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La sicurezza sul lavoro? È (anche) in alto mare

Di Nora Garofalo

Nei mari italiani sono attivi 138 impianti tra piattaforme e teste pozzo sottomarine, di cui 94 entro il limite delle 12 miglia dalla costa. Le piattaforme si concentrano prevalentemente nell’alto Adriatico, nello Ionio e nel Canale di Sicilia. Su queste imponenti strutture lavorano circa 15 mila addetti, inclusi quelli delle imprese di supporto all’estrazione. Si tratta di un piccolo esercito di professionisti altamente qualificati ma che operano, come evidente, in condizioni assolutamente uniche e gravose. La loro sicurezza, ma anche la tutela dell’ambiente e le prospettive di questo settore, che resta strategico per tutti i Paesi che hanno un affaccio sul mare e per il fabbisogno energetico degli oltre 700 milioni di cittadini che vivono oggi in Europa, sono state al centro dell’evento “Sicurezza sulle piattaforme offshore”, organizzato dai sindacati di categoria Femca Cisl, Filctem Cgil e Uiltec Uil. All’appuntamento, a Palermo, hanno partecipato numerosi rappresentanti dei sindacati del nord Europa, con i quali è già attivo un gruppo di lavoro ad hoc che lavora incessantemente con l’“Autorità europea per le piattaforme offshore”, istituita presso la direzione generale Energia della Commissione europea.

LA SICUREZZA DEI LAVORATORI

Nel 2017 in Italia, nell’ambito delle attività di ricerca, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi, si sono verificati in totale 37 infortuni, dei quali il 35% è classificato di entità grave (con prognosi superiore a 30 giorni), il 65% di entità lieve. Il 95% degli accadimenti è da riferirsi all’esercizio in terraferma, il restante 5% alle attività a mare. Rispetto al 2016, quando si verificarono 21 incidenti, si è registrato un aumento degli infortuni lievi e una riduzione degli infortuni nelle attività di mare. Uno scenario che resta preoccupante e non va trascurato.

IL CONTRATTO

Il settore è caratterizzato da una pluralità di contratti individuali e di rapporti di lavoro diversificati, che si sviluppano attraverso società di somministrazione di manodopera italiana e dall’estero. La richiesta dei sindacati è di estendere a questi lavoratori l’applicazione del contratto collettivo nazionale Energia e Petrolio, in particolare per la sezione che norma la sicurezza. I lavoratori del settore, altamente specializzati e con professionalità elevate, svolgono un’attività lavorativa che si sviluppa in un ambiente e con modalità che risultano fortemente gravose per una buona qualità della vita, e l’applicazione del Ccnl Energia e Petrolio offre precise tutele in questo senso. Le competenze dei responsabili sindacali per la sicurezza possono e devono essere messe al servizio anche dei lavoratori delle piattaforme offshore, come in qualsiasi realtà produttiva energetica in Italia.

LA TUTELA DELL’AMBIENTE

Dopo il disastro del 2010 nel Golfo del Messico, con la dispersione in mare di oltre 500 mila tonnellate di greggio, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno emanato la direttiva 30/2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, modificando la direttiva precedente 2004/35/CE e di fatto aggiornando la lista dei rischi correlati all’attività estrattiva, potenziandone i controlli e i sistemi di segnalazione e prevenzione degli incidenti. Ad oggi questa direttiva è in fase di nuova revisione. In Italia è il decreto legislativo n.104 del 16 giugno 2017 che attua tale direttiva, dopo il quale è stata istituita presso il ministero dello Sviluppo economico la Commissione che si fa garante della sicurezza sulle piattaforme. Al momento ci sono numerosi progetti di nuove perforazioni e 197 permessi di ricerca di idrocarburi, in mare e su terraferma, di cui la maggior parte in Adriatico e in Sicilia. Un recente decreto del Mise aveva concesso il prosieguo delle attività di perforazione entro le 12 miglia dalla costa per i permessi già richiesti e fino ad esaurimento delle riserve dei giacimenti.

IL FINE VITA DELLE PIATTAFORME MARINE

Lo smantellamento delle piattaforme estrattive obsolete continua ad essere un tema attuale. Noi auspichiamo che si possa affrontare una seria discussione sulla riqualificazione di tali piattaforme, se il loro smaltimento resta troppo oneroso. È stato già avviato dall’Eni un progetto di decommissioning per le piattaforme dell’Adriatico, un disarmo di ben 15 impianti, entro il 2020. Accogliamo con favore, quindi, il “Progetto Poseidon”, elaborato insieme al Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), all’Istituto scienze marine (ISMAR) e alla Fondazione Cetacea. Il progetto pilota ha l’obiettivo di convertire le piattaforme della costa romagnola in stazioni scientifiche interconnesse, ad alto contenuto tecnologico, per lo studio dell’ambiente marino. Questa conversione, ripetibile e riproducibile anche per altri impianti, porterebbe alla creazione del primo parco marino tecnologico nell’Adriatico e in Europa. Dare una vita nuova, sostenibile e con elevato pregio ambientale a questi impianti è finalmente possibile!



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