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Il Kurdistan dopo il voto. Debolezza politica e l’incognita delle opposizioni

Di Giovanni Parigi
kurdistan

Anche se non sono ancora usciti gli esiti ufficiali, il Partito Democratico Curdo e l’Unione Patriottica Curda si riconfermano alla guida della regione curda. Le opposizioni sono deboli e divise, ma i rapporti tra i due partiti al governo rimangono tesi e la loro alleanza dovrà superare prove difficili come le trattative con Baghdad, le ripercussioni della guerra civile siriana, della guerra al Da‘esh, delle ingerenze turche e iraniane, oltre che una crisi interna finanziaria e di legittimazione del sistema politico

La battuta migliore sulle elezioni regionali curde di domenica scorsa è stata: “se il Partito Democratico Curdo e il Partito Comunista cinese si sfidassero alle elezioni, di sicuro vincerebbe il partito curdo”. Naturalmente si fa riferimento ai presunti brogli che avrebbero facilitato una riconferma del Partito Democratico Curdo (Kdp) e dell’Unione Patriottica Curda (Puk), i due storici partiti alleati che dal 2005 governano il Kurdistan iracheno.

Tant’è che, a fronte di 425 segnalazioni di frodi e irregolarità, ad oggi non è ancora stato certificato l’esito elettorale e circolano solo risultati provvisori: rispetto alle scorse elezioni nel 2013, l’attuale maggioranza di governo uscirebbe notevolmente rafforzata, con quasi una decina di seggi in più; quanto alle altre forze politiche, i partiti anti-sistema come il Gorran ed il “Nuova Generazione” perderebbe un paio di seggi, analogamente a islamisti e movimenti di sinistra.

Sicuramente la questione dei brogli elettorali è importante ma, a onor di cronaca, l’esito ufficiale di tutte le precedenti elezioni è sopravvissuto a violazioni e presunti brogli, che dunque sono un contorno usuale del voto nel Kurdistan iracheno. In realtà il diavolo, anche nelle elezioni, sta nei dettagli. Infatti, è solo andando ad esaminare attentamente i dati elettorali disponibili che leggiamo in filigrana il risultato di queste votazioni.

Innanzitutto, è evidente la debolezza del Puk; i pochi seggi che ha guadagnato non devono trarci in inganno, in quanto il partito si trova schiacciato tra il Kdp e le opposizioni laiche. Infatti, da un lato, ormai stenta a competere au pair col suo alleato-rivale Kdp, che lo ha doppiato; dall’altro lato, più di tanto non riesce a recuperare le posizioni perse in favore di partiti di protesta come il Gorran e il “Nuova Generazione”. Di fatto, la sua salvezza in buona parte è consistita proprio nell’antagonismo tra questi due partiti riformisti, nonché nella crisi interna e di leadership del Gorran.

Del resto le opposizioni, sia laiche riformiste che islamiste, sono deboli e divise. Il successo nel partito Nuova Generazione ha compensato il crollo del Gorran, dimezzato; però, l’atteggiamento massimalista “anti-tutti” del Nuova Generazione lo ha isolato. Gli islamisti poi, rimanendo legati ad una visione più religiosa che politica, non riescono ad allargare la propria base elettorale. Dunque, senza riforme organizzative e ideologiche, le opposizioni non rappresentano una effettiva alternativa al duopolio Kdp-Puk.

Quanto al Kdp, la sua vittoria è incontestabile, anche se questo strapotere rischia di sbilanciare l’alleanza (di comodo) col Puk, asse su cui si regge la stabilità del Kurdistan iracheno. Le tensioni tra i due alleati non mancano, e l’elezione alla presidenza irachena di Barham Salih, candidato del Puk, sul breve termine rischia di esacerbarle anche se in realtà, sul lungo termine, ha riequilibrato i rapporti di forza tra i due partiti. Paradossalmente, l’assegnazione al Puk della presidenza nazionale, in base alla regola dei contrappesi istituzionali, permette al Kdp di tornare alla carica con le sue richieste in merito alla presidenza regionale curda.

In conclusione, il futuro del Kurdistan iracheno sembra quello di un rinnovo dell’asse di governo Kdp-Puk. L’unica incognita riguarda il ruolo delle opposizioni, che potrebbero o entrare in parlamento come forza di minoranza, o rifiutare l’esito elettorale per delegittimarlo, facendo opposizione extraparlamentare.

In ogni caso, sarà proprio questo governo a dover affrontare nodi difficilissimo come rivedere le relazioni politico-militari-istituzionali con Baghdad, barcamenarsi tra le ingerenze delle potenze regionali e risolvere la crisi finanziaria e di legittimità politica che colpisce il Kurdistan iracheno.

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