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Come sconfiggere spread e sfiducia sull’Italia. Parla Sadun (ex Fmi)

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Lo spread sta per toccare la quota dei 300 punti. Il ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, promette che la manovra sarà rispettosa di tutte le regole. “Ci sarà un primo passo della flat tax e tanti italiani, artigiani e professionisti pagheranno meno tasse, ha dichiarato. Ma dall’altra parte l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, (nonché ministro dello Sviluppo economico e ministro del Lavoro e delle politiche sociali), sostiene che il reddito di cittadinanza “può portare un punto percentuale di Pil all’anno”. Con il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è in corso la revisione del Patto di Stabilità.

In un’intervista con Formiche.net, Arrigo Sadun, economista di lunga esperienza ed ex direttore esecutivo al Fondo Monetario Internazionale dal 2005 al 2012 (periodo cruciale per seguire l’evoluzione della crisi del 2011), spiega precedenti, caratteristiche e prospettive di una probabile “tempesta finanziaria” sull’Italia. L’instabilità politica, il basso livello di crescita e l’alto livello pubblico sono alcune delle radici del problema. Sadun ha ricoperto il ruolo di capo dell’analisi economica e finanziaria del Tesoro e spiega i motivi per cui la situazione del Paese in questo momento è meno critica rispetto all’estate del 2011, ma purtroppo non priva di rischi. Tra le soluzioni c’è la strada del risanamento fiscale, con la richiesta di più flessibilità da parte dei partner europei, ma sempre rispettando le regole.

Le tensioni sugli spread e la fuga dai BOT sono il preludio di una nuova crisi finanziaria; stiamo andando verso la “tempesta perfetta”?

Il rischio di una nuova ondata di instabilità finanziaria è molto concreto e viene alimentato da fattori esterni (tra cui le difficoltà di alcuni Paesi emergenti), ma soprattutto dai timori suscitati dalle improvvide dichiarazioni di alcuni esponenti del nuovo governo che sembrano voler rimettere in discussione gli obiettivi di consolidamento fiscale concordati con i partner europei. L’incertezza politica è sempre un fattore importante nelle considerazioni degli investitori, particolarmente nel caso dell’Italia che, da tempo viene vista come il grande malato d’Europa. L’Italia rimarrà sempre esposta al rischio di turbolenze finanziarie finché non verranno risolti i due problemi di fondo della nostra economia: la bassa crescita e l’elevato livello del debito pubblico.

Lei reputa la situazione attuale più pericolosa di quella che nel 2011 scatenò la caduta del governo Berlusconi?

La situazione attuale appare molto meno grave di quella del 2011 sia per il diverso contesto internazionale sia per una situazione domestica meno preoccupante. All’epoca l’incubo dei mercati era il timore che la crisi che aveva colpito la Spagna, il Portogallo e la Grecia investisse anche l’Italia mettendo a rischio l’esistenza stessa dell’euro. Le difficoltà attuali di alcuni Paesi emergenti non appiano tali da poter destabilizzare l’economia globale.

Inoltre il sistema delle aziende italiane ed il settore bancario si sono notevolmente rafforzati negli ultimi anni. Detto ciò, c’è un elemento che accomuna le due situazioni. L’estate calda del 2011 fu innescata dall’improvvisa perdita di fiducia dei mercati sulle capacità del governo di allora di gestire la situazione. Il governo attuale deve fare molta attenzione a non alimentare un clima di incertezza con misure o semplicemente con dichiarazioni non appropriate.

Quali sono le misure che il governo dovrebbe mettere in atto per evitare la “tempesta”?  

Se partiamo dalla premessa che le pressioni sullo spread derivano prevalentemente dall’incertezza politica, la prima cosa da fare sarebbe riaffermare con chiarezza la volontà di perseguire il cammino del risanamento fiscale. Ciò non significa rinunciare a priori ad ottenere dai nostri partner europei una maggior flessibilità fiscale per sostenere l’economia; però la pretesa di modificare radicalmente le regole di funzionamento dell’euro appaiono gesti velleitari, un bluff poco credibile.

Oltre ad approvare una manovra di bilancio compatibile con gli obiettivi di consolidamento fiscale, il governo dovrebbe elaborare una strategia economica di lungo respiro. Il piano di rilancio degli investimenti pubblici allo studio del governo da solo non basta per assicurare una crescita sostenibile. Il problema non è soltanto l’entità delle risorse effettivamente disponibili. Per sprigionare tutte le sue potenzialità, l’economia italiana avrebbe bisogno di essere liberata dagli innumerevoli vincoli che paralizzano le iniziative imprenditoriali irrigidiscono il Sistema produttivo.

Quali sono gli scenari in caso di “tempesta perfetta”?

Non credo a scenari estremi tipo Italexit. L’ipotesi di un’uscita dell’Italia dall’euro non mi sembra realistica. Chi la propone non si rende conto delle eventuali conseguenze, oppure persegue un bluff poco credibile. Nonostante le frequenti critiche contro le istituzioni europee, gran parte dell’opinione pubblica è contraria ad uscire dall’euro, ammesso che fosse possibile.

La capacità dell’Italia di far fronte ad una “tempesta perfetta” senza aiuti esterni appare limitata. Una volta scatenate, le pressioni dei mercati diventerebbero rapidamente insostenibili senza l’appoggio degli organismi internazionali. D’altra parte, è difficile ipotizzare interventi come quelli della troika.

Dopo la deludente esperienza con la Grecia (il Fmi non ha nemmeno partecipato all’ultimo Programma di assistenza!) un eventuale intervento a favore dell’Italia susciterebbe molte perplessità e resistenze. Oltre ad obiezioni di principio, ci sarebbe il problema delle risorse. Già ai tempi del G20 di Cannes era emerso in maniera molto chiara che i fondi disponibili per un Programma per l’Italia sarebbero stati relativamente modesti in relazione alle dimensioni del suo debito pubblico. Credo che al massimo si potrebbe ipotizzare un coinvolgimento del Fondo sotto forma di assistenza tecnica o di monitoraggio.

Nella sua esperienza, quando un Paese è entrato in questi meccanismi, quali sono le conseguenze, anche dal punto di vista politico?

Qualunque programma di assistenza all’Italia avrebbe come contropartita rigorose politiche di risanamento fiscale e l’attuazione di drastiche riforme strutturali. Sono queste le famigerate “condizioni” che hanno reso gli interventi del Fmi e più recentemente quelli della Troika così difficili e controversi.  Quando un Paese si trova costretto a chiedere assistenza della comunità internazionale vuol dire che i problemi da affrontare necessitano profonde riforme economiche e sociali. Nel passato gli interventi del Fmi hanno spesso suscitato forti reazioni contro quello che viene comunemente definito come il “Washington consensus”.

Nel caso di un intervento per l’Italia le reazioni sarebbero dirette prevalentemente contro le istituzioni europee. Inevitabilmente si finirebbe per alimentare reazioni fortemente contrarie all’Europa, rendendo ancora più difficile mantenere uno spirito di collaborazione per perseguire il progetto di integrazione europea.

Il presidente Trump ha garantito al premier Conte un aiuto sui Btp. Tecnicamente sembra difficile, qual è la sua opinione in merito?

Trovo positivo che il Presidente Trump abbia promesso al Premier Conte l’appoggio per la collocazione dei Btp. Però ritengo che si tratti più di un segnale politico piuttosto che di un’efficace misura di sostegno finanziario.

Come l’Amministrazione Bush aveva coltivato stretti rapporti coi governi di centro-destra di Berlusconi, così molti esponenti Repubblicani guardano con simpatia alla svolta populista dell’Italia. Ovviamente l’appoggio degli Usa (come un eventuale interessamento della Cina) è utile ma non possiamo illuderci che sia un fattore decisivo per affrontare la crisi.

Per ultimo, che impatto hanno in questo quadro i discorsi di probabili nazionalizzazioni scatenati dalla tragedia di Genova?

Queste proposte (o minacce) contribuiscono ad alimentare il clima di incertezza sulla politica economica del governo. Se eventuali misure rimanessero circoscritte a situazioni particolari anche le reazioni degli operatori economici dovrebbero essere limitate. I danni invece sarebbero ben altri se gli interventi rappresentassero un significativo aumento del settore pubblico. L’Italia ha bisogno di maggiori liberalizzazioni, non di espandere il controllo dello Stato sull’economia.

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