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Fusaro, il marxismo e i filosofi mondani. L’opinione di Ocone

Forse non varrebbe la pena insistere ancora sul caso di Diego Fusaro, il giovane filosofo affermatosi per le sue tesi apodittiche e anti-sistema espresse in trasmissioni e talk show televisivi. Senonché, a me sembra, d’altro canto, che discuterne ancora possa esserci utile per cogliere alcuni tratti di fondo di quella che è diventata la cultura filosofica, anzi la cultura tout court, oggi nel nostro Paese. Particolarmente istruttiva è, a tal proposito, la polemica che Fusaro ha da ultimo tenuto con Donatella Di Cesare, anche lei un filosofo con una certa visibilità mediatica ma anche, per quel poco o tanto che oggi può contare, con una solida carriera accademica alle spalle. Di Cesare domenica scorsa ha scritto per La lettura, il settimanale culturale del Corriere della Sera, una lunga requisitoria contro il giovane filosofo torinese, stigmatizzando le sue prese di posizione. Non è quindi mancata la risposta di Fusaro, uscita ieri sulle pagine de Il Fatto Quotidiano.

Ora, l’impressione che si ricava dalla lettura congiunta dei due testi, e in genere dalla conoscenza di ciò che fanno e dicono i due contendenti, è che in verità molte più cose li accomunino di quante li dividano. Prima di tutto, la scelta del terreno di gioco, che è per entrambi politico prima che culturale. Per loro, la filosofia non deve essere, nella misura del possibile, “avalutativa” e farci comprendere una fetta di mondo, ma deve essere immediatamente pratica, volta marxianamente alla trasformazione della realtà. Di Cesare, immemore in quanto professore del monito weberiano a non fare politica dalla cattedra, ha persino scritto un libro, che esce in questi giorni, per illustrare questa sua tesi. Non è perciò un caso che, nell’articolo, se la prenda soprattutto con il fatto che Fusaro strizzi l’occhio a certa destra lasciando intendere che in fondo in fondo sia fascista, xenofobo, omofobo, razzista e maschilista (sic!). Chiamando solo a rinforzo di questa che è la principale accusa il presenzialismo mediatico del nostro e il fatto che egli non sia, al contrario di lei, un “professore” (sic!).

Entrambi dicono poi di avere Marx e Gramsci come riferimenti ideali, anche se Di Cesare, in questo meno accorta o preparata di Fusaro, si mostra ancora fedele alla vecchia “favola”, ampiamente smontata in sede storiografica e filosofica, della netta separazione di destra e sinistra e di una presunta bontà del comunismo (mal realizzato) rispetto all’assoluta malvagità del fascismo. Entrambi si dicono poi in vario modo, e certo Fusaro in modo più diretto, nemici del “sistema”, del capitalismo, del liberismo. In sostanza, i due sono convinti di “pensare altrimenti”, per usare una espressione di Fusaro, ma sono pienamente dentro al sistema ideologico dominante e allo stesso libero mercato. Infatti, ovunque nel mondo, e ancor più per motivi storici in Italia, il mercato, in questo caso culturale, fagocita e riduce ai suoi fini, per soddisfare i “consumatori”, persino chi a parole si dice contro di esso.

Il marxismo, comunque inteso, e l’essere di sinistra, comunque intesi, sono due elementi che tirano molto, quasi dei farmaci rassicuranti, e godranno  probabilmente sempre e ancora di una certa fortuna fra il pubblico. Senza considerare poi il fatto che il filosofo, come personaggio, conserva un certo fascino presso di esso e, in moderate dosi, può essere un buon protagonista nello spettacolo culturale globale che esige il mercato. Nulla di male in tutto questo, soprattutto per amici del libero mercato come noi. Soprattutto a un uomo di cultura sarebbe richiesta maggiore consapevolezza e meno ipocrisia, però.

Il fatto è che, in modo consapevole o no, sia Di Cesare sia Fusaro, sia in diversa misura tutti noi che svolgiamo un’attività intellettuale, siamo all’interno di un sistema della comunicazione da cui non possiamo e non vogliamo, nel nostro profondo, uscire, perché è la cifra del nostro tempo e sono per scelta, con le nostre buone ragioni, “filosofi mondani”. Il caso Fusaro va quindi affrontato da questo punto di vista, non da quello semplicemente contenutistico. Soprattutto se le accuse ai contenuti sono quelle che può oggi formula la sinistra più banale. Il torto di Fusaro, agli occhi di Di Cesare, è forse solo quello di trarre tutte le conseguenze, in modo radicale, e direi senza pudore, di questa trasformazione della filosofia e della cultura in generale. Con che esiti per la filosofia in quanto disciplina “autonoma” e “disinteressata”, non è dato sapere, ma certo con perfetta coerenza e genialità per i fini della ipocriticamente definita “cultura mercificata”.

Ora, potrebbe darsi che Fusaro voglia mettere in contraddizione dall’interno le dinamiche della nostra epoca, o più semplicemente voglia approfittare della fama mediatica che tutti noi occupandoci di lui contribuiamo a creargli. Non saprei, né forse è interessante saperlo. Come al solito, più che le intenzioni contano i fatti e soprattutto la capacità di provare a leggere in essi le tendenze di fondo di un’epoca.

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