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Paolo VI e l’impegno politico dei cattolici. Tutti i binari paralleli

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Era inevitabile che la canonizzazione di Paolo VI da parte di Francesco innescasse una riflessione sull’impegno politico dei cattolici. Inevitabile perché il “Papa democristiano” ha lasciato un segno profondo nella vita politica del Paese, ma soprattutto perché ha costruito un modello di presenza cristiana nella società del suo tempo. Un’epoca, ricordiamolo, segnata dalla dittatura fascista in Italia e dai totalitarismi in Europa. Da una guerra mondiale che avrebbe sconvolto tutti gli equilibri e avrebbe trovato uno sbocco nella lunghissima stagione della Guerra fredda. Un tempo nel quale il lombardo Montini, dalla postazione vaticana, educò e promosse una giovane classe dirigente di cattolici (Fuci) destinata a ricostruire la democrazia nella libertà riconquistata.

Ricordare la storia di ieri non dev’essere, però, un’operazione nostalgica. Di sicuro, quanti ancora oggi pensano all’impegno politico dei cattolici, difficilmente trovano una sintesi migliore di quella offerta da Paolo VI: “La politica è la forma più alta della carità”. Una formula ricordata, con favore, anche da Papa Francesco.

Non stupisce, dunque, che uno degli uomini più vicini a Francesco, il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione dei santi, dalle pagine del Il Messaggero affermi che “abbiamo bisogno di uomini coraggiosi che sappiano coniugare i valori evangelici in cui credono con i valori democratici e costituzionali”. Il tutto al netto della “impressione comune che i cattolici non siano più protagonisti come un tempo nella gestione della cosa pubblica del Paese”. “Restano sì posizioni individuali, anche apprezzabili – chiosa il cardinale – ma si deve riconoscere che manca un contributo organico”. E aggiunge: “Con questo non voglio affatto parlare della riesumazione di un partito unico, ma della necessità che si propongano come gruppo fiero di un patrimonio di tutto rispetto di idee, di cultura, di dottrina sociale da mettere al servizio del Paese”.

Nello stesso testo non manca l’apprezzamento per le iniziative della Conferenza episcopale italiana e del suo presidente Gualtiero Bassetti, per la promozione dell’impegno politico dei credenti, ad esempio a partire dalle posizioni assunte in materia di immigrazione.

Per sintetizzare: no a un partito unico dei cattolici, sì ad un gruppo (con un patrimonio di idee, cultura e dottrina sociale), sì a uomini coraggiosi che non aspettino la benedizione dall’alto. Nulla da eccepire, salvo che la formazione politica è stata per anni disertata dal mondo cattolico. Anzi, soprattutto nell’ultimo decennio, la carità delle opere ha riguadagnato il primo posto nelle urgenze dei pastori, complice il pontificato di Francesco che ha riorientato tutta la pastorale ordinaria della Chiesa.

Per semplificare: si è più cattolici mediante le opere di carità (e in particolare l’accoglienza dei migranti) che attraverso l’esercizio della politica come forma più alta di carità. E poiché i cattolici sono cittadini come tutti gli altri, non potevano non lasciare il segno anche su di loro le spinte del sovranismo, del populismo e del giustizialismo che hanno seminato discredito sulle classi dirigenti del Paese e hanno trasmesso, soprattutto ai giovani, l’idea che la politica sia sporca. Dunque, meglio tenersi lontani dalla politica.

In secondo luogo, sarebbe onesto intellettualmente rivisitare la stagione del “ruinismo” (definizione cara ai suoi numerosi detrattori, primo fra tutti lo storico del cristianesimo Alberto Melloni) che ha rappresentato oggettivamente l’ultimo spazio significativo di rilevanza dei cattolici italiani sulla scena pubblica. Innanzitutto attraverso l’applicazione culturale e sociale del paradigma dei “valori non negoziabili” (vita, famiglia e libertà di educazione), caro a Wojtyla e Ratzinger. Poi mediante la promozione di Reti cattoliche (Forum delle famiglie, Scienza & Vita, RetinOpera) come spazi di riflessione e di azione dei cattolici organizzati. Nonché con la creazione di “stanze della politica” presso le Reti cattoliche nelle quali gli esponenti di partiti diversi e opposti, ma accomunati dalla fede cristiana, potessero confrontarsi in uno spazio neutro e riservato (qui nacque la legge 40). E ancora con eventi pubblici significativi da parte di queste reti (Referendum sulla Legge 40 e il primo Family Day del 2007). Infine, con l’attivazione in Cei del cosiddetto Progetto culturale della Chiesa italiana con il compito di animare culturalmente lo spazio pubblico anche con eventi significativi (grandi convegni che divenivano occasioni di confronto e dialogo con il mondo laico, non credente e diversamente credente).

Tutto questo è stato spazzato via con una determinazione degna di miglior causa, ma soprattutto attraverso il pregiudizio che voleva la Chiesa impicciarsi nella politica italiana. Da qui anche le frequenti e immeritate accuse di riduzionismo politicista rivolte nei confronti dello stesso cardinale Camillo Ruini.

Dunque, il deserto di oggi ha certamente radici anche nelle scelte susseguenti alla stagione dei “valori non negoziabili”. Qualcuno dirà che è stata una semplice reazione, qualcun altro forse avrà il coraggio di ammettere che quella tracciata da Ruini (col sostegno di Wojtyla e Ratzinger) fu una risposta, forse l’unica possibile, al tramonto definitivo della Democrazia cristiana. Aver buttato via il bambino con tutta l’acqua sporca, quasi con una furia iconoclasta e soprattutto celandosi dietro la figura alta di Francesco, è stato un errore pagato a caro prezzo: l‘irrilevanza dei cattolici.

Ora sappiamo, perché ne scrive il quotidiano cattolico Avvenire, che qualcosa si muove soprattutto a sinistra. Sant’Egidio, ad esempio, con i suoi uomini più rappresentativi (Riccardi, Impagliazzo, Ciani e Giro) ha sostanzialmente fondato, con Democrazia solidale, una corrente del Partito democratico. Altri movimenti significativi vengono segnalati da parte della Rosa Bianca e di altre frange della sinistra cattolica.

Dal canto suo, monsignor Gastone Simoni, vescovo emerito di Prato, sempre attento al tema della presenza politica dei cattolici, ha avviato sondaggi e incontri riservati. Ma i partecipanti a questa iniziativa, di stampo prevalentemente centrista, si sono dati tempi molto più lunghi. Impensabile, perciò, una presenza significativa nella prossima competizione elettorale europea.

A questo appuntamento si preparano altri cattolici, come ad esempio quelli raccolti attorno alla Fondazione Europa Popolare, promossa dal Movimento cristiano lavoratori guidato da Carlo Costalli. Certamente non faranno mancare la loro voce in vista delle elezioni europee.

Ma occorre prendere atto che al momento non ci sono né uno spazio né un luogo nei quali questi cattolici (ma anche tanti altri) possano parlare e confrontarsi francamente sul futuro del Paese. Sembra che tutto il loro cammino si muova su tanti binari paralleli destinati a non incontrarsi mai. Cominciare a dialogare sarebbe il minimo indispensabile per promuovere la presenza di quegli “uomini coraggiosi” evocati dal cardinale Becciu.

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