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Tutti i rischi dello Stato paternalista (stile Venezuela) spiegati da Bonomi

Di Carlo Bonomi
merito liberazione

Come imprese, siamo chiamati a una grande battaglia culturale su uno dei fondamenti stessi di ogni idea di comunità. Ed è per questo che dobbiamo impegnarci con forza perché non si radichi e si diffonda sempre più in Italia il ritorno in grande stile dello Stato paternalista. Non abbiamo bisogno di uno Stato che torni ad essere padre e madre: perché nella storia del Novecento questa formula ha prodotto guai immensi. L’etica pubblica non è l’etica di uno Stato che voglia dall’alto imporre ai cittadini la sua visione di cosa sia morale e cosa no.

Dobbiamo dire NO a uno Stato che chiuda gli esercizi commerciali la domenica, sostenendo di difendere le famiglie. Viola la libertà di milioni di consumatori, abbatte consumi e lavoro, mina la possibilità che proprio le famiglie in cui lavorano due componenti si possano contemperare i tempi di lavoro con le scelte di consumo.

NO a uno Stato che crede di poter rigestire il trasporto aereo. Se non potevamo permetterci, anche giustamente, un aereo di Stato come quello della presidenza del Consiglio, possiamo mai tornare a permetterci una flotta pubblica di Stato? Quando già con il prestito ponte abbiamo profuso 6 volte l’ammontare di quello che il venture capital dà alle start up in Italia in un anno? E tutto questo per un vettore che perde 1,2 milioni di euro al giorno? Perché non fare un referendum e chiedere agli italiani se vogliono ancora pagare di tasca propria per Alitalia?

NO a uno Stato che si oppone alle grandi opere infrastrutturali come TAP, TAV, e Terzo Valico. Il governo ha evitato un grave errore respingendo la tentazione di chiudere l’ILVA, scelga ora sulle grandi opere di trasporto ed energetiche di parlare la lingua del futuro e non quella del passato.

NO a uno Stato che ci chiama “prenditori” e che dopo anni di promesse continua a non pagarci oltre 40 miliardi, chi è il vero prenditore?

NO a uno Stato che creda di poter strappare 35 mila contratti di concessione: la vicenda tragica del ponte Morandi vede con troppa disinvoltura dimenticate le responsabilità della vigilanza tecnica e di sicurezza del concedente pubblico, ignorata la necessità che le responsabilità si accertino con indagini amministrative e penali, calpestata la prescrizione vigente che la realizzazione della nuova opera sia fatta con gara di evidenza europea e non con affidamento diretto. Anche se su questo tema voglio aggiungere una cosa: la vicenda del ponte Morandi ha anche mostrato che, quando li commette, l’impresa i suoi errori deve ammetterli.

Lo dico da Presidente di una grande associazione: che ascolta tanti associati increduli e scandalizzati di fronte alle minimizzazioni. Non difendiamo il sistema dell’impresa, nascondendo i nostri errori. Così rafforziamo solo l’ostilità all’impresa, che è già troppo vasta nella politica e nella società italiana. E che mette in difficoltà chi, come noi, fa rappresentanza sul territorio. È un errore che non dobbiamo commettere. Dobbiamo noi per primi dire che chi sbaglia deve pagare, secondo le regole dello stato di diritto. Proprio per evitare che altrimenti le conseguenze ricadano sull’intero sistema delle imprese. E che diventi così ancora più difficile il compito di chi, come noi, crede e scommette sulla rappresentanza delle imprese come leva per costruire fiducia.

Un’ultima cosa, a proposito di rappresentanza. Abbiamo visto che il governo convoca a Palazzo Chigi le controllate pubbliche, e chiede loro di far questo e quello. Inutile dire che per grandi aziende quotate un governo dovrebbe sapere per primo che rispondono ai mercati e la loro autonomia è un bene primario. Ma il tema è un altro. Se un governo chiede alle controllate pubbliche di fare quel che nella manovra il governo non pensa di riuscire a realizzare, è il governo che ha un problema.

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