescio è quello della Terza via: nata come modernizzazione dell’impianto socialdemocratico, è divenuta il volto politico della nuova classe aspirazionale, delle élite globali, metropolitane e acculturate che raccolgono gli esponenti di professioni, cultura, amministrazioni, finanza e informazione. Il sesto fallimento è quello del processo di unificazione europea. Nel 2002, il 70% dell’opinione pubblica italiana riteneva che l’Italia avrebbe tratto più vantaggi che svantaggi dall’ingresso nell’Ue: oggi siamo al 18%. Ultimo fallimento è quello dell’inaridirsi della promessa di felicità che proponeva il consumismo.
L’infragilimento della società
A questi sette fallimenti si associa un processo di infragilimento della nostra società. Se nel 2005 il 54% degli italiani si sentiva incluso, oggi la quota è crollata al 32%. Analogamente, il numero di persone che sente di poter gestire e incidere sul proprio futuro è passata dal 51% del 2005 al 26% di oggi. Nel frattempo, la paura di perdere il lavoro è salita dal 31% del 2003 al 65% di oggi. Al fondo di queste dinamiche ci sono due fattori: da un lato, la lunga crisi economica, il cui effetto sociale più pesante è stato lo sfarinamento del ceto medio (nel 2003 quasi il 70% degli italiani si sentiva parte della middle class, oggi sono il 42%); dall’altro lato, c’è la flessibilità nel lavoro (il 55% degli italiani la ritiene eccessiva), che ha alimentato fragilità, incertezze esistenziali e difficoltà a realizzare progetti di vita (specie per i giovani).
I social network nel cambiamento
Ultimo mutamento da ricordare è quello relativo al ruolo dei social network. Essi hanno ampliato le possibilità di comunicazione e autoaffermazione delle persone; hanno alimentato la disintermediazione tra leader e popolo e hanno permesso alle persone di incrementare la propria narrazione e la messa in scena di sé. I social hanno incentivato il ruolo della comunicazione simbolica e narrativa, agevolando l’espressione diretta dei propri sentimenti e delle proprie posizioni, senza il filtro del politically correct. Hanno, soprattutto, consentito il riconoscimento clanico, lo scoprire che una persona non è sola, ma che ci sono altre persone sparse nel Paese (e nel pianeta) che condividono le stesse opinioni ed emozioni. I social, quindi, sono stati degli strutturatori delle community of sentiment, perché hanno permesso agli individui di connettersi e riconoscersi con gli altri, di identificarsi e unirsi all’interno della multitudo.
Le nuove fratture sociali all’origine della nascita dei partiti
Le fratture sociali, come spiegava Stein Rokkan, sono all’origine di partiti e movimenti. Per il politologo norvegese i cleavages del 900 erano quattro: centro/periferia (all’origine dei partiti etno-regionalisti); Stato/Chiesa (che hanno sospinto i gruppi confessionali e i partiti liberali); città/ campagna (a fondamenta dei partiti agrari); capitale/lavoro (all’origine dei partiti socialisti). Nel corso del secolo scorso ci sono stati anche altri cleavages: democrazia/ dittatura (all’origine dei partiti fascisti) o natura/produttivismo (a fondamenta dei partiti Verdi). Oggi le nuove fratture sociali che stanno ridisegnando il sistema politico italico sono: onesti/furbi (M5S); italiani/immigrati (Lega); ricchi/poveri (Lega e M5s); lavo ro flessibile/lavoro stabile (nessuno per ora); equità/diseguaglianza (in parte Pd e M5S); tasse/libertà (Forza Italia e Lega); popolo/élite (M5S e Lega).
Dalla fine delle grandi narrazioni allo spazio di tre nuove narrazioni
Se l’epoca postmoderna si è caratterizzata per la fine delle grandi narrazioni, trent’anni dopo ci troviamo di fronte, a livello globale, all’insorgere di nuove narrazioni (forse non grandi). La prima è quella primatista (Prima gli italiani, America first, ecc.), che raccoglie le istanze difensive, protettive, semplificatorie che emergono dalla società. La seconda è popolo contro élite, che ingloba la sfiducia nelle classi dirigenti, l’avversione per casta e corruzione, nonché la ricerca di partecipazione (M5S, Podemos, ecc.). La terza narrazione, opacizzata in Italia, è quella della comunanza-umanistica, con la sua spinta verso un nuovo futuro (future to believe in, di Bernie Sanders), verso un’economia che funzioni per tutti, non solo per i più ricchi. Una dimensione politica che mette al centro la riduzione delle diseguaglianze sociali e ha l’obiettivo di una società più armonica ed equa. La narrazione primatista, in Italia, ha trovato in Salvini il leader che ne incarna le pulsioni e lo stile. Popolo/élite ha nei Cinquestelle (nella dimensione anticasta) e nella Lega (antiburocrazia europea) gli interpreti attuali, mentre comunanza umanistica, per il momento non ha un partito e un leader che la incarni. Il futuro, in ogni caso è aperto, molto aperto, anche perché potrebbe rientrare in gioco quel magma moderato (un quinto del Paese) che per il momento appare in silente ritiro.