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Pensare il cattolicesimo in cinese? La provocazione di padre Spadaro

Vaticano

“È necessario riconoscere che la storia del rapporto tra Occidente e Cina è stata profondamente segnata dal colonialismo e dall’imperialismo occidentale. Pensando al rapporto tra la Cina e la Chiesa cattolica, si può dire che questa ferita storica ha fatto sorgere problemi, ansie e paure reciproche. È necessario prendere tempo per costruire un rapporto di fiducia tra Cina e Santa Sede”. In questo, “una sfida particolare deriva dal fatto che negli ultimi anni la leadership cinese ha ripetutamente richiesto alle religioni presenti nel territorio cinese di sinizzarsi”. Infatti “se è chiaro che nessuna religione può diventare un mero strumento dell’apparato politico, è anche vero che il contenuto del compito che il governo chiede di attuare alle organizzazioni religiose e ai credenti è lontano dall’essere chiaramente definito”. Tuttavia, visto che “il cristianesimo è pensato in categorie greche”, “che cosa potrà significare pensarlo in categorie cinesi?”.

Sono alcuni degli spunti che emergono da quanto scrive il gesuita padre Antonio Spadaro nell’ultimo numero della rivista da lui diretta, La Civiltà Cattolica, che dedica in questa occasione diversi approfondimenti all’accordo firmato nei giorni scorsi tra la Santa Sede e la Cina. Tra cui quello di padre Federico Lombardi, ex direttore della sala stampa vaticana ai tempi di Benedetto XVI, presidente della Fondazione Ratzinger, e ora tornato al quindicinale di via di porta Pinciana come superiore della comunità dei gesuiti legata alla rivista. “In questo ambito prende senso la riflessione teologica”, scrive Spadaro. “Nel contesto del confucianesimo e del taoismo tradizionali, la teologia cerca di collegare strettamente tra loro la grande tradizione del pensiero e della sensibilità cinese con il cristianesimo. Anche il cristianesimo va pensato in termini cinesi e tenendo conto della grande filosofia e saggezza cinese”, è la considerazione fatta dal gesuita all’interno del suo articolo, rifacendosi alle parole precedentemente espresse dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, nella prefazione della traduzione in lingua cinese del suo libro-intervista con il giornalista Peter Seewald “Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”.

Nell’editoriale firmato dalla redazione, sul tema dell’accordo vaticano con la Cina e sul messaggio inviato da Papa Francesco “ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale”, vengono messi in luce cinque precisi aspetti di questa intesa: la continuità con i precedenti pontificati; l’importanza che per l’unità della Chiesa ha la novità delle ordinazioni dei vescovi tramite il mandato pontificio; l’unificazione di tutti i vescovi nel paese come segno dell’inizio di un processo di riconciliazione del cattolicesimo in Cina; il ruolo fondamentale del Papa nella stipula dell’accordo; e infine, la centralità del riconoscimento da parte del Governo cinese di una presenza religiosa, che, come naturale che sia, si trova ad essere vincolata al Papa e a Roma. Il quindicinale dei gesuiti spiega infatti, valutando i diversi aspetti dell’accordo e del rapporto tra la Chiesa e la Repubblica cinese, soprattutto in termini storici, della loro evoluzione cioè nei secoli, che per il Papa, in quanto “servitore della piena e visibile unità della Chiesa in tutto il mondo e in tutte le regioni del mondo”, era logico mettere al centro la questione delle nomine episcopali.

Che cioè “anche se i particolari del recente accordo, che rimane ancora provvisorio, non sono stati resi noti, è chiaro che il suo fine è esattamente quello di garantire che le nuove ordinazioni avvengano con il mandato pontificio”. Il cui merito va però, oltre che al Papa, “ancor più ai cattolici cinesi”. Che se sono riusciti ad interloquire “efficacemente” con le autorità del Governo cinese, che se a loro volta “non sono rimaste indifferenti alle espressioni cordiali di stima che Papa Francesco ha avuto più volte” lo si è dovuto proprio “al fatto che esse nel tempo si sono rese conto che i cattolici cinesi non volevano e non potevano essere separati spiritualmente dal Papa”. La storia questo lo dimostra con chiarezza: dai tempi della Rivoluzione culturale sono diverse le testimonianze relative alle sofferenze che vescovi cinesi e diplomatici vaticani hanno dovuto sopportare pur di mantenere salda la loro fede, e il mandato che non solo la Chiesa, ma la loro stessa fede gli chiedeva.

Proprio ieri infatti, in apertura del Sinodo sui giovani che si svolgerà in Vaticano fino al 28 ottobre, durante l’omelia della messa a San Pietro, Bergoglio si è visibilmente commosso nel salutare i due vescovi cinesi – monsignor Giuseppe Guo Jincai, vescovo di Chengde, nella provincia di Hebei, e monsignor Giovanni Battista Yang Xiaoting, vescovo di Yan’an, nella provincia di Shaanx -, i primi del loro paesi a partecipare a un Sinodo, dalla sua istituzione per mano di Paolo VI nel settembre ’65. Mentre pronunciava le parole rivolte ai due il pontefice, per l’emozione, si è interrotto e ha lasciato scorrere alcuni secondi, nell’applauso dei fedeli in piazza san Pietro. “Oggi, per la prima volta, sono qui con noi anche due confratelli vescovi dalla Cina Continentale. Diamo loro il nostro caloroso benvenuto: dell’intero Episcopato con il Successore di Pietro è ancora più visibile grazie alla loro presenza”, ha detto Francesco aprendo il Sinodo, ed ascoltando la prima preghiera in cinese recitata nell’occasione.

“Alcuni si sono chiesti se sia accettabile cedere al governo cinese l’autorità di nominare i vescovi. Questa domanda non è posta in maniera corretta. La Chiesa non cede l’autorità di nominare i vescovi. La storia della Chiesa è semmai da considerare anche come la storia della ricerca di accordi con le autorità politiche sulla nomina dei vescovi”, ha così aggiunto padre Spadaro su La Civiltà Cattolica. “I rapporti fra la Santa Sede e la Cina hanno avuto dall’Ottocento a oggi alterne vicende: dalla guerra dell’oppio al protettorato francese sulle missioni in Cina, dalla drammatica Rivoluzione dei Boxer alle relazioni diplomatiche, dalla salita al potere di Mao Zedong alle riforme del nuovo regime, fino all’attuale dialogo”, ha invece poi specificato padre Federico Lombardi, che nel suo articolo ripercorre in maniera storica la vicenda della Chiesa in Cina, fin dai primi contatti nel diciannovesimo secolo.

“Negli ultimi anni i contatti si moltiplicano e i canali di comunicazione appaiono più stabili ed efficaci. A più riprese alcuni organi di stampa cinesi e lo stesso ministero degli Affari esteri pubblicano dichiarazioni distensive nei confronti di papa Francesco, sia in occasione di viaggi apostolici sia a commento di dichiarazioni pontificie”, spiega Lombardi. “Il resto è cronaca di questi giorni”. In tutto ciò, scrive ancora la rivista, importante è il “riconoscimento, dal punto di vista delle autorità politiche, che il vincolo fra il Papa e la Chiesa in Cina tramite la comunione con i vescovi, essendo di natura religiosa e non politica, non rappresenta un pericolo per l’unità e l’armonia del Paese. Anzi, questo vincolo è un bene per la vitalità della comunità cattolica che vive e opera in Cina, e quindi per il bene del Paese intero”.

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