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Finalmente Confindustria batte un colpo

impresa, governo, femminicidio

Interessante l’analisi della relazione di Confindustria nazionale su dove va l’economia nostrana e i prossimi scenari che si intravedono all’orizzonte, e finalmente nonostante il Presidente si sia ultimamente preoccupato di affermare che l’associazione è a/politica, la verità emerge abbastanza chiara.

Secondo il Centro studi, di cui riprendiamo alcune osservazioni, si assottiglia sensibilmente la crescita del nostro Paese e l’autorevole organismo stima una crescita del Pil italiano in rallentamento all’1,1 per cento nel 2018 e allo 0,9 nel 2019,rispetto all’1,6 registrato nel 2017, sconfessando le previsioni del governo che ora, incalzato dalle critiche di più parti sociali, pare abbia intenzione di non confermare per il triennio 2019/20/21 lo sforamento al 2,4% di debito.

La Confindustria conferma quanto già evidenziato timidamente a giugno, un indebolimento delle condizioni per la crescita, interne ed esterne: incertezza legata alla politica commerciale americana, turbolenza su alcuni importanti Paesi emergenti e di sbocco per l’export italiano come Turchia e Argentina, rallentamento della crescita in diverse economie europee, progressivo aumento dei tassi di interesse come conseguenza della fine del programma di acquisto straordinario da parte della Banca Centrale Europea, aumento del rendimento sovrano in Italia e generalizzato clima di sfiducia di imprese e famiglie sono i fattori che, oggi, stanno influenzando la performance dell’economia italiana. Sicuramente influiranno le novità internazionali americane, tedesche e il prossimo appuntamento elettorale Ue, ma fondamentale per l’Italia sarà la fiducia che i mercati riporranno nella manovra economica del governo, in termini di capacità di rifinanziare l’ingente debito pubblico in scadenza (197 miliardi nel solo 2019). Le prime reazioni sono negative e preoccupano in quanto si chiede invece ai mercati un maggiore coinvolgimento nel realizzare il programma di governo che, a parere di chi scrive, è inqualificabile dal punto di vista della credibilità.

Maggiore deficit significa inequivocabilmente maggiori risorse da chiedere a prestito; la incapacità di incidere sui nodi irrisolti della nostra economia, su tutti la semplificazione del rapporto con il settore pubblico e la sua efficienza, l’aumento della produttività delle imprese di minore dimensione, la dotazione infrastrutturale; la sostenibilità dell’esoso contratto di governo, nelle sue componenti più onerose per la finanza pubblica (flat tax, reddito di cittadinanza, controriforma delle pensioni), soprattutto nel medio periodo quando se ne vedranno più compiutamente gli effetti. Il credito alle imprese fornisce un sostegno debole all’attività economica e dunque anche alle famiglie e all’occupazione. L’offerta è ancora frenata dalle sofferenze presenti nei bilanci bancari, nonostante il calo recente, e dall’incertezza sui continui interventi regolamentari. Inoltre, l’aumento degli spread sui titoli sovrani di questi ultimi mesi ha assorbito capitale delle banche che, di conseguenza, devono diventare più selettive sul credito.

La domanda di fondi da parte delle imprese, invece, è in espansione già sopra i valori pre-crisi, favorita da un costo atteso solo in graduale aumento nell’orizzonte previsivo, rispetto ai minimi attuali. Naturalmente, ciò potrebbe mutare considerevolmente se si materializzasse un aumento repentino dei costi come conseguenza di una accresciuta sfiducia sull’Italia da parte degli operatori finanziari. Le direttrici di politica economica dovevano invece avviare un percorso di rientro del debito pubblico italiano dopo quattro anni persi, attraverso misure che incidano sulla dinamica del Pil e dell’occupazione.

Solo così si accresce la sostenibilità dei conti pubblici ma la manovra è pervasivamente esosa e assistenziale. Ciò è cruciale per rassicurare i risparmiatori che investono nel debito pubblico del Paese, cioè i mercati, e dovevamo evitare che i primi segnali di uscita di capitali esteri (e domestici) dall’Italia si possano trasformare in un pericoloso trend. Se cresce la sfiducia sull’Italia, avremo un ulteriore aumento dello spread sovrano e del costo di finanziamento di Stato, imprese, famiglie. L’aumento potrebbe essere accentuato dalle agenzie di rating visto che da mesi l’Italia è osservato speciale. Un maggior costo e una minore disponibilità del credito a famiglie e imprese agirebbero da freno all’economia, sia penalizzando i consumi delle famiglie, sia togliendo risorse all’attività delle imprese e riducendo la loro competitività.



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