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Il ritorno della tempesta perfetta: verità o fake news?

“Dare le risposte è facile. Il vero problema è fare le domande giuste”
Sherlock Holmes

All’inizio speravo che fossero solo gli effetti perversi di un sistema che ormai rincorre i social e, dunque, una specie di tifo da stadio per l’uno o l’altro partito, o per chi ha “studiato dove” quando parla dello spread o del disastro di Genova. Ora mi viene il dubbio (diabolico) che sotto ci sia molto di più. Altrimenti non si capisce.

Perché la domanda è una sola e ricorre sempre uguale dai tempi dei totalitarismi, degli imperialismi piuttosto che dalle campagne di comunicazione dei piccoli ras di nazione agitati da sogni di gloria: si può manipolare il mainstream, l’opinione pubblica, le masse, soprattutto adesso in tempo di social, agitando spettri come, ad esempio, il downgrade, il default, lo sforamento del 3%, la fuga degli investitori internazionali dai nostri titoli di Stato, ed altre interazioni tra temi finanziari globali e strategici?

Benvenuti nel mondo del Vangelo, Torah o Corano della finanza o dell’economia. Nessuno fa domande ma tutti hanno la verità rivelata. Eppure, come dicono i migliori mentor e coach, chi domanda guida, e sarebbe facile provare a fare qualche domanda. Ad esempio, perché nessuno fa una bella interrogazione parlamentare in cui chiede al Ministro Tria un prospetto sintetico (e comprensibile a tutti) per capire quali stock del nostro debito (e con quali scadenze) devono essere rinnovati nel 2018, 2019 e nel 2020, con relativa simulazione degli impatti di eventuali aumenti dello spread sugli stock stessi? Quanti miliardi di euro di costo ulteriore cuberebbero? Ah, saperlo, per noi poveri mortali…

Certo qualcuno potrebbe dire che questi dati si possono evincere dal DEF (scritto, peraltro da un Governo diverso), ma perché tutti parlano e nessuno chiede? Domanda difficile, risposta facile. Se andate a spulciare tra i numeri sul DEF esistente, vedrete che eventuali aumenti dello spread sono, solo per fare un confronto, molto meno rilevanti dei 200 miliardi di euro di crescita del debito (da 2130 a 2330 circa) che i Governi Renzi e Gentiloni hanno conseguito tra marzo 2014 e marzo 2018, come risultato degli 80 euro, della decontribuzione legata al Jobs Act e delle politiche di bonus e di sostegno alle banche in crisi (solo per loro 20 miliardi di euro).

Nessuno vuole entrare nelle scelte di politica economica dei succitati Governi: erano le loro scelte ed erano eventualmente criticabili, ma comunque erano le loro scelte. Eppure una domanda sorge spontanea: come mai le grandi agenzie di rating non hanno fatto due conti e “downgradato” il nostro debito negli anni precedenti? Qualcuno potrebbe dire che c’era l’ombrello del QE e che si trattava di misure di spinta verso la crescita. Tutto vero. Mi verrebbe però da notare che le analisi di Fitch parlano di “governo agitato e di breve durata”, di Italia sotto tiro, di altre eccellenti analisi di comunicazione fatta dagli uni come dagli altri. Chiacchiere tante ma, al momento, nessun fatto.

Così come non sono un fatto i “circa” 55/72 miliardi di euro “fuggiti” dall’Italia per la fuoriuscita dei grandi capitali internazionali. Già la forchetta sui numeri ipotizzati rende merito della superficialità della comunicazione (i dati sono BCE e dovrebbero essere certi, senza divari così ampi), ma non è questo il problema. Forse qualcuno dimentica che la FED sta rialzando i tassi da quasi 2 anni a questa parte, che i Treausry Bond USA (l’equivalente dei nostri BTP) sono ridiventati attrattivi, e che i mercati scontano già un orizzonte in cui la BCE finirà di “incrementare” gli acquisti di titoli per effetto della fine del QE, rinnovando comunque solo lo stock esistente.

Per cercare veramente il diavolo, bisognerebbe provare a guardare da qualche altra parte. Ad esempio, nelle quote di obbligazioni dei Paesi emergenti presenti nei portafogli dei risparmiatori italiani e nelle banche italiane che li gestiscono. La crisi del debito dei Paesi emergenti (come dimostrano Turchia e Argentina) è una delle conseguenze di un mondo interconnesso in cui se, dopo un anni di tassi zero, la FED alza i tassi, i capitali si spostano alla ricerca di rendimenti migliori. Facciamo un esempio concreto. Investitore istituzionale italiano che si rivolge a banca italiana tra le migliori, tasso offerto per la liquidità sul conto corrente: 0,04 ma solo sopra i 100 milioni di euro. Praticamente niente. E volete che questi investitori non comprino i TBond americani al 3,125 (al 1 settembre 2018) rispetto al 3,4 italiano? Sarà tutta colpa di Trump che cadrà presto sotto i colpi dei suoi problemi? Anche qui i fatti prevalgono sulle ipotesi: l’America cresce al 4,2% nell’ultimo trimestre, il resto sono supposizioni. Come quelle di Fitch nelle sue analisi sulle mosse del nostro attuale Governo. Che vedranno la luce solo il 27 settembre 2018. E, in finanza, 26 giorni sono un’eternità…

Vale allora la pena di guardare il nostro Paese sulla base dei dati ad oggi, quelli reali, quelli fondamentali. Come diceva un mio grande maestro (purtroppo non citabile per l’alto incarico che ricopre), è vero che i dati “torturati a sufficienza” possono dare qualsiasi risultato, ma farsi domande è tutto: il 16° trimestre di crescita, la persistenza dell’avanzo primario, la crescita della fiducia dei consumatori e delle famiglie sono tutti dati concreti da trascurare? Senza dimenticare che tutti parlano di PIL in rallentamento, ma i dati raccontano che questo ritardo è maturato nei primi mesi dell’anno, mentre adesso la crescita (comunque debole ma pur sempre crescita) passa dall’1,1 all’1,2%.

Senza dimenticare che la finanza è un mercato complesso da interpretare. E’ per questo che vi invito a leggere il link sottostante di Repubblica del 2015. L’ho trovato a caso, non conta la testata, ce ne sono molti altri dell’una o dell’altra parte che, a suo tempo, fecero articoli dello stesso tono. Il problema è un altro: rispetto ai trend evocati nel pezzo 2015, cosa è veramente successo al debito (tutti con rating spesso più alto del nostro) dei Paesi emergenti citati nel pezzo?  Forse poco, anzi niente negli ultimi 3 anni. Ma quanti parlano di questo pericolo adesso? Veramente pochi rispetto al rischio. E, di conseguenza, erano giusti i drammatici toni usati allora? E sono, dunque, giusti i toni usati in questo momento da Fitch e da molti player della comunicazione? Perché solo una cosa è veramente importante per tutti: capire meglio. Il resto sono solo scelte. Più o meno consapevoli.

http://www.repubblica.it/economia/2015/11/22/news/la_crisi_del_debito_travolge_i_paesi_emergenti_l_occidente_trema-127660604/

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