Interrompere il programma F-35 sarebbe “irresponsabile”. Parola del sottosegretario di Stato alla Difesa Angelo Tofalo, che è tornato sulla partecipazione italiana al Joint Strike Fighter, un dossier su cui è ancora in corso la “valutazione tecnica” promossa dal ministro Elisabetta Trenta. Il Movimento 5 Stelle resta “contrario” al programma, ma ci sono questioni operative che non possono non essere tenute in considerazione: “la Difesa ha bisogno di certe capacità aeree”.
IRRESPONSABILE INTERROMPERE IL PROGRAMMA
“Il Movimento 5 Stelle è da sempre contrario ai caccia F-35, ma si tratta di un programma partito nel 1998 e sarebbe irresponsabile interromperlo ora, anche se stiamo studiando nei dettagli il dossier”, ha detto Tofalo in un’intervista rilasciata all’Ansa. “Questo governo non ha ancora cacciato un solo euro, tutti gli ordini sono stati fatti dai governi precedenti”, ha aggiunto ribadendo quanto affermato di recente dal ministro Trenta. Ad ora, l’impegno italiano prevede l’acquisto di 90 velivoli rispetto ai 131 originariamente previsti. Numeri che ancora consentono un ritorno di lavoro rilevante, concentrato soprattutto nella linea di assemblaggio e verifica finale di Cameri, in provincia di Novara, un sito all’avanguardia gestito da Leonardo con il sostegno tecnologico di Lockheed Martin.
LA NECESSITÀ DI CAPACITÀ AEREA
D’altra parte, ha rimarcato il sottosegretario, “bisogna essere onesti intellettualmente e dire che la Difesa ha bisogno di certe capacità aeree, per cui si deve capire che, se si interviene su questo programma, bisogna poi sempre garantire una capacità operativa aerea che l’Italia deve comunque avere a difesa dei confini nazionali”. Tale prospettiva era stata ben evidenziata da molti esperti, che avevano registrato una carenza nel dibattito della questione operativa. Oltre agli aspetti occupazionali e tecnologici (comunque rilevanti), una valutazione su un programma militare non può prescindere dalle esigenze delle Forze armate. Su questo, Aeronautica e Marina sono sempre state chiare, avendo scelto da tempo il Joint Strike Fighter per il futuro del potere aereo nazionale. Di recente, i due capi di Stato maggiore, rispettivamente il generale Enzo Vecciarelli e l’ammiraglio Valter Girardelli, hanno ribadito il concetto. Se il primo ha lamentato “di non aver mai avuto la possibilità seria di illustrare analiticamente e razionalmente cosa significa avere o non avere aeroplani di quinta generazione, cosa fanno rispetto agli altri e il rapporto costo-efficacia”, il secondo ha definito il programma “imprescindibile e di fondamentale importanza, per poter esprimere in pieno le capacità strategiche e operative della portaerei nave Cavour”.
UNA DECISIONE CHE PRENDERÀ CONTE
Esigenze ribadite anche da Tofalo: “Abbiamo 240 aerei, di cui alcuni vecchissimi come i Tornado, e non è che se blocchi gli F-35 non compri altri aerei”. Insomma, ha evidenziato, “nessuna decisione è stata ancora presa, il programma è congelato e ci sarà alla fine della fase di studio una decisione politica, credo direttamente da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte”. Proprio il premier si era espresso recentemente sull’argomento, facendo presagire un ridimensionamento del programma. “Stiamo valutando gli impatti occupazionali ed economici della riduzione del programma”, aveva detto a Famiglia Cristiana, con toni apparentemente distanti da quelli rassicuranti che aveva utilizzato al fianco di Donald Trump, nel vertice di fine luglio a Washington.
SPESE MILITARI NELLA LEGGE DI BILANCIO
Ad ogni modo, il tema si lega al dossier “spese militari” nella legge di bilancio. Recentemente, Tofalo è intervenuto sul tema, affermando che “il governo non ha tagliato ancora nulla, ma ha ricavato una quota (Luigi Di Maio ha parlato di mezzo miliardo, ndr) razionalizzando e rimodulando alcuni programmi”, il tutto “per aiutare l’industria della difesa”. Eppure, resta l’incertezza sui programmi coinvolti, in attesa di leggere il testo del disegno di legge relativo al bilancio dello Stato per il 2019 e per il prossimo triennio. Per ora, nel Consiglio dei ministri di ieri è stato confermata la “riduzione delle spese militari”. In particolare, il punto 14 del comunicato di palazzo Chigi precisa: “Si prevede una riduzione delle spese militari pari ai fondi necessari per la riforma dei Centri per l’impiego”. Tale formula ha già destato alcune preoccupazioni. “Abbiamo capito bene?”, si è chiesto il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida. “L’idea del governo sarebbe quella di tagliare gli investimenti dello Stato in tecnologia prodotta dall’eccellenza italiana, come Fincantieri, Leonardo e Iveco, per rinnovare i centri per l’impiego? Ciò significherebbe – ha concluso il parlamentare – per andare alle conseguenze, licenziare 10/15.000 dipendenti di altissimo livello, ingegneri, ricercatori, manodopera specializzatissima, per investire in centri che poi, forse, potranno trovare lavoro a un numero, magari, inferiore di disoccupati”.