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Dove si schiererà l’Europa nella guerra commerciale Usa-Cina?

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I problemi economici italiani ed europei hanno distratto l’attenzione della stampa, e dell’opinione pubblica, dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, ormai in atto a colpi di aumenti di dazi doganali. È tema, però, che deve essere all’attenzione del governo italiano, dove non mancano ministri e sottosegretari molto vicini a Pechino e che hanno interessi, peraltro legittimi, in quel che fu il Celeste Impero. Infatti, è difficile che l’Unione europea possa restare alla finestra. Come è noto, sin dal Trattato di Roma la politica commerciale è proposta ed attuata dalla Commissione Europea ma su indirizzo (e controllo) dell’organo collegiale (il Consiglio) dei ministri competenti degli Stati dell’Unione.

La guerra commerciale Usa-Cina è parte di un processo più vasto. Nell’ultimo quarto di secolo, i presidenti americani che si sono avvicendati alla Casa Bianca (sia repubblicani sia democratici) hanno avuto l’obiettivo non tanto di una “coesistenza pacifica” con Pechino ma di un “impegno comune” nell’orientamento (ove non nella gestione) degli affari mondiali. In breve, le due “superpotenze” avrebbero avuto l’onore e l’onere di assicurare al mondo una crescita equilibrata in un contesto sereno. In questa prospettiva, gli Usa hanno agevolato l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio Omc nel lontano 2001 sulla base della promessa che l’economia del Paese sarebbe diventata effettivamente “di mercato”. Hanno anche tollerato che in numerosi sedi internazionali, la Cina non potesse vincolarsi in diverse materie (ad esempio, ambiente) e volesse essere ancora considerata “a basso reddito” ed “in via di sviluppo”.

Conosco i cinesi dal 1970 ed ho sempre avuto dubbi su questa strategia in quanto, al passare dei regimi e dei sistemi economici, chi governa a Pechino si è sempre considerato, e si considera, di essere, con i suoi governati, superiore al resto dell’umanità. Mettendo in atto anche politiche autolesionistiche come quella dell’Imperatore che nel quindicesimo secolo ordinò di bruciare le navi della flotta (ciascuna delle quali aveva una stazza pari a dieci volte quelle che portarono Cristoforo Colombo nelle Americhe ), chiudere i porti e le frontiere ed impedire contatti con gli stranieri per timore che altri si impadronissero della tecnologia “made in China”.

Il quadro è cambiato. Gli Usa si sono resi conto non solo che la Cina non ha alcuna intenzione di diventare un’economia di mercato né di condividere “una diarchia” sull’ordine mondiale, ma ha la tendenza a barare, anche astutamente, in materia economico- commerciale . Il presidente Trump lo esprime in modo goffo ed insiste su questi temi perché il 6 Novembre si vota per il rinnovo della Camera dei Rappresentati e di un terzo del Senato.

Vista in retrospettiva, la strategia americana appare molto più articolata di quanto sembri ad uno sguardo veloce. Come già sottolineato su Formiche.net, dopo una prima fase in cui la Casa Bianca è parsa di prendersela con tutti e di accusare pure gli alleati tradizionali (Canada, Messico, Unione Europea, Giappone e Corea del Sud), di “pratiche commerciali scorrette”, sta apparendo chiaro che il vero obiettivo è la Cina e che, con l’eccezione di qualche categoria merceologica, le scaramucce con gli alleati erano tanto un diversivo tattico quanto uno strumento per coinvolgere anche loro nella guerra con quello che fu il Celeste Impero.

Lo mostra a tutto tondo una clausola che pochi hanno notato nel nuovo accordo di libero scambio dell’America del Nord (Nafta 2) appena concluso dagli Usa con Canada e Messico: la parti contraenti si impegnano a non concludere “accordi commerciali con economie non di mercato” perché altrimenti perderebbero accesso ai mercati dei partner. In pratica, è una clava che minaccia Canada e Messico, Paesi per i quali l’accesso al mercato americano è vitale. È concepibile una clausola analoga in un eventuale intesa commerciale con l’Unione Europea e con il Giappone. In breve, Washington prepara una “grande coalizione” contro Pechino.

Nel contempo, anche la Cina si è fatta molto più raffinata. Il New York Times, non certo favorevole all’attuale inquilino della Casa Bianca, ha pubblicato una carta geografica degli Stati Uniti in cui si vede chiaramente come i “dazi di ritorsione” varati da Pechino contro gli Stati Uniti insistano specificamente sui collegi in cui i candidati repubblicani sono più a rischio. L’Unione Europea deve scegliere. E l’Italia deve dare un contributo effettivo alla scelta.

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