A quasi due anni esatti dalla nomina di Diego Piacentini a Commissario straordinario per la trasformazione digitale e dall’avvio dell’attività del suo team digitale è naturale che ci si chieda, da più parti, di fare un bilancio: traguardi raggiunti e traguardi mancati, dove siamo arrivati nell’evoluzione in digitale dell’amministrazione e dove non siamo arrivati.
C’è una premessa ineludibile in ogni riflessione sull’argomento: quando si parla di trasformazione digitale dell’amministrazione di un Paese – non ha importanza che sia l’Italia o qualsiasi altro Paese del mondo – non c’è mai un traguardo da tagliare e non c’è mai un arrivo. La trasformazione è un processo e non un percorso con un inizio e una fine.
Questo, naturalmente, non significa che l’attività svolta per la digitalizzazione di un Paese non sia misurabile, rendicontabile, valutabile ma semplicemente che si sbaglierebbe nel provare a liquidare l’argomento in termini di strada fatta e strada da fare perché ci si ritroverebbe costretti a prendere atto, sempre e comunque, che la strada da fare è più di quella già fatta e che è impossibile intravedere il traguardo anche semplicemente all’orizzonte.
Fatta questa premessa, si può provare a fare il punto su cosa è cambiato, negli ultimi due anni, nella trasformazione digitale del Paese. Innanzitutto, oggi, esiste una strategia nazionale per la trasformazione digitale che, due anni fa non esisteva. Si tratta del Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione, una roadmap, un crono programma puntuale che segna la strada per la trasformazione digitale, indicando alle singole amministrazioni cosa fare e cosa non fare per percorrerla in maniera efficace nel loro interesse individuale e, soprattutto, nell’interesse collettivo del Paese.
Il Piano è un elemento essenziale nel processo di trasformazione perché, finalmente da visibilità universale alla strategia, la rende trasparente, prevedibile, scientifica. Almeno in teoria, così, la digitalizzazione dell’amministrazione dovrebbe essere sottratta al rischio che l’ha afflitta per anni di iniziative estemporanee, randomiche, decontestualizzate, progettate – e qualche volta – realizzate guardando, in maniera per la verità un po’ miope, al giorno dopo e non a quello dopo ancora.
E, forse, val la pena anche ricordare qualcosa che negli ultimi due anni – a differenza che in passato – non c’è stato: nessun annuncio roboante di fantascientifiche novità in arrivo, nessun proclama rivoluzionario di un’amministrazione destinata a cambiare volto in una manciata di mesi, nessuna promessa non verificabile.
A qualcuno, forse, tutto questo è mancato, è inevitabile, perché ai punti esclamativi, agli effetti speciali, agli annunci di un mondo migliore prossimo venturo ci si abitua in fretta. Ma alla trasformazione digitale del Paese – quella vera – questa assenza ha giovato perché ha evitato che ci si fermasse in attesa dell’ultima rivoluzione prossima ventura annunciata o del completamento di questa o quella super-sperimentazione e ha consentito che, nel silenzio, ci si concentrasse sulla sequenza dei piccoli passi utili, per davvero, alla sviluppo di quello che si è più volte già definito il sistema operativo del Paese.
Meno parole e più fatti anche se, forse, fatti meno visibili e percepibili al grande pubblico e ai tanti cacciatori di rivoluzioni anziché di trasformazioni. I fatti in questione si chiamano infrastrutture – materiali e immateriali – abilitanti. Perché non ci si può aspettare che un treno attraversi il Paese senza rotaie e anche se tutti attendono con ansia il primo viaggio, i veri piccoli traguardi sono rappresentati dalla posa silenziosa di chilometri e chilometri di rotaie.
L’anagrafe nazionale della popolazione residente – Anpr in acronimo – oggi è passata da semplice oggetto di pluriannuale narrazione con un solo comune migrato su oltre ottomila a un progetto al quale manifestano la volontà di aderire, ogni mese, oltre un centinaio di amministrazioni piccole, meno piccole e grandi.
L’identità digitale di Spid – fino a un paio d’anni fa progetto in cerca d’identità se mi si passa il gioco di parole – oggi rappresenta un tassello importante del sistema operativo del Paese, un tassello che consente e consentirà ai cittadini di interagire con l’amministrazione restando dietro al proprio smartphone o PC senza doversi presentare di persona a un ufficio pubblico. E di fare altrettanto per fruire di servizi erogati da privati.
E altrettanto può dirsi di Pago Pa, il nodo nazionale dei pagamenti, rimasto per anni ai blocchi partenza e oggi, finalmente, diventato uno strumento che rende pagare tasse, tributi, contravvenzioni non divertente ma, almeno, semplice. L’usabilità dei servizi pubblici online, per qualcuno, fino a poco tempo fa, una sciocchezza nella quale non perdere tempo, più o meno l’equivalente di rifare il trucco a un’amministrazione decadente è diventata, invece, negli ultimi due anni una delle maniere più nuove di perseguire quello che è e dovrebbe restare l’obiettivo principale di chiunque si occupi di trasformazione digitale del Paese: mettere il cittadino al centro, guardare ai servizi online dal punto di vista chi ne fruisce e non di chi li fornisce.
Ma si sbaglierebbe a pensare che, negli ultimi due anni, si sia smesso di sognare. Direi piuttosto che si è sognato in silenzio e si sono raccontati i sogni solo quando si è riusciti a trasformarli almeno in progetti; è il caso di “IO” la piattaforma destinata a rappresentare il “luogo non luogo” attraverso il quale ogni cittadino potrà accedere a tutti i procedimenti amministrativi nei quali è coinvolto ed agire con tutte le amministrazioni, centrali e locali, con le quali ha che fare.
Lo si è covato a lungo, ma lo si è annunciato solo quando la sperimentazione era alle porte e, ora, potrebbe essere realtà – anche se una realtà destinata a crescere e migliorare anno dopo anno – in pochi mesi. La trasformazione digitale del Paese è incompiuta e lo sarà sempre perché, appunto, non c’è un traguardo da tagliare ma solo una linea all’orizzonte in continuo movimento ma è innegabile che di strada ne è stata fatta, in silenzio, come idraulici che lavorano sotto traccia perché una casa oltre che bella sia anche funzionale come ha ripetuto spesso, Diego Piacentini, regista silenzioso del cambiamento.