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La bitcoin revolution

Di Cosimo Melella

Satoshi Nakamoto è l’uomo che al termine del 2008, nel mezzo della crisi immobiliare e del fallimento di Lehman Brothers, crea, immettendolo in rete, il protocollo Bitcoin. Nakamoto, su cui si riferiscono numerose leggende metropolitane, inventa Bitcoin per realizzare una ambizione politica, tecnologica ed economica.
Bitcoin è uno strumento complesso, tecnicamente ed economicamente, infatti hanno alcune caratteristiche che li accomunano alle monete (ad esempio stabilità e prevedibilità del prezzo) ma non altre, che si fonda su una velleità unica: impedire di creare denaro dal nulla. Infatti, questa commodity o merce mira a riproporre un sistema più stabile del sistema aureo con costi di estrazione inferiori all’oro, attraverso un’offerta fissa (anelastica) pari a 21 milioni, il cui ultimo pezzo verrà minato nel 2140.

“I minatori, o miners – per usare un termine caro agli addetti ai lavori, tra i quali non può non citarsi Giacomo Zucco, founder del think tank BlockchainLab – sono i protagonisti silenziosi di questa rivoluzione tecnologica”. Questi, muovendosi sulla Blockchain, tentano di risolvere calcoli articolati per tentare di estrarre i bitcoin, elaborando serie di numeri casuali attraverso complessi strumenti computazionali. Al netto, però, delle aspettative diffuse su questo strumento innovativo, la Blockchain, il cui termine è abusato dai più, è solo di uno dei tre pilastri su cui si erige il protocollo Bitcoin. Gli altri due sono: la rete paritaria/paritetica, conosciuta anche con il nome di peer-to-peer (P2P); il sistema delle firme digitali. La prima, composta da nodi e non blocchi, ha il solo scopo di ordinare cronologicamente le transazioni.

In futuro i miners non riceveranno più i propri profitti dall’inflazione ma dai costi di transazione: per ogni transazione, infatti, esisterà solo un costo di signoraggio. Questo conduce ad un nuovo paradigma per cui chi paga è solo chi transa, non chi possiede la criptomoneta. All’inizio chi minava, semplicemente, adoperava il proprio computer. Dalle schede grafiche si è, poi, passati alle schede fpga e alle asic. “Lo scopo dei minatori è massimizzare il profitto, consumando meno energia possibile”, dichiara lo stesso Zucco ad un convegno organizzato dall’Istituto Bruno Leoni, nella sede di Milano. Infatti, chi scrive ben sa che le considerevoli prospettive di guadagno hanno condotto all’apertura di nuovi business e a una corsa all’efficienza energetica con ricadute sui mercati più disparati come quelli delle energie rinnovabili.

Ad un anno dall’esplosione della bolla che ha permesso alla criptovaluta di sfiorare 20mila dollari, nonostante il bitcoin fosse dato per morto più volte dal 2010, gli esperti continuano ad interrogarsi se sia prevedibile o meno in futuro l’ipotesi del suo decisivo fallimento. Ad oggi ci si aspetta che tutti gli agenti del mercato si muovano in un certo modo. Non è detto avvenga così in futuro: il bias intrinseco ad un fallimento nella teoria dei giochi si fonda, infatti, sul bisogno costante di ragionare sui propri guadagni in termini di fiat money come dollari o euro.

I critici sostengono che la struttura ideata da Satoshi abbia un limite palese poiché non può scalare più di un certo numero di utilizzi al secondo. Questo limite insorge proprio a causa della tecnologia Blockchain che richiede che ogni informazione scambiata e gestita sia mantenuta da ogni nodo e per sempre. Ed, infatti, se la tecnologia Blockchain è costosa, lenta, dà poca privacy, a differenza di ciò che si è portati a pensare, cosa diversa vale per bitcoin. È sufficiente fare un giro a Rovereto, la Bitcoin Valley italiana.

Per gestire i bitcoin, come strumento in sé, non si ha il bisogno di istituire una banca centrale, è ammissibile, invece, un sistema bancario fondato sul free-banking a riserva frazionaria in cui la cripto costituisce un asset su cui si misura il moral hazard dell’operato del sistema bancario, singolarmente o nel suo insieme. Quando l’azione di un istituto di credito è di dubbia moralità (investimenti eccessivamente volatili, cicli economici sfavorevoli a fronte di ingenti concessioni di mutui e prestiti) con un Bitcoin Standard tornare alla Blockchain avrebbe costi trascurabili, causando un’immediata corsa agli sportelli e al fallimento immediato dell’istituto sospettato. Ad oggi esistono già banche che usano bitcoin come se fosse un asset mentre la Blockchain fa da ago della bilancia o giudice di ultima istanza. Se, auspicabilmente, si arrivasse ad un nuovo standard monetario i nternazionale, si limiterebbe l’uso della Blockchain alla creazione di contratti ponte, stimolando lo scambio privato di bitcoin.

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