Mentre la legge di bilancio scorsa ha esteso da 2 a 4 giorni il congedo obbligatorio remunerato al 100% per i padri, se l’attuale governo non deciderà di confermarla, la sperimentazione si concluderà entro la fine di quest’anno, massacrando quell’avvicinamento all’opzione su cui sta lavorando la Ue e compiuto già da alcuni Stati in direzione di un riequilibrio dei compiti tra entrambi i genitori e di una conciliazione vita-lavoro, specialmente per le donne.
Ad aprile 2017 la Commissione Europea ha fatto una proposta di direttiva in materia, proponendo una soglia minima pari a 10 giorni per il congedo di paternità, remunerato almeno al livello dell’indennità di malattia. Il Parlamento europeo, a luglio scorso, si è espresso in modo favorevole rispetto alla direttiva, avanzando richieste di modifica inerenti i congedi genitoriali e di cura e il Consiglio chiede di lasciare piena flessibilità agli stati membri nel definire sia la durata sia la compensazione economica. Le consultazioni tra Commissione, Consiglio e Parlamento sono iniziate nelle scorse settimane, e il voto è atteso per il 14 gennaio.
Sono diverse le misure che sarebbe opportuno adottare per invertire questa tendenza in modo che maternità e paternità siano scelte libere, e non rinuncia. E dunque servono investimenti pubblici coerenti e a lungo termine per aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Così come serve destinare più risorse alla cura e alla crescita dei bambini sostenendo il lavoro dei giovani e delle giovani e, soprattutto, incentivare e sostenere la condivisione delle responsabilità familiari tra madri e padri.
Il presidente Boeri ha giustamente attenzionato la manovra di bilancio di questo governo e l’ha giudicata maschilista e come non dargli ragione? Sia per la non conferma del congedo di paternità che è uno strumento molto importante per promuovere un’uguaglianza di opportunità; sia nel favorire l’accesso delle donne al sistema pensionistico e mantenere le differenze di età nell’accesso alle pensioni per uomini e donne: sono possibilità che possono trasformarsi in trappola per le donne perché ovviamente il periodo di lavoro e di versamenti contributivi molto bassi portano a pensioni basse e soprattutto all’ennesima esclusione dal mercato del lavoro.
L’uguaglianza di opportunità si deve realizzare nel momento in cui ci sarà maggiore presenza delle donne sul lavoro e invece in Italia si continua a ragionare su provvedimenti assistenziali promuovendo semmai la partecipazione delle donne al “non” lavoro. In questi giorni si parla di favorire l’accesso delle donne al sistema pensionistico, per esempio introducendo degli sconti, si parla di mantenere le differenze di età nell’accesso alle pensioni per uomini e donne, ma vero è che spesso nel non lavoro non c’è libertà di scelta.