La polemica uscita di scena del numero uno della Consob, Mario Nava, aggiunge una casella rilevantissima a quelle che il governo gialloverde dovrà riempire. Le nomine sono state, si è detto, un significativo collante nella formazione della “strana” maggioranza fra Movimento 5 Stelle e Lega. In realtà, il ricambio tanto annunciato si è visto solo parzialmente. La decisione più importante riguardava Cdp dove ha prevalso una scelta interna di un manager apprezzato unanimemente, Fabrizio Palermo. L’ex chief financial officer di via Goito ha già stabilito una sintonia operativa con il presidente Tononi, indicato dalle Casse di risparmio guidate da Giuseppe Guzzetti, e le prime indicazioni rivelano la volontà di promuovere gli interni migliori, come nel caso di Davide Colaccino promosso a capo della comunicazione e delle relazioni esterne. Cambiare insomma ma senza ansia di rottamare come fu nel caso del governo Renzi.
L’episodio più traumatico forse è stato la cacciata di Renato Mazzoncini dal vertice delle Ferrovie ma va ricordato che venne confermato anticipato dal governo Gentiloni con modalità che fecero discutere anche gli osservatori più simpatizzanti del Pd. Fatto sta comunque che il sostituto dell’uomo considerato vicino all’ex sindaco di Firenze è un interno del gruppo ferroviario e non un “barbaro” pescato dagli abissi della rete.
Lo stesso Nava, dirigente della Commissione europea “comandato” in Consob senza aspettativa, potrebbe essere stato defenestrato non senza qualche ragione, ma questo si potrà capire solo quando la polvere si sarà depositata. Viste le polemiche e le tensioni sui mercati, non si potrà sbagliare l’indicazione del successore. E tanto meglio se verrà dall’interno del Collegio.
Da mesi ormai si rinviano le assemblee di società “minori” che proprio minori non sono. Anzitutto c’è il Gse, il Gestore dei Servizi Elettrici al cui interno sono collocate anche le società Gme e Acquirente Unico. L’amministratore delegato uscente, Francesco Sperandini, è stimato e si considera positivo il bilancio del suo lavoro. Tuttavia, i maggiorenti gialloverdi sono intenzionati a cambiare. Manca però l’accordo e l’assemblea dei soci è stata rinviata al 25 settembre. Sarà la data giusta? Trattandosi del soggetto pubblico che gestisce gli incentivi per le rinnovabili per svariati miliardi di euro, la poltrona è molto ambita.
E l’intesa fra pentastellati e leghisti manca anche per Eur spa il cui amministratore delegato uscente, Enrico Pazzali, è altrettanto stimato. Anche nel suo caso, sarà interessante vedere se prevarrà la volontà politica di indicazioni “politiche” o se i manager migliori saranno confermati magari cambiando la composizione dei cda.
Non si può invece non scegliere il nuovo presidente dell’Autorità Antitrust. Il giurista Giovanni Pitruzzella ha infatti ottenuto un altro, e assai prestigioso, incarico a livello europeo (avvocato generale presso la Corte di giustizia Ue) e va quindi sostituito. I nomi che circolano sono tutti di altissimo livello. Si tratta solo di scegliere. Come nel caso del Commissario per l’emergenza di Genova. Non facilissimo.
Discorso diverso, e più complicato, riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura dove dovrà essere eletto il Vicepresidente. La giustizia è un tema molto sensibile ed il Movimento 5 Stelle subisce la pressione di diversi ambienti giudiziari e di testate come Il Fatto Quotidiano. Anche dopo la designazione da parte del premier Giuseppe Conte di Filippo Patroni Griffi quale presidente del Consiglio di Stato, i grillini non vogliono perdere l’occasione di indicare il successore di Giovanni Legnini a Palazzo Marescialli. Il gioco degli equilibri fra membri togati eletti dalla magistratura e quelli laici eletti dal Parlamento assomiglia ad un cubo di Rubik.
Una qualche ansia si respira ormai anche dalle parti di Viale Mazzini. La Rai rappresenta infatti un luogo privilegiato nel quale i partiti fanno bella mostra del loro potere. E se i pentastellati hanno fatto nelle nomine la parte del leone, indicando anche l’Ad del servizio pubblico nella persona di Fabrizio Salini (già direttore di La7 e Fox), Matteo Salvini ha per ora “raccolto” poco e male. Il presidente della Rai è stata la sua indicazione più politica e la scelta di Marcello Foa si è rivelata un boomerang. Grazie alla ritrovata intesa con Silvio Berlusconi la sua nomina sarà riproposta alla Commissione di Vigilanza che l’aveva bocciata (necessario il voto favorevole di due terzi essendo una funzione di garanzia). La paura però è che si apra un contenzioso giudiziario che, pur con tutte le differenze del caso, ricorda la nomina all’epoca di Alfredo Meocci quale direttore generale. I consiglieri di amministrazione del tempo vennero condannati a risarcimenti costosissimi. Uno spettro che agita i sonni di Viale Mazzini. Anche perché finché non si sblocca la poltrona che negli ultimi tre anni è stata di Monica Maggioni, il Cda non può assumere decisioni. Questo vuol dire che è tutto fermo dalla nomina del nuovo Ad di Rai Pubblicità (dove da mesi, eroicamente, Antonio Marano manda avanti la baracca ad interim) alle indicazioni dei nuovi direttori dei Tg. Un gran caos.
Altra partita al cardiopalma riguarda la scelta dei vertici dei servizi segreti. Il presidente del Consiglio, che ha tenuto per se la delega per l’intelligence, proseguirebbe la collaborazione con l’attuale direttore generale del Dis, il prefetto Alessandro Pansa. Il pasticcio fatto all’epoca da Renzi quando lo nominò modificando le regole di ingaggio e la successiva decisione di proroga voluta alla fine della scorsa legislatura da Paolo Gentiloni (e Marco Minniti) non aiuta. Luigi Di Maio e lo stesso Matteo Salvini vogliono cambiare, soprattutto – secondo i rumors – all’Agenzia che si occupa della sicurezza esterna. Il risultato sin qui è stato disastroso. La ridda di ipotesi ha dato vita ad un increscioso totonomine che rischia di danneggiare il comparto che è vitale della sicurezza della Repubblica. Questa istituzione ed i suoi rappresentanti sono solidi e la minaccia di destabilizzazione è (ancora) sotto controllo. Esporre però i nostri 007 al pubblico ludibrio delle presunte amicizie politiche non può proseguire a lungo.
Diverso, in questo senso, è la nomina del nuovo Capo di Stato Maggiore della Difesa. La ministra Elisabetta Trenta sembra avere le idee chiare e voler agire secondo la prassi che prevede la rotazione fra i vertici delle forze armate. Quella consuetudine venne interrotta – anche in questo caso – dal governo Renzi che scelse di preferire l’Esercito quando, secondo la regola non scritta ma proprio per questo molto rispettata, sarebbe toccata all’Aeronautica militare. Salvo sorprese, si tornerà alla normalità. E non è certo negativo.
Tutto questo dovrebbe avvenire entro la fine del mese, come per le nomine nelle società partecipate (per la verità andrebbero aggiunti numerosissimi collegi sindacali in scadenza o scaduti in attesa di nomina). Siamo insomma alle battute finali di un risiko che, non c’è da temere, riprenderà la prossima primavera con le prossime scadenze. Le nomine, si sa, sono lo sport preferito della politica italiana (e qui i gialloverdi stanno dimostrando una saggezza media superiore ai loro predecessori).