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La lettera della Commissione e il vicolo cieco di M5s

Di Francesco Grillo
difesa commissione sanzioni

La lettera della Commissione europea al ministro Tria assomiglia molto a uno scacco (quasi matto) al Movimento Cinque Stelle che – a differenza della Lega – rischia di ritrovarsi – solo sei mesi dopo aver vinto un’elezione politica generale – in un vicolo cieco politico senza via di uscita. È il costo di aver provato a governare senza uno straccio di classe dirigente: costo che, del resto, ha pagato chiunque altro abbia provato a governare un Paese difficilissimo negli ultimi venticinque anni e che, regolarmente, dopo aver tentato è stato sconfitto alle elezioni.

Ed, in effetti, quella che il capo politico del M5S si trova a dover affrontare è, davvero, la sfida più difficile. La lettera della Commissione mette il Movimento nell’angolo e – improvvisamente – senza nessuna delle tre opzioni che immaginava di avere sul tavolo.

Non può il M5S continuare a difendere il totem del 2,4% (fu un errore tragico ridurre, come avevano fatto quelli che c’erano prima, la politica ai decimali) perché se è vero che lo stesso Di Maio ha indicato in 400 punti base il livello dello spread che li costringerebbe alla resa ci siamo pericolosamente vicini. È quasi certo che, con questa lettera accompagnata dalla chiusura dell’ombrello del quantitative easing, ci sarà, tra qualche giorno, il downgrade da parte delle agenzie di rating. Così come è praticamente assicurato che stare di un solo livello al di sopra delle obbligazioni spazzatura ci farebbe superare di corsa quella soglia.

Non può, però, Di Maio neppure andare indietro. Rinunciare a ciò che è diventato la linea Maginot del deficit per il 2019 – dopo aver già corretto i conti per il 2020 e il 2021 (che sono comunque politicamente ininfluenti perché dopo le elezioni europee) – significherebbe dire ai militanti che ci si è sbagliati a cantare vittoria sul balcone di Palazzo Chigi e che va, almeno in parte, ammainata la bandiera del reddito di cittadinanza. Il consenso già in calo (le notizie cattive non vengono mai da sole ed è di oggi l’ultimo sondaggio del Corriere della Sera che conferma il trend negativo), comincerebbe a squagliarsi nella disillusione.

Non può, infine, neppure chiedere le elezioni anticipate. In questa situazione il M5S avrebbe un risultato decisamente inferiore a quello di sei mesi fa e non avrebbe alcun possibile alleato visto che l’alleanza con la Lega gli ha bruciato la possibilità di un dialogo con gli elettori del Pd (nonché con la sua debole dirigenza). A meno di decidere di fare da “ruota di scorta” della Lega consegnandosi ad una fine prematura.
Certo rischia l’Europa insieme all’Italia. Ma i rischi per noi sono assai maggiori ed è inammissibile giocare una partita così difficile armati solo della propria più grande debolezza. Da ieri sera in trappola c’è Di Maio. E non tanto per calcoli politici sbagliati o, come dice qualcuno, spregiudicati. Ma per mancanza di classe dirigente che è un problema irrisolvibile in pochi mesi, a meno di lavorarci riconoscendo l’enormità dell’impresa.

Certo l’errore è stato quello di aver ridotto ai decimali del Def la trasformazione (non parlerei neppure più di un cambiamento) di un Paese così indietro rispetto alle sfide del XXI secolo. Nonché aver ridotto la rifondazione (non parlerei neppure più di riforme) dell’Unione Europea a quella (pur importante) del Patto di Stabilità. Ci dovrebbe essere molto, molto di più nell’agenda di un governo che volesse riorganizzare un Paese, una società, la stessa organizzazione del Potere attorno alle enormi opportunità e rischi che la rivoluzione tecnologica fornisce. Sono sicuro che la stessa cosa la penserebbe un visionario come Casaleggio. E però ci vorrebbe molta più classe dirigente – un oggetto fatto, forse, di alcune migliaia di persone, per le quali occorrono scuole e tempo – per seguire le partite che faranno il futuro.

Aldilà delle difficilissime battaglie sulla possibilità di spendere più soldi dei contribuenti italiani come intende il governo aumentare in maniera drastica la capacità di spendere i soldi (42 miliardi di euro) che i contribuenti europei mettono a disposizione dello sviluppo del nostro Mezzogiorno (essi valgono di più del reddito di cittadinanza e non producono un euro i debito)? Che fare dell’Università e della Scuola italiana in un contesto nel quale tutti i problemi diventano complessi? Come trasformiamo la Sanità con le tecnologie? Cosa dovrebbe fare l’Europa che è rimasta senza neppure una delle piattaforme digitali, globali attraverso le quali transitano i beni e i servizi nel secolo nuovo?

Ciascuna di queste questioni avrebbe bisogno non solo di competenze, ma del talento che è indispensabile per governare una rivoluzione industriale che è già in atto. Ed invece il Movimento rischia di ritrovarsi senza neppure le competenze che servivano al vecchio establishment per gestire il declino.

In questa situazione ci si è ridotti alla battaglia sui decimali, appaltandola, di fatto, a economisti vecchia maniera, intrappolati in battaglie ideologiche antiche. E ci ritrova adesso in un vicolo cieco a giocare una partita che, forse, non è quella che avrebbe dovuto giocare una forza politica che era nata dall’aver intuito la natura radicale dei cambiamenti veri che dovremmo studiare e affrontare.

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