Il pensiero politico dovrebbe passare da un approccio “cosale” a uno “relazionale”. Questo significa pensare la politica come una scienza delle relazioni e come guida e gestione della ratio publica (vedi sotto) prima ancora che della res publica. Il nuovo paradigma relazionale ci aiuta a capire meglio come una società dell’informazione matura, in termini di aspettative socio-culturali, possa articolare e perseguire un suo specifico progetto umano completo – cioè sia individuale, come metaprogetto per la progettualità personale, sia sociale, per la progettualità di gruppo – munendosi dell’infraetica giusta per organizzarsi e realizzarlo. Tutto questo rende possibile, e al contempo richiede, buone idee per formulare una politica migliore. Sia nel senso di condizioni di possibilità positive, che mirano a disegnare e quindi a costruire ciò che è o dovrebbe essere una democrazia buona, per una società matura dell’informazione. Sia nel senso di condizioni di possibilità negative, che rivelano la presenza di una politica cattiva, che ostacola la costruzione di ciò che è o dovrebbe essere una democrazia buona.
In questa sezione presento alcune di queste idee, quelle che oggi mi sembrano le più importanti. Esse possono essere lette come spiegazioni concettuali o conseguenze logiche di una singola premessa: che cosa sia una politica buona per una società matura dell’informazione, che intenda perseguire un progetto umano completo e eticamente auspicabile, attraverso un’infraetica efficace e condivisibile. Ho cercato di facilitare la lettura separando schematicamente le varie idee e numerandole, così che sia più facile per chi legge essere in accordo o disaccordo su ciascuna di esse. Ho messo in corsivo alcuni concetti-chiave, quando sono introdotti per la prima volta, prima di essere discussi o spiegati. E ho cercato di rendere il testo leggibile a due livelli. Il primo livello è una rete che collega semplicemente ogni idea numerata, leggibile come un nodo, ignorando il paragrafo sottostante, che fa da approfondimento. Per chi ha fretta, basta leggere solo le frasi numerate. Per chi ha tempo, il secondo livello è più approfondito e sequenziale, e richiede una lettura sequenziale, non reticolare.
1. Una società è la totalità delle relazioni che la costituiscono. Questo perché la società è formata, e non meramente composta, da tanti individui, che non sono come sassi raccolti in un cumulo.
2. Una società buona è una società tollerante e giusta, e perciò pacifica e libera. Questi quattro valori morali, presentati in ordine di precedenza logica, sono essenziali. Essi fanno riferimento alle quattro condizioni identificate da Locke (la tolleranza è a fondamento della pace), da Mill (la tolleranza è a fondamento della libertà) e, tra i due, da Kant (la giustizia è a fondamento della tolleranza). Tuttavia in questo opuscolo ho argomentato che tolleranza e giustizia hanno questo ordine logico (la tolleranza ha priorità sulla giustizia), anche se sono co-necessarie.
3. Una società civile si organizza in una comunità politica, detta polity.
4. Un governo è la guida esecutiva della polity.
5. La forma migliore per creare e mantenere il governo di una polity è la democrazia. Questo perché la democrazia massimizza la cura giusta e la crescita tollerante delle relazioni individuali, sociali, e ambientali, facendo attenzione al soddisfacimento degli interessi, dei bisogni, e delle speranze ragionevoli non solo di tutte le persone (sia fisiche sia giuridiche) ma di tutti i relata: umani, naturali, e artificiali.
6. La forma migliore di democrazia è quella rappresentativa. Questo perché la necessaria condizione di possibilità iniziale della democrazia è la separazione strutturale tra la sovranità popolare (gli aventi diritto al voto detengono il potere politico e possono delegarlo legittimamente) e la governance politica (i governanti ricevono il potere politico e possono legittimamente esercitarlo in delega revocabile). Da ciò segue che tutte le forme di dittatura – inclusa quella della maggioranza – nascono dall’identità autolegittimantesi tra sovranità e governance, cioè tra la detenzione e l’esercizio del potere politico. Ogni forma di governo e ogni governance sono fallibili: ogni tanto non funzionano o funzionano male. Da questo segue che una democrazia è preferibile a una dittatura non perché funzioni meglio, ma perché è molto più resiliente: quando non funziona, non funziona molto meno peggio di una dittatura perché causa meno danni ed è in grado di riparare se stessa.
7. Una buona democrazia consente di scegliere tra alternative reali. Questo perché la moltiplicazione o superfetazione delle scelte e la mancanza di reali alternative di contenuto è l’indice sistematico dell’antidemocraticità di un regime politico, riducendo lo spazio della decisione politica: si sceglie tra opzioni (come nel menu di un ristorante), ma non si decide tra alternative (a quale ristorante andare).
8. Una buona democrazia offre la giusta granularità di alternative. Questo significa che tanto più si raccolgono pacchetti di scelte (bundle) in singoli blocchi sui quali chiedere di decidere politicamente, tanto meno buona è la democrazia in questione. Questo è un argomento a favore di un sistema maggioritario e contro un sistema puramente proporzionale.
9. Una società buona richiede una politica buona.
10. La politica non è buona quando non consente di modificare le posizioni di partenza. L’impossibilità di rielaborazione delle posizioni di partenza costituisce l’indice obiettivo dell’antidemocraticità di un regime politico, ed equivale alla riduzione dello spazio nella costruzione del progetto umano. La mobilità sociale, per esempio, è indice di una buona politica.
11. La politica buona ha come fine quello di prendersi cura della prosperità di tutta la società, delle persone che ne fanno parte, e dei beni pubblici e comuni, inclusi gli ambienti naturali e artificiali, che ad essa appartengono o in cui vive. Per “tutta” si intende, idealmente, non soltanto la società che la esprime, ma l’intera società umana.
12. La prosperità è una relazione che include la protezione e la promozione delle libertà civili, dell’educazione, della sicurezza, della salute, e delle pari opportunità. Seguendo un approccio relazionale e non “cosale”, sostenere che la politica buona si prende cura della prosperità di tutta la società, delle persone che fanno parte di essa, e dei beni pubblici e comuni (inclusi gli ambienti naturali e artificiali), significa assicurarsi che la politica sia reticolare.
13. La totalità del tessuto individuale pubblico, del tessuto sociale e del tessuto dei beni pubblici e comuni è la ratio publica.
14. La politica buona è tessutale, prendendosi cura della ratio publica.
15. Una politica non è buona quando strappa il tessuto della ratio publica, fallendo nell’assicurare un livello minimo diffuso di vita dignitosa, individuale e comunitaria. Per questo la violazione della dignità della persona o di gruppi di persone costituisce l’indice soggettivo dell’antidemocraticità di un regime politico, riducendo lo spazio della proiezione della persona nella società.
16. La politica buona è universalmente partecipativa. Una buona politica necessita dell’input e della partecipazione attiva di tutte le componenti della società, incluse le associazioni di settore, le aziende coinvolte, e le strutture amministrative. Una buona politica ha successo solo se c’è il coinvolgimento di tutte le parti sociali, gli stakeholders, in tutte le fasi, dalla riflessione, alla elaborazione delle idee buone, alla loro discussione e realizzazione. La partecipazione non ha confini naturali, ma solo limiti pragmatici. Per questo una politica buona è anche cosmopolita.
17. La politica buona può trasformarsi in un buon governo solo grazie al supporto positivo dell’amministrazione pubblica. Non lavorare in sinergia con l’amministrazione pubblica non solo è un errore strategico, perché l’amministrazione pubblica conosce i meccanismi e i gradi di fattibilità dei progetti politici dall’interno. È anche un errore di prospettiva, perché solo l’impegno dell’amministrazione pubblica può garantire la continuità e il successo finale dei progetti anche nel corso di diversi governi.
18. Realizzare una politica buona insieme alle parti sociali e all’amministrazione pubblica significa disegnare i meccanismi relazionali di fondo che facilitano i comportamenti desiderati e ostacolano quelli indesiderati. Questo significa operare con politiche “by design” che danno forma alle condizioni di possibilità dei comportamenti che uno vuole determinare o modificare. Nell’opera di design si tratta di creare meccanismi relazionali che funzionino non solo secondo una logica del controllo e dell’eventuale sanzione, ma soprattutto secondo una logica della riflessività dell’autorinforzamento: circoli virtuosi che tanto più funzionano, tanto meglio funzionano. Per esempio, l’interesse diffuso dei cittadini a usare pagamenti digitali invece del contante può avere come benefico effetto collaterale un maggior controllo fiscale sulle transazioni stesse e quindi sull’evasione fiscale, che porterebbe a un alleggerimento del peso fiscale, un miglioramento dell’economia e una maggiore incentivazione all’uso di pagamenti digitali, e così via. Si tratta quindi di disegnare tecnicamente i circoli virtuosi che migliorano la società e che s’irrobustiscono tanto più sono utilizzati.
19. Una politica buona persegue i suoi fini, incluso il suo progetto umano, attraverso la promozione del benessere economico liberamente goduto o ricercato dalle persone, non attraverso l’esercizio della coercizione.
20. Una politica buona non usa la coercizione come mezzo, ma mantiene il monopolio sulla violenza per eradicarla del tutto, o sostituirla con una competizione pacifica, equa, sostenibile, e produttiva.
21. Una politica buona è guidata da idee buone nel soddisfare, conciliare, e priorizzare, all’interno del suo progetto umano, le speranze ragionevoli e gli interessi legittimi delle persone e della società, riguardo alla prosperità individuale, sociale, e ambientale.
22. Le idee sono buone quando forniscono alla politica strategie fattibili (realizzabilità), efficienti (costo), efficaci (risultato), condivisibili (consenso), e auspicabili (etica) per prendersi cura della prosperità individuale, sociale, e ambientale.
23. Le idee buone sono generate da una riflessione buona e sono consolidate in una pratica buona.
24. La riflessione è buona quando è razionale nei ragionamenti, informata sui fatti, consapevole della propria fallibilità, tollerante rispetto a opinioni diverse, e aperta al dialogo costruttivo.
25. La riflessione avviene nella sfera pubblica.
26. La sfera pubblica è parte dell’infosfera.
27. Una pratica è buona quando è trasparente nel senso che rende conto di sé (accountable) e si sottopone a verifica (auditable).
28. Una riflessione buona è promossa da un dibattito politico buono.
29. Il dibattito politico è buono quando si basa su una riflessione buona e decide, in modo soddisfacente, sul grado di bontà delle idee disponibili, sulla loro compatibilità e priorità, e su come realizzarle, dando vita a un mercato delle idee tollerante e giusto.
30. Le idee buone non sono di parte ma, proprio per la loro natura, sono condivisibili da più di un programma politico. Saper riconoscere e sostenere le buone idee, a prescindere dalla fonte e dal contesto che le propone, è essenziale in una politica sempre più “su richiesta” (on demand) e “appena in tempo” (just in time) e sempre meno “continuamente accesa” (always on), in cui la gestione dell’attenzione della società civile deve essere basata sull’interesse lungimirante per la proposta di buone idee rilevanti, e non sull’allarmismo, l’emergenza, o la crisi.
31. Condividere le idee buone a prescindere da schieramenti o programmi politici significa privilegiare l’etica all’ideologia.
32. Le idee buone motivano politicamente (psicagogia politica) facendo leva su tre fattori: la speranza (che può anche essere altruistica), l’interesse (normalmente solo personale), o (disgiunzione inclusiva) la ragionevolezza (dal buon senso alla logica, dall’uso corretto dei fatti al ragionamento probabilistico).
33. La speranza motiva più dell’interesse. Non esiste interesse personale – incluso quello fondamentale per il proprio benessere o quello altrui e la propria sopravvivenza o quella altrui – che non possa essere superato dalla speranza, fino al suicidio. Per questo il terrorismo fondamentalista o ideologico non può essere combattuto facendo appello all’interesse.
34. L’interesse personale motiva più della ragionevolezza. Non esiste ragione, inclusa la certezza matematica, che non possa essere negletta per interesse personale.
35. La ragionevolezza è conciliabile con la speranza e l’interesse ma, da quanto precede, segue che essa motiva meno di entrambi. Per questo l’avidità più radicata, che si basa sull’interesse egoistico, non può essere combattuta facendo appello alla ragionevolezza. In particolare, i problemi sociali – soprattutto corruzione, fondamentalismo e intolleranza, sfruttamento e violenza – e ambientali – soprattutto global warming, estinzione delle specie, inquinamento, e violenza sugli animali – non possono essere risolti facendo leva solo sulla ragionevolezza.
36. La politica buona ha successo se motiva anzitutto sulla base della speranza, quindi dell’interesse, e poi della ragionevolezza. Una campagna elettorale vincente, da Berlusconi a Trump, svaluta il presente, che tutti hanno interesse a cambiare in quanto sempre insoddisfacente, e sopravvaluta il futuro, che tutti sperano sia migliore. Una campagna elettorale perdente, da Hilary Clinton all’opposizione contro Brexit, valuta il presente come già soddisfacente, deludendo le speranze di tutti coloro che desiderano di meglio, e valuta un possibile futuro come peggiore o rischioso, frustrando le speranze dell’elettorato, promettendo soltanto un ragionevole more of the same (un’altra presidenza Clinton, la solita Unione europea), cioè un messaggio politico perdente.
37. La paura è una base motivazionale soltanto indiretta. Questo perché chi non ha alcuna speranza, o non ha alcun interesse, o non ascolta ragione alcuna, non può essere motivato mediante la paura.
38. La punizione, intesa come strumento di gestione della paura e quindi dell’interesse, è sempre inefficace se genera disperazione intesa come mancanza totale di speranza.
39. L’opinione pubblica nasce dalle speranze, dagli interessi e dalla ragionevolezza del pubblico che la esprime. L’opinione pubblica raramente è ragionevole (nous), è spesso soprattutto emotiva, in termini di speranze e paure, e istintiva, in termini di interessi (doxa). Perciò la sua formazione è molto raramente deliberativa ma soprattutto retorica.
40. La retorica della ragione è il modo migliore per formare politicamente l’opinione pubblica. Le idee buone da sole non bastano.
41. Le idee buone sono tempestive (timely, funzionano al momento giusto) non atemporali (timeless, funzionano in qualsiasi momento), quindi dinamiche e sempre aperte ad aggiornamenti. Questo perché le soluzioni che propongono non sono immutabili, come le leggi di natura, ma contingenti, come la storia umana, e devono evolvere con i problemi che esse affrontano. La tempestività delle idee buone non è relativa – come se dipendesse interamente dalle circostanze e cambiasse sempre e solo con esse – né assoluta – come se non dipendesse affatto dalle circostanze, e non cambiasse mai in relazione ad esse – ma è relazionale: dipende in parte dalle circostanze e cambia in modo interattivo con esse, cercando di migliorarle.
42. È sulle idee buone, la loro priorità, e la loro realizzabilità che si deve creare il consenso.
43. Il consenso è la convergenza cooperativa e contestuale delle relazioni.
44. I due valori fondamentali che qualificano le relazioni politiche sono la solidarietà e la fiducia.
45. La politica come prassi è la totalità delle relazioni solidali e fiduciarie che organizzano e guidano una società.
46. La solidarietà regola i bisogni in una società ed è alla base delle soluzioni verdi, cioè ambientaliste e ecologiche. Si tratta della solidarietà intesa come cura reciproca delle relazioni verso gli altri, verso il mondo, e verso le generazioni future. Senza questa solidarietà c’è solo libero mercato ma non anche una prosperità equa.
47. La fiducia regola le azioni in una società. Si tratta della fiducia in noi stessi, tra di noi, verso il futuro, nei confronti dell’ingegno umano e dei suoi prodotti, e nella bontà potenziale delle loro applicazioni. Senza questa fiducia c’è solo gestione del potere politico (mercato delle persone) ma non anche una politica buona (mercato delle idee).
48. La politica si prende cura delle relazioni che costituiscono e connettono le cose. Focalizzare la politica sul primato delle relazioni invece che sul primato delle cose – per esempio, sul primato del concetto di “cittadinanza” piuttosto che su quello di “cittadino” – vuol dire che la buona politica deve passare dal prendersi cura della buona gestione della res publica al prendersi cura anzitutto della natura e della crescita sana della rete relazionale che costituisce una società, i suoi membri, e il suo ambiente, cioè della ratio publica, definita in precedenza. Il tessuto della ratio publica è l’interspazialità delle relazioni storico-culturali che danno identità a una società e ai suoi membri.
49. La mafia è una forma di politica criminale. Essa rimpiazza la politica nel prendersi cura delle relazioni che costituiscono e connettono le cose. Per questo è incompatibile con lo Stato e sopravvive solo diventando governo.
50. La politica, quando non funziona, può essere riparata solo se si ripara la sua natura relazionale. La politica è malfunzionante quando le due principali relazioni di solidarietà e fiducia non funzionano. Essa si può riparare soltanto a partire dalla riparazione delle due relazioni. Questo dovrebbe essere motivo di qualche conforto e moderato ottimismo, perché è più facile riparare le relazioni piuttosto che i relata (cioè le cose costituite e connesse dalle relazioni). Per esempio, è più facile riparare la relazione di fiducia tra le parti sociali che “riparare” le parti sociali stesse per far funzionare un rapporto di fiducia.
51. La politica buona è metaprogettuale, cioè sostiene il progetto umano individuale. Ogni individuo è un percorso di autorealizzazione, in cui ciascuno progressivamente diventa sempre di più se stesso. Questa costruzione (poiesis) individuale, aperta e autonoma, è un processo delicato, perché ogni individuo non sussiste a sé stante, ma è un nodo di relazioni, fragile e facilmente influenzabile e danneggiabile. La politica sostiene l’autocostruzione (l’autopoiesi) individuale, fornendole le condizioni di realizzazione, soprattutto nei termini di tolleranza, giustizia, pace, libertà, sicurezza, educazione, rispetto e riconoscimento altrui, e pari condizioni. La politica è malfunzionante quando una di queste condizioni non è soddisfatta.
52. La politica buona sostiene il progetto umano sociale. Ogni società può essere vista come in costante tensione, anche solo implicita, verso la realizzazione di quello che essa vorrebbe e dovrebbe essere, cioè come un progetto umano comune e condiviso, in continuo corso d’opera. La politica si occupa di sostenere e realizzare il miglior progetto umano sociale possibile, in modo critico e consapevole, compatibilmente con le circostanze storiche in cui si pone e i progetti umani individuali di cui si deve prendere cura.
53. Un valore fondamentale promosso dalla politica buona è la tolleranza giusta. Abbiamo visto che, a partire da Locke, la tolleranza è alle radici dell’epoca politica moderna, come richiesta di mantenere ogni vita umana individuale e comunitaria sempre aperta alla scelta, al cambiamento, e al ripensamento. La tolleranza deve essere giusta, cioè attenta agli effetti negativi della sua stessa applicazione eccessiva. Ma la giustizia stessa deve essere tollerante nei confronti del diverso, degli errori, della possibilità di fare altrimenti o meglio, di ricominciare, contro l’eccessiva applicazione degli automatismi protocollari. La giustizia riconosce la superiorità logica della tolleranza quando assume come proprio limite l’accettazione dell’ingiustizia impunita piuttosto che la punizione ingiusta. Aveva ragione Hegel (Pereat mundus ne fiat iustitia) e non Kant (Fiat iustitia, pereat mundus).
54. La politica non ha un logout. Le relazioni socio-politiche possono essere modificate ma non negate. Perciò la retorica dell’essere dentro o fuori (per esempio dall’Europa) è resa vacua dal fatto che, in una rete relazionale globale (cosmopolitismo), non si può essere disconnessi, ma solo connessi in un modo più o meno giusto e coerente con il progetto umano sociale perseguito. La cattiva politica non disconnette (logout) ma connette male (cortocircuito) le relazioni sociali e le interfacce che le devono facilitare e coordinare.
55. La politica è cibernetica. In Platone, il cibernete è il pilota della nave, che guida nella direzione giusta anche controcorrente e con i venti a sfavore, e quindi a volte indirettamente e in modo obliquo. La politica non si occupa di gestire la velocità dei cambiamenti (per esempio dell’innovazione tecnologica), ma di determinare la bontà della loro direzione. Non ha i piedi sul freno o sull’acceleratore, ma le mani sul volante. L’alta velocità con cui procede una società nelle sue trasformazioni può essere una cosa ottima se la direzione scelta dalla politica è quella giusta.
56. La politica democratica è binaria. La democrazia viene di solito definita in termini di valori condivisi (semantica) oppure di regole (sintassi) adottate da una società. In realtà, semantica e sintassi presuppongono un passo precedente, di tipo strutturale, di separazione tra due elementi: la sovranità (possesso del potere politico) e la governance (esercizio del potere politico). Senza questa condizione strutturale binaria, una democrazia si appiattisce su una dittatura, in cui la maggioranza (che possiede ed esercita il potere politico) impone la sua volontà sulla minoranza, il cui progetto umano individuale o collettivo non è protetto.
57. Lo spazio della politica è parte dell’infosfera. Oggi lo spazio della politica – inteso anche come spazio pubblico (vedi sopra) e come esercizio deliberativo – è sempre onlife: in parte online e in parte offline, in parte analogico e in parte digitale. E lo è anche per coloro che sono ancora esclusi dalla rivoluzione digitale (quelli dalla parte sbagliata del digital divide), perché le loro scelte sono influenzate o determinate da coloro che sono inclusi.
58. Compito della politica buona è rendere il capitalismo sostenibile e equo. Il capitalismo è il miglior sistema che si conosca a tutt’oggi per produrre ricchezza, ma non per produrla in modo sostenibile e non per distribuirla equamente. In passato, il capitalismo è stato visto come un’inseparabile controparte dell’economia del consumo del mondo (consumismo). Ma ora questo legame può e deve essere sciolto, a favore di un nuovo coordinamento tra capitalismo ed economia della cura per il mondo (fostering). Passando da una politica delle cose a una politica delle relazioni, è più facile iniziare a costruire una società post-materialista e post-consumistica, che privilegi servizi e esperienze in modo equo e sostenibile.
59. La politica buona organizza e gestisce il capitale di cittadinanza. Ogni generazione gode del lavoro, degli sforzi, e dei sacrifici fatti da tutte le innumerevoli generazioni passate, perché ogni generazione è l’erede della passata umanità e lascia a sua volta la sua eredità alla generazione successiva. La politica dovrebbe adottare strategie di distribuzione dei benefici della ricchezza ereditata, garantendo a tutti i membri della società non solo pari opportunità ma anche un capitale di cittadinanza per sostenere la progettualità individuale. 60. Lo Stato è un’interfaccia che svolge una funzione di supporto relazionale delle strategie creative e produttive attuate dalla società. Lo Stato non è il punto di arrivo dell’organizzazione giuridicopolitica di una polity – che abbiamo visto essere una comunità politica, cioè l’ordinamento politico di una società – ma il punto d’incontro relazionale – ovvero un’interfaccia dinamica e con varie tipologie – tra polities, cioè tra una società, che con esso si organizza, e le altre società, organizzate come altri Stati, nel resto del mondo. I cittadini interagiscono politicamente con il mondo attraverso lo Stato-interfaccia, al quale appartengono, e le vari interfacce all’interno dello Stato (si pensi al comune o alla regione). Diverse interfacce dinamiche permettono questa interazione e comunicazione che non richiede affatto un modello unico (si pensi ai vari modelli di organizzazione dello Stato, per esempio federale, o come Repubblica presidenziale, in modo compatibile con monarchie costituzionali, e così via). Nell’era digitale e della globalizzazione, può sembrare che lo Stato non abbia più una funzione-chiave, e che l’alternativa sia o una localizzazione più radicata sul territorio e corrispondenti micronazionalismi (si vedano i molti fenomeni di indipendentismo in vari Stati europei, dalla Spagna alla Gran Bretagna, dalla Germania alla stessa Italia) o una globalizzazione multinazionale consona ai mercati, alle grandi aziende, e alle istituzioni intergovernative. In realtà, tanto maggiore è la globalizzazione tanto più necessario è lo Stato, inteso come interfaccia di comunicazione, interazione, e coordinamento tra realtà locali e globali. La crisi dello Stato moderno non è una crisi di “necessità” ma di “sufficienza”: lo Stato è sempre più necessario ma sempre meno sufficiente nel prendersi cura della ratio pubblica, essendo affiancato da molti altri agenti altrettanto necessari: organizzazioni sovranazionali, istituzioni internazionali, e aziende multinazionali.
61. Uno Stato è buono quando attua una politica buona.
62. Una politica buona valorizza lo Stato come un’interfaccia. Questo perché lo Stato può investire in infrastrutture utili e coprire il rischio d’investimenti a lungo termine; svincolare il successo delle strategie creative e produttive da ostacoli formali (per esempio burocratico-formali) o sostanziali (per esempio mancanza di credito, debito pubblico); incentivare lo sviluppo delle strategie socialmente accettabili o preferibili, e disincentivare lo sviluppo di quelle inaccettabili, rettificando, quando necessario, i limiti dei mercati; delegare il successo delle strategie, esternalizzando e controllando, quando possibile, ogni attività creativa e produttiva che non necessiti di una gestione statale, a favore di iniziative private; coordinare gli sforzi a livello nazionale e internazionale; e assicurare che fare la cosa giusta non sia penalizzante (parità di condizioni). Per esempio, il digitale sta stravolgendo il mercato del lavoro. È chiaro che a causa delle nuove forme di automazione e gestione delle informazioni molti lavori (o perlomeno molte funzioni e quindi relativi impieghi) del passato presto non esisteranno più o saranno notevolmente trasformati, mentre ne arriveranno di nuovi non ancora immaginabili. In questo contesto, la precarietà delle soluzioni presenti e l’incertezza sulle soluzioni future cresceranno. Una strategia di difesa, che vede nella resistenza alla digitalizzazione (si pensi alla proposta di una tassa sui robot) e nel welfare l’unica soluzione, non è vincente. Serve una strategia di attacco, con più mobilità, agilità, e flessibilità nel lavoro ma anche, e proprio per questo, una rete di protezione robusta. Perché l’imprenditorialità è sostenuta e facilitata dalla riduzione dei rischi e dei costi del fallimento. Non sono certo i meno abbienti che più facilmente possono permettersi di correre rischi e fallire. Il digitale può diventare una grande opportunità di lavoro se le sconfitte nel suo sfruttamento sono viste come normali, non penalizzanti, e sono attenuate nei loro effetti negativi da una robusta cultura socioeconomica di sostegno. Una cultura del “poco ma sicuro” non porterà l’Italia ai vertici dell’economia digitale, ma la farà anzi scivolare in posizioni di retroguardia. Serve invece una strategia per un’economia digitale del “molto anche se incerto”. Anche in questo caso, nessuna originalità. Come scrive Matteo 13,12 “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
63. La politica buona è multiagente. Lo Stato ha la forza (potere di convocazione, convening power) e il dovere di coordinare (infraetica) altri agenti per prendersi cura della ratio pubblica. Soprattutto, lo Stato dovrebbe chiamare tutti gli stakeholders, incluso il mondo aziendale, a condividere la responsabilità, in modo visibile e responsabile, di fare policy insieme, in un patto multiagente garantito e gestito dallo Stato stesso. Questo è vero anche a livello sovranazionale, dove l’Unione europea, per esempio, ha la forza e il dovere di coordinare altri Stati e stakeholders per prendersi cura della ratio pubblica europea.
64. La politica economica buona è un’economia dell’esperienza onlife. Il tempo a propria disposizione e la sua qualità sono la più importante risorsa (finita, non cedibile, e non rinnovabile) di ogni individuo. Perciò la prosperità degli individui, delle loro società, e dei loro ambienti si valuta anche sulla base della gestione e valorizzazione del loro tempo, individuale e sociale. L’epoca moderna è largamente interpretabile come il periodo durante il quale l’umanità è riuscita a “sanare” sempre più tempo – soprattutto grazie al miglioramento degli standard di vita, alla ricerca scientifica, e ai sistemi di sanità nazionale – e a “liberare” sempre più tempo – soprattutto grazie alle varie fasi d’industrializzazione e di sviluppo tecnologico, al commercio, e alle condizioni sociopolitiche. Viviamo più a lungo e meglio di ogni altra generazione passata; e viviamo con molto più tempo e reddito a nostra disposizione. Per questo oggi un’economia innovativa di crescita dovrebbe concentrarsi sulla gestione e la valorizzazione non tanto del tempo lavorativo, ma del tempo sano o sanabile – cioè il tempo passato senza sofferenze e malattie – e del tempo libero o liberabile, cioè il tempo che potremmo chiamare disposable (disponibile e dispensabile, in analogia al disposable income) onlife, non vincolato da impegni di lavoro, e fruibile, cioè allocabile ad attività di scelta. In un mondo in cui il tempo sano e il tempo libero andranno sempre più aumentando, le corrispondenti attività economiche legate alla loro gestione intelligente e al loro impiego fruttuoso saranno sempre più determinanti.
65. Le soluzioni della politica buona sono verdi e blu. Il matrimonio tra tecnologia e ambiente è vitale per la prosperità del pianeta, dei suoi abitanti, e quindi di ogni società, inclusa quella italiana. Perciò oggi le soluzioni trovate dalla politica buona, per perseguire il progetto umano, devono essere sia verdi, riguardando l’economia ambientalista e della cultura, sia blu, riguardando l’economia digitale e dell’informazione. Gli ambienti naturali, culturali e digitali (il naturale e l’artificiale) convivono in relazioni simbiotiche di mutuo beneficio. Non solo vanno protetti, ma devono anche essere valorizzati come risorse per il benessere individuale e sociale, e non sprecati. E lo devono essere in modo olistico. Soprattutto, si dovrebbe trasformare la mentalità di esclusiva tutela e curatela dei beni ambientali e culturali – l’ambiente e la cultura come peso e costo per la società – in una strategia di promozione e valorizzazione anche economica – l’ambiente e la cultura come capitali da mettere a frutto, a vantaggio di tutta la società che la esprime, anche grazie al digitale.
(Estratto dal pamphlet di Luciano Floridi, “Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica in una società matura dell’informazione”, allegato al numero 134 di Formiche)